Capitolo XIV

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«Chi non muore si rivede. Vieni qui, fatti abbracciare!». Kade fece un passo avanti verso quell'uomo dall'identità a me sconosciuta, una bestia di almeno un metro e novanta dall'aspetto muscoloso e quasi minaccioso. Era un uomo di colore, coi capelli ricci, corti e scuri e una barba anch'essa scura e ben curata. Indossava una T-shirt bianca, che creava un bel contrasto con la sua pelle, e dei jeans neri. Un look tipico anche di Kade, tanto che mi domandai se andassero nello stesso negozio a comprare i vestiti.
Quei due si abbracciarono come se non si vedessero da tempo ma, soprattutto, come se fossero amici molto stretti. Ah! Era lui l'amico di vecchia data che doveva presentarmi, forse?
«Brutto stronzo, da quanto non ti vedo! Come butta da queste parti?». Disse l'uomo di cui ancora non sapevo il nome. La sua voce era profonda e potente, il suo fascino carismatico e ipnotizzante.
Jesse si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla per salutarlo, poi uscì fuori dal negozio accompagnato da Trixie. Anche Austin si dileguò, probabilmente perché aveva finito di fare ciò che doveva e voleva buttarsi sul buffet.
Ora, a parte qualche cliente qua e là che chiacchierava e osservava i quadri appesi alle pareti, eravamo rimasti io, Kade e...
«Butta bene, direi». I miei pensieri furono interrotti dal proseguo della conversazione.
«E questa meraviglia al tuo fianco?». Si rivolse a me per la prima volta ed io sorrisi, ringraziandolo silenziosamente per il complimento. «Se la mente mi assiste, dovresti essere Aria. Sbaglio?».
«Non sbagli». Rispose Kade al mio posto. «È proprio lei». Rimasi sorpresa dal fatto che mi conoscesse. Voleva dire che Kade gli aveva parlato di me? Quella considerazione portò il mio cuore a battere più forte, crescendo insieme all'affetto che nutrivo nei suoi confronti.
Quell'uomo mi guardò con attenzione, fissandomi coi suoi occhi color nocciola. Più lo guardavo, più notavo dei particolari interessanti.
«Aria, lui è l'amico che volevo presentarti. Si chiama...».
«Ehi, sta' buono, coglione. Mi presento da solo». Disse a Kade con tono scherzoso. Avevo la sensazione che quei due si prendessero in giro costantemente. «Mi chiamo Khamisi Khan. Per i conoscenti Khan. Per i bambini Khami o Khamy, dipende da come lo vogliono scrivere. Per gli stronzi come lui, nonché amici, solo Kham». Sparò tremila nomi e abbreviazioni diverse, tanto che già dal primo mi persi.
«Ed io come dovrei chiamarti?». Chiesi, non sapendo seriamente la risposta.
«Ovviamente Kham! Sei la ragazza di questo stronzo qui a cui, purtroppo per me, voglio bene, quindi ti ritengo già mia amica».
«È un piacere, Kham. Io sono Aria Green, ma penso che tu già lo sappia».
«Oh, sì che lo so. Il tuo uomo mi ha già chiamato tre volte al telefono per parlarmi di te. Non mi ha mia rotto le palle così tanto». Kade rise, spintonandolo un po' con la mano. «Senza offesa, ovviamente».
La conversazione tra noi durò più di quanto avrei mai immaginato. Scoprii che Kham abitava fuori Southampton, a circa un'ora dalla città, ed era per questo che Kade non riusciva a vederlo spesso. Si erano conosciuti il primo anno di apertura dell'Ink, quindi più o meno nove anni prima, quando Kham era andato volutamente a farsi un tatuaggio, sentendo ben parlare di loro.
Gli chiesi dove l'avesse fatto, dato che sulle braccia non aveva nulla, e scoprii che si era fatto tatuare in un posto in cui non batteva il sole. Dopo averlo saputo, decisi ovviamente di non chiedere altro.
Venni poi a sapere che Kham faceva il meccanico nella cittadina in cui viveva e che aveva una compagna di cui era follemente innamorato. Sembrava davvero un bravo ragazzo, nonostante la sua parlata un po' rude, e apprezzai l'amicizia che aveva con Kade. Lo chiamava in tutti modi – bastardo, coglione, stronzo – ma si capiva quanto gli volesse bene, e quanto Kade ne volesse a lui.
Fui felice di quell'incontro, perché riuscii a inserire un altro piccolo pezzo nel puzzle che stavo costruendo. Il puzzle che portava il volto e il nome del mio uomo.
«Kade, dobbiamo cominciare coi giochi! Qui i clienti fremono». Jesse ci raggiunse per avvisarci di darci da fare, interrompendo la nostra chiacchierata.
«Va bene. Raduna tutti fuori. Prendo le cose e arrivo». Ripose lui. Kham si diresse subito verso l'uscita, non prima di avermi regalato un sorriso e di aver dato una manata sulla schiena al suo amico. Kade gli sorrise e poi mi diede un bacio sulle labbra, trattenendosi forse un po' troppo. Una volta libera dalla sua presa, corsi fuori per raggiungere la mia migliore amica e attendere l'inizio di qualcosa di cui non avevo la minima idea.
«Ma che devono fare?». Mi chiese Trixie quando mi posizionai al suo fianco.
«Non lo so, ma sono abbastanza curiosa». La folla intorno a noi si posizionò in una sorta di semi cerchio un po' confusionario. Eravamo tutti rivolti verso la porta di entrata. Ormai più nessuno assaltava il buffet, dove la roba da mangiare era quasi finita mentre da bere c'era ancora qualcosa.
Vidi Jesse e Kade uscire fuori in tutta la loro bellezza. Il primo aveva una sedia tra le mani, che posizionò proprio di fronte a quella mezzaluna di persone lì accalcate. Al contrario, il secondo – il mio uomo, quello che stava guardando nella mia direzione sorridendo mentre mi faceva l'occhiolino, quello che, in mezzo a tutta quella folla, aveva lo sguardo puntato proprio su di me – si mise al suo fianco con in mano dei foglietti. O meglio, dei cartoncini non troppo piccoli ma neanche troppo grandi di cui ancora non capivo la funzione.
«Scusate l'attesa, ragazzi». Jesse cominciò a parlare, montando sulla sedia che aveva portato con lui. Essendo già abbastanza alto, fummo costretti ad alzare di poco la testa per guardarlo e ascoltare cosa avesse da dire. «Prima di tutto, volevo ringraziarvi a nome mio e dei miei colleghi, Kade e Austin, per essere venuti a festeggiare con noi i nove lunghi anni dell'Ink! Se siamo qui è solo merito vostro, perché avete avuto, e spero abbiate ancora, fiducia in noi e in quello che facciamo. D'altronde, vi buchiamo la pelle, no?». Ci fu una risata generale a quella battuta, prima che tutti tornassero in silenzio. «Quindi grazie davvero. Non importa se siete solo conoscenti, clienti di passaggio o amici. Facciamo tutti parte della stessa famiglia». Jesse guardò nella nostra direzione, dove al fianco mio e di Trixie si era aggiunto anche Kham. Sorrisi. «Ora, dopo le smancerie di rito, direi che è il momento di cominciare! Quest'anno abbiamo organizzato una cosa speciale, diversa da tutte le altre fatte negli scorsi anni. Il mio caro amico qui accanto, come potete ben vedere, ha in mano fogli che non sono proprio fogli, ma dei Gratta e Vinci!». Kade alzò quei cartoncini, mostrandoli al pubblico. «E voi direte, che cazzo ci dovremmo fare con dei Gratta e Vinci? Beh... Questi sono dei Gratta e Vinci Tattoo's Edition e ciò vuol dire che non sono come quelli che comprate la mattina al bar. Il nostro obiettivo, quest'anno, era quello di farvi un regalo. E in mezzo a questi foglietti, se sarete fortunati, troverete un gran bel regalo per voi. Allora, volete giocare?». Dalla folla partì un coro di urla e fischi fomentati ed eccitati, accompagnato da un grande applauso a cui ci unimmo anche io e Trixie. «Non ho sentito bene. Volete giocare?». Ripeté Jesse.
«Sììì». Gridarono tutti, questa volta più decisi.
«Fantastico! Austin si occuperà della vendita, quindi per poterli prendere dovrete rivolgervi a lui. Sul Gratta e Vinci troverete tre cerchi disposti in diagonale. Lo scopo è scoprire cosa ci sia sotto quei tre cerchi». Kade li indicò mentre Jesse ci dava spiegazioni. «È molto semplice. Se troverete la faccia di un leone, avrete un tatuaggio gratis proprio da me. Se invece troverete un serpente, sarà Kade a tatuarvi. Non ci sono limiti. Il tatuaggio potrà essere come volete e dove volete e il Gratta e Vinci non avrà data di scadenza. Non importa se piccolo o grande, è un nostro regalo quindi vi prego di accettarlo». Mio Dio! Facevano sul serio quei due? Davvero avevano creato dei Gratta e Vinci per far avere tatuaggi gratis alla gente? Cavolo. Ero eccitata anche io in quel momento, nonostante mi importasse poco di quel tipo di gioco, ma ciò che c'era in ballo era parecchio allettante. E poi... Un serpente a simboleggiare Kade? Non poteva essere più azzeccato, pensai. «Tre cerchi a disposizione, tre possibilità di vincere. Siete pronti a dare la caccia a leoni e serpenti? Perché, fossi in voi, comincerei subito». Detto quello, Jesse fece un salto per scendere dalla sedia e si diede un mezzo abbraccio con Kade. Io e Trixie, invece di andare ad assaltare Austin per comprare i Gratta e Vinci come stavano facendo tutti, ci dirigemmo proprio da quei due pazzi.
«Non ci credo che lo state facendo davvero! Quanti tatuaggi gratis ci sono dentro a quei cosi?». Gli chiese la mia migliore amica quando fummo abbastanza vicine per farci sentire.
«Non lo sappiamo neanche noi. Ma lo scopriremo presto, credo!». Gli rispose Jesse, buttando un occhio sull'orda di gente attorno al povero Austin.
«Il lavoro sporco lo lasciate fare a quel povero ragazzo!». Li rimproverai scherzosamente.
«Si è proposto lui di farlo. A quanto pare, gli piacciono queste cose». Affermò Kade, venendo di nuovo al mio fianco e circondandomi col braccio.
«E poi, non lo dite a nessuno, ma...». Jesse si avvicinò, parlando a bassa voce. Io mi protesi verso di lui e Trixie mi seguì, curiosa di sentire. «C'è anche un tatuaggio di Austin in mezzo a quei Gratta e Vinci. È arrivato anche per lui il momento di cominciare con qualcosa ed io e Kade volevamo farlo nel migliore dei modi. Austin non lo sa ma una persona, in mezzo a tutta quella gente, troverà una grande e grossa "A" in uno dei quei cerchi e spetterà a lui fare quel tatuaggio».
«Non ci credo!».
«Ma è fighissimo!». Sia io che Trixie esprimemmo la nostra felicità e il nostro entusiasmo a quella notizia. Kade mi aveva già parlato del fatto che Austin non avesse ancora iniziato a svolgere il lavoro che lui stesso considerava quello dei suoi sogni. Però mi aveva anche detto che, prima o poi, sarebbe arrivato il suo momento. E, a parer mio, avevano trovato l'occasione perfetta. Sarà una gran bella sorpresa per quel dolce ragazzo.
«Che ne dici, amica? Tentiamo anche noi la fortuna?». Mi domandò Trixie.
«Certo che sì!». Aspettammo che la folla si alleviasse un po' prima di avvicinarci ad Austin per chiedergli uno di quei Gratta e Vinci. Voleva addirittura regalarcelo, perché così gli avevano ordinato Jesse e Kade, ma noi insistemmo per pagare e lui alla fine si arrese. Mai mettersi contro due donne, soprattutto se una di queste è Trixie Jones.
Coi nostri due bei Gratta e Vinci ci dirigemmo dentro al negozio, più precisamente alla scrivania, dove trovammo Jesse e Kade.
«Siete pronti a vedere noi che non vinciamo proprio un bel niente?». Disse la mia amica con la sua solita positività.
«Suvvia, Trixie! Non essere così negativa. Non hai mai vinto niente in vita tua?». Fu Kade a risponderle, mentre mi circondava da dietro con le braccia e mi poggiava il mento sulla spalla destra. La sua posizione preferita, ormai.
«Oh, sì. Elementari. Festa di fine anno. Avevano allestito vari giochi nel cortile della scuola. In uno di questi si vincevano i pesci rossi».
«Beh? L'hai vinto?». Chiese Jesse.
«Sì che l'ho vinto, ma il giorno dopo è morto». Trixie sorrise, non proprio quello che ci si aspetta di vedere quando si raccontano cose del genere. «Questo per farvi capire che a me, la fortuna, non arriva mai. E quelle poche volte che arriva, mi manda a fanculo perché non era me che cercava».
«Dài, non fare così! Sono sicura che otterrai qualcosa, oggi». Le dissi, tendando di convincerla.
«E sono costantemente sfigata anche perché Aria dice sempre così e me la tira alla grande!». Risi, dandole un colpetto sulla spalla per fargliela pagare.
«Che amica!».
«Ti adoro e lo sai. Gratti tu o gratto io?».
«Insieme!». Cominciai a cercare sulla scrivania qualcosa che potesse aiutarmi a grattare via i tre cerchi, ma non trovai nulla di adatto. «Qualcuno ha una moneta?». Dietro di me sentii Kade frugare nelle tasche dei suoi jeans prima di passarmi ciò che avevo chiesto. «Grazie!». E rimase lì, con la testa poggiata sulla mia spalla e con lo sguardo puntato su quello che stavo facendo, come se volesse supervisionarmi. Ma non è che forse...
«Kade, toglimi un dubbio». Voltai la testa verso di lui e gli parlai a bassa voce, in modo che nessun altro potesse sentirci.
«Tutto quello che vuoi».
«Hai paura che io vinca un tatuaggio da qualcuno che non sia tu?».
«Questa cosa non succederà mai». Sorrise, sfrontato.
«E perché no?».
«Perché mi hai promesso che a nessun altro avresti concesso di riempirti la pelle di tatuaggi».
«Non ci credo!». Solo in quel momento ricordai di quando, giorni prima, gli avevo fatto quella promessa. Cazzo! «Non vale così!».
«Oh, sì che vale».
«Quella promessa riguardava l'andare volontariamente a farsi tatuare da qualcun altro. Io non sto andando da nessuna parte, me lo state offrendo voi, quindi se lo vinco me lo tengo!». Kade prese a baciarmi il collo, senza curarsi di quello di cui stavamo parlando, poi si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi qualcosa.
«Tu vedi di trovare un bel serpente, poi ne riparliamo». Il suo respiro caldo mi fece rabbrividire.
«Il mio bel serpente l'ho già trovato ed è posizionato proprio sul tuo braccio».
«Così mi lusinghi».
«Non ti sto lusingando. Ora spostati!».
«No! Sto qui a guardarti».
«Col cavolo! Prima fammi fare, poi ti faccio sapere». Kade sbuffò esasperato, ma mi accontentò e si spostò da dietro le mie spalle. Io feci qualche passo indietro e, accertandomi di esser lontana da occhi indiscreti, posai il Gratta e Vinci sul palmo della mano sinistra e cominciai a grattar via il primo cerchio con la moneta che avevo nella destra. Dopo averne cancellato metà, non vidi apparire niente. Per sicurezza finii di cancellarlo, ma ci avevo visto bene. Primo cerchio andato e nessuna vittoria per Aria.
Buttai un occhio verso la scrivania e vidi Kade che, accanto a Jesse, mi guardava. Sorrisi.
Sei geloso! Gli dissi muovendo solo le labbra e lui parve capire, perché cominciò a scuotere la testa leggermente divertito. Lo lasciai perdere e presi a grattare il secondo cerchio. Niente di niente. Anche il secondo era perso. Dentro di me, sperai davvero di trovare un bel serpente. Anche se non glielo avevo espressamente detto, sarei stata felice di vincere un tatuaggio da Kade. E lui, molto probabilmente, sarebbe stato più felice di me. E va bene, ultima possibilità, Aria. Pensai, e cominciai a cancellare il terzo cerchio. Grattai, grattai, grattai e... Vinsi. Davvero? «Ho vinto!». Urlai, non credendoci nemmeno io.
«Oddio! Ho vinto anche io!». Esclamò Trixie ed io corsi da lei per vedere cosa avesse trovato.
«Cosa hai trovato, Aria?». Mi domandò Kade con una leggera fretta di sapere.
«Dillo prima a me!». Disse la mia migliore amica.
«Solo se tu mi fai vedere il tuo!». Le risposi mentre i due tatuatori ci guardavano discutere come due dodicenni dall'altro lato della scrivania.
«Basta che ce lo fate sapere anche a noi, però!». Affermò Jesse divertito.
«Al tre ce li scambiamo per vederli, pronta? Uno... Due... Tre!». Io e Trixie ci passammo l'una il Gratta e Vinci dell'altra e... Non ci credo! Il primo e il terzo cerchio erano vuoti, ma nel secondo c'era la grande e grossa "A" di Austin.
«Cazzo, hai beccato proprio questo! Ci vuole un gran culo!». Le dissi.
«Aria! Parla bene!». Fui rimproverata da Kade ma lo ignorai.
«Trixie ha trovato la famosa "A"!». Confessai a quei due, parlando un po' più a bassa voce per paura che Austin potesse sentire, anche se non era lì in quel momento. Insomma, doveva essere una sorpresa, no?
«E tu ce lo dici cosa hai trovato?». Chiese sempre Kade, impaziente. Mi scambiai uno sguardo d'intesa con Trixie che, al contrario di me, non rivelò l'identità del mio Gratta e Vinci e aspettò che lo facessi io.
«Mi dispiace, Kade, ma ti avevo detto che il mio bel serpente l'avevo già trovato. Quindi mi sono beccata un bel tatuaggio gratis da Jesse!».
«Grande, Aria! Vieni qui, fatti abbracciare!». Jesse cercò di fare il giro della scrivania ma Kade glielo impedì bloccandogli la strada con un braccio.
«Direi che un abbraccio basta e avanza, per oggi». Alzai gli occhi al cielo. Era allucinante il suo comportamento, ma mi veniva da ridere, così decisi di esasperarlo ancor di più. D'altronde, ad esasperarlo ero la migliore.
«Smettila, su! Potrei cogliere l'occasione e farmi un bel tatuaggio grande. Potrei farlo partire dalla schiena e farlo arrivare al sedere. Che ne dici?». Mi voltai e indicai la zona, giusto per affondare ancor di più il coltello nella piaga. Dallo sguardo fulminante di Kade capii che forse ci ero andata giù un po' troppo pesante.
«Mi stai provocando, e lo stai facendo apposta!». Sì, ci ero andata giù pesante.
«Va bene, va bene. Preferisci il davanti, allora? Dal seno alla f...».
«Aria!». Esclamò Kade. Potevo quasi vedere il fumo uscirgli dalle orecchie per quanto fosse arrabbiato. Intanto, Jesse e Trixie se la ridacchiavano e si godevano la scena.
«Sarà un piacere per me tatuarti, Aria».
«Tu chiudi quella fottuta bocca! Qui nessuno tatua nessuno!». Kade oltrepassò la scrivania e mi venne incontro, furioso. Io sorrisi, pronta ad abbracciarlo e baciarlo in segno di pace, ma lui non fece nulla di ciò che mi aspettavo. Piuttosto, si chinò e mi caricò su una spalla come un sacco di patate, facendomi urlare per la sorpresa.
«Kade, lasciami!». Fortunatamente, tutti i clienti stavano fuori a tentare di vincere il loro tatuaggio, così quasi nessuno si poté godere la scena.
«Ehi, dove porti la mia amica?». Chiese Trixie, ma dal suo tono percepii più divertimento che preoccupazione.
«Te la riporto presto! Dobbiamo solo risolvere alcune questioni». Disse, un po' ironico, utilizzando la stessa espressione di quando aveva interrotto la mia lezione di yoga per rinchiudermi dentro al ripostiglio della palestra. Alzai leggermente la testa e con lo sguardo chiesi aiuto a Jesse e Trixie che mi guardavano sorridendo. Traditori.
Nella posizione in cui mi trovavo, non riuscii molto bene a vedere dove mi stesse portando, ma potevo farmene un'idea. Dopo qualche secondo, sentii una porta sbattere e il rumore di una chiave che veniva girata nella serratura. Quando Kade, lentamente, mi mise giù, scoprii che ci trovavamo nel suo studio, lo stesso in cui mi aveva tatuato la "T" in prossimità della clavicola.
«Era necessario fare il cane geloso davanti a tutti?».
«Il cane?».
«Hai marcato per bene il tuo territorio. Facevi prima a pisciarmi addosso».
«Aria!».
«Dimmi tutto, Kade».
«Hai iniziato tu a provocarmi».
«E mi stavo anche divertendo!». Risi. Invece di scappare dai guai, li stavo praticamente rincorrendo a bordo di una Ferrari. Kade cominciò ad avvicinarsi a me. Quel gioco, ormai, lo conoscevo bene.
Lui avanzava, io indietreggiavo. E andavamo avanti così fino a che io non mi ritrovavo bloccata da qualche parte, completamente alla sua mercé. «Che questioni dobbiamo risolvere, adesso? È la seconda volta che mi rinchiudi in una stanza. Potrei abituarmici, sai?».
«Ma come fai ad essere così esasperante?».
«Credo sia un superpotere, ma funziona solo con te». Feci spallucce, più tranquilla del solito. Mi ero quasi abituata alla versione arrabbiata di Kade Acker e, c'era da dirlo, mi elettrizzava. «Allora? La questione?». Domandai, insistendo. Col culo andai a sbattere sul bordo del lettino, lo stesso in cui lui mi aveva tatuata, e decisi subito di salirci sopra facendo leva con le mani. Tanto sapevo che, se non l'avessi fatto io, l'avrebbe fatto lui. Come volevasi dimostrare, Kade mi fece aprire le gambe e ci si posizionò in mezzo.
«Hai promesso che non ti saresti fatta tatuare da nessun altro all'infuori di me».
«E lo farò! Ma stiamo parlando di Jesse! È il tuo migliore amico, Kade. Qual è il problema?».
«Non posso essere geloso del mio migliore amico?».
«È da matti!».
«Non lo è, per me». Alzai gli occhi al cielo. Con lui veniva spontaneo farlo almeno un centinaio di volte al giorno. «Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, Aria. Ti farò tutti i tatuaggi che desideri. Come li desideri, dove li desideri, quando li desideri. Non hai bisogno di un tatuaggio gratis da Jesse». Mi guardò, il tono serio e gli occhi di un blu brillante.
«Ma Jesse ha piacere di tatuarmi».
«Non lo avrà più, dopo che gli avrò parlato io».
«Kade!». Lui sorrise, forse quasi divertito ed eccitato all'idea di poter minacciare il suo migliore amico.
«Sei la mia bellissima ragazza. Non dividerò la tua pelle con nessuno».
«Sei pazzo!».
«Non lo sapevi?». Avvicinò il volto al mio, sorridendo furbo.
«Non è finita qui. Ne riparleremo».
«Mh, mh». Annuì, poco attento alle mie parole e molto concentrato sulle mie labbra.
«Non si risolverà tutto con un bacio». Gli mormorai, le nostre bocche a soli pochi millimetri di distanza.
«E allora vediamo di farlo con qualcosa in più». Le sue mani smaniose trovarono le mie cosce. Le sue dita bramose cercarono la pelle non coperta da vestiti. La sua bocca, così vogliosa, avanzò dritta verso l'obiettivo.
Le mie braccia, come dotate di vita propria, si sollevarono per circondargli il collo e le mie gambe lo avvinghiarono attorno ai fianchi per portarlo più vicino a me.
Le mani di Kade, non più tanto timide, si fecero strada sul mio corpo passando per i fianchi, per la pancia, per i seni, fino ad arrivare alla mia schiena. Mi prese i capelli raccolti nella coda e se li avvolse tra le dita, stringendoli e tirandoli senza però farmi male.
Buttai la testa indietro e mi godetti la sensazione della sua lingua che incontrava la mia. Ma volevo di più, molto di più, così gli accarezzai le braccia muscolose e mi insediai sotto la sua maglietta.
Mi beai del contatto dei miei palmi contro la sua pelle, così calda e possente, così bella e virile. Mi beai del suo respiro affannato e del suo ringhio appassionato. E mi beai della sua evidente eccitazione che premeva proprio nel punto giusto.
Impazzii. Impazzii nel sentire il suo profumo misto all'odore del dopobarba, così come andai fuori di testa nel percepire i suoi addominali contrarsi sotto le mie mani fredde. La mia mente si spense – una delle poche volte in cui i pensieri non prevalevano sulle azioni – e agii, sorprendendo anche me stessa.
Scesi dal lettino, senza permettere a Kade di fermarmi, e invertii le nostre posizioni. Continuai a baciarlo, anche solo per il gusto di distrarlo, e lo feci sedere proprio dove poco prima mi trovavo io.
Ma non bastò neanche quello, no. Lo spinsi giù, facendolo sdraiare, e gli salii sopra a cavalcioni. Ero diventata pazza, forse. Talmente tanto che stavo prendendo l'iniziativa e lo stavo seducendo come mai avrei pensato di fare, men che meno chiusa nel suo studio coi nostri amici e un centinaio di persone a venti metri di distanza.
«Aria...». Sussurrò Kade, facendo scorrere le mani sulle mie cosce. Mani che poi si fermarono sui miei glutei ancora protetti dai jeans. «Aria». Pronunciò il mio nome quasi con rabbia, stringendo con i palmi il mio culo mentre io continuavo a baciarlo senza alcuna riserva o pietà.
«Che c'è?». Gli chiesi a mezza bocca, cominciando a scendere con le labbra sul suo collo.
«Se continui così ti giuro che ti scopo subito. Non me ne frega un cazzo se siamo nel mio studio e non nel mio letto». Continuò a riempire le sue mani della mia pelle toccandomi ovunque e accentuando così il significato di quello che aveva appena detto. Non si sarebbe fermato, se io glielo avessi permesso.
«Le parole, signor Acker. Da quando siamo così rudi?». Lo presi in giro, ridendo mentre gli sollevavo la maglietta per avere un più facile accesso al suo petto.
«Più o meno da quando la conosco, signorina Green».
«Non mentire».
«E va bene, sono sempre stato così. Ma tu fai decisamente uscire il peggio di me». Smettemmo di parlare. A parer mio, lo avevamo già fatto troppo, e proseguimmo per la via della passione. Quella via in cui non c'era pudore, vergogna o timidezza. C'eravamo solo io e lui, con le menti chiuse e i cuori aperti, con la vita reale fuori e la nostra intimità dentro, lì tra noi. E questo bastava. A me bastava, perché stavo vivendo e quel modo di vivere mi piaceva non poco.
Continuammo a baciarci per un bel po', godendo solo dei nostri corpi che si sfioravano, dei nostri sessi che si reclamavano e della nostra pelle che andava a fuoco per il contatto dell'uno con l'altra. Per la seconda volta in pochi minuti, impazzii, a tal punto che portai le mani sulla patta dei suoi pantaloni e cominciai a slacciarli.
«Dio, Aria. Io...». Kade cominciò a parlarmi ma le mie orecchie non ascoltavano, piene anch'esse dell'eccitazione che mi stava avvolgendo e assalendo. Solo un suono riuscì a interrompere la magia e ad abbattere il muro che impediva al mio udito di funzionare. Solo un insistente, fastidioso e ripetuto suono che si rivelò essere lo squillo del mio cellulare.
«Cazzo». Mi staccai un secondo da lui e, rimanendo sempre a cavalcioni sul suo corpo, tirai fuori il telefono dalla tasca anteriore dei jeans. Sul display comparve il nome di Cooper, accompagnato dalla mia seconda imprecazione. «Merda. Devo rispondere». Kade mi diede un colpetto sul culo, probabilmente per rimproverarmi delle mie parolacce, e mi guardò con uno sguardo curioso.
«Chi è?». Domandò, senza aggiungere altro. Non si lamentò per l'interruzione così come non mi chiese di evitare la chiamata, ed io lo apprezzai molto.
«Cooper. Forse c'è qualcosa che non va con Tommy e...».
«Tranquilla, Aria. Non devi giustificarti. Rispondi». Lo ringraziai con un sorriso sincero e mi scusai prima di alzarmi e allontanarmi di poco dal lettino. Non perché volessi tenerlo all'oscuro di qualcosa, ma semplicemente per forza dell'abitudine. Quando rispondevo ad una chiamata, ero solita stare sola.
«Cooper?». Finalmente risposi, accertandomi che ci fosse lui dall'altra parte del telefono.
«Aria, ciao».
«Tutto bene? È successo qualcosa?».
«Non è successo niente, non cominciare. Volevo solo avvisarti che Tommy ha un po' di febbre. Sei fissata con questa storia che devo chiamarti, così l'ho fatto». Aggrottai le sopracciglia, ignorando il suo commento finale e preoccupandomi della salute di mio figlio.
«Che vuol dire un po' di febbre? Gliel'hai misurata?».
«No, non ho il termometro».
«Come fai a non avere un termometro in casa, Cooper?». Esasperata, mi infilai una mano tra i capelli mentre con l'altra tenevo il cellulare all'orecchio. Quel gesto mi ricordò che, poco prima, erano le dita di Kade che stringevano i miei capelli, non le mie, così ritirai la mano e mi concentrai sulla chiamata.
«Mi si è rotto e non l'ho più comprato». Rispose. «Comunque non è questo il punto, Aria. Ti volevo solo avvisare. Tommy sta bene».
«Non sta bene, Cooper! Se ha la febbre, non sta bene! Perché devi fare il superficiale?». Guardai l'ora e notai che erano da poco passate le sette. «Ha mangiato?».
«Ancora no. Ha detto di non avere fame, per ora».
«Non preparare niente. Tra un quarto d'ora sarò lì». Mi voltai e guardai Kade come se volessi fargli sapere la mia decisione. Notai che, nel mentre della mia breve conversazione, si era alzato e ricomposto, ed ora mi osservava da lontano, con le mani in tasca e il culo poggiato in pizzo sul lettino.
«Aria, non c'è bisogno. Cazzo, sei la solita esagerata!».
«Non ti azzardare a dirmi cosa sono o non sono, Cooper. Se Tommy sta male, torna a casa con me. Non hai altra scelta. A tra poco».
«Aria...». Provò a parlare ma io gli attaccai il telefono in faccia, già stanca di lui.
«Scusami, Kade, ma devo andare. Mi dispiace così tanto...». Lo raggiunsi in fretta, dispiaciuta e rammaricata. «Tommy ha la febbre e ho bisogno di vedere come sta. Non me la sento di lasciarlo lì e...».
«Frena le parole, Aria. Respira». Mi posò le mani sulle guance e portò il mio viso a pochi centimetri dal suo. «Va tutto bene. Ti porto io da Cooper».
«Cosa?». Esclamai, sorpresa. «No! Non puoi assentarti il giorno dell'anniversario del tuo negozio! Kade, ti prego. Mi sentirei troppo in colpa».
«Non devi sentirti in colpa. Andiamo». Mi prese per mano e cominciò a dirigersi verso la porta che dava accesso al suo studio. Prima che riuscisse ad aprirla, però, lo tirai indietro e insistetti.
«Kade, no. Non c'è bisogno che tu venga. Resta qui e goditi la festa, ti scriverò quando sono a casa». Lui mi guardò ed io aspettai una sua risposta. Aspettai, aspettai, aspettai, fino a quando...
«Sei esasperante fino all'ultimo, eh?». Fu quella l'unica cosa che disse prima di girare la chiave della porta e uscire fuori, sempre mano nella mano con me. Quando approdammo in sala d'attesa, notammo che Jesse e Trixie erano ancora alla scrivania, e a loro si erano aggiunti anche Austin e Kham. «Ragazzi, devo andare. Accompagno Aria a prendere il figlio». Esclamò subito l'uomo al mio fianco, senza permettermi di fiatare.
«Io gli ho detto che non è necessario, ma Tommy ha la febbre quindi...».
«Tommy ha la febbre? Cavolo». Chiese Trixie, preoccupata.
«Nessun problema, amico. Va' pure. Ci pensiamo noi qui». Jesse tranquillizzò il suo amico e mi sorrise leggermente, comprendendo la mia situazione e consolandomi con lo sguardo.
«Grazie. Riporti tu a casa Trixie?». Gli domandò Kade.
«Con molto piacere».
«La macchina di Aria lasciatela qui. La verremo a prendere noi più tardi». Nella sua mente, quell'uomo aveva già pensato a tutto.
«Ricevuto, capo. Le chiavi?». Kade lanciò a Jesse quelle che pensai fossero le chiavi del negozio, poi prese cellulare e portafogli dal ripiano della scrivania e tornò da me. Prima di andare salutai Trixie con un abbraccio, promettendole di aggiornarla più tardi sulla situazione, e Jesse, Austin e Kham con un bacio sulla guancia. Kade fece un saluto generale a tutti e mi aspettò alla porta dove lo raggiunsi poco dopo, prendendolo per mano.
«Ehi, Kade». Stavamo per uscire ma la voce di Austin ci frenò e ci fece voltare.
«Sì?».
«Grazie per l'occasione. Jesse mi ha detto tutto». La sua espressione era un misto di gioia e stupore, e immaginai fosse così contento perché il suo primo tatuaggio stava per arrivare, vinto da Trixie con il Gratta e Vinci.
«Te lo meriti, Austin. Sono fiero di averti qui». Austin ci regalò un ultimo sorriso, un sorriso pieno di felicità e gratitudine, e non aggiunse altro.
Io e Kade finalmente uscimmo dal negozio e, una volta riusciti a superare la folla lì riunita, ci dirigemmo alla sua BMW. Impostai l'indirizzo di casa di Cooper sul suo navigatore e partimmo. Non parlammo molto durante il tragitto, sia perché nella mia testa giravano centinaia di pensieri tutti riguardanti la febbre di Tommy e sia perché, in realtà, col modo di guidare di Kade impiegammo un quarto d'ora scarso per arrivare. Caspita. A me ci volevano minimo venti minuti.
Kade parcheggiò la sua maestosa BMW a qualche metro di distanza dalla casa di Cooper ed io mi slacciai la cintura, pronta per scendere.
«Rimani qui?». Gli chiesi.
«Non vuoi che ti accompagni?».
«Ci metterò un attimo». Scesi velocemente dalla macchina e sentii lui spegnere il motore. Quando mi voltai, Kade mi sorrise e mi fece l'occhiolino, senza accennare a muoversi, confermando il fatto che mi avrebbe aspettata lì. Forse era meglio che lui e Cooper non si incontrassero, almeno per il momento.
Percorsi il vialetto che portava all'entrata di casa e suonai il campanello. Dopo pochi secondi, il mio ex si affacciò, fingendo addirittura di essere sorpreso di vedermi.
«Che ci fai qui?». Domandò.
«Sono venuta a prendere Tommy. Dov'è?». Mi protesi per guardare oltre la sua figura che poco interessava i miei occhi, ma non vidi nulla.
«Ti avevo detto che non ce n'era bisogno. Tommy sta bene».
«Ne riparleremo quando l'avrò visto. Tommy!». Alzai un po' il tono di voce per farmi sentire, ovunque lui fosse.
«Ma che problemi hai, Aria? Pensi che io non sia in grado di badare a mio figlio?». Fece un passo avanti verso di me, minaccioso. Il modo in cui pronunciò le ultime due parole mi fece quasi rabbrividire. Brividi di rabbia, fastidio e gelosia. Ma come si permetteva?
«Mamma». La voce un po' accasciata di Tommy risuonò nelle mie orecchie, facendomi dimenticare completamente chi avessi davanti. Mi spostai leggermente a destra e vidi il mio ometto in fondo al corridoio, nel suo pigiamino blu decorato con tante piccole automobili rosse e un orsacchiotto tra le braccia, già pronto per la ninna.
«Amore mio». Mi abbassai e gli feci cenno con le braccia di venire da me. Lui sorrise e cominciò a camminare nella mia direzione, ma non con lo stesso entusiasmo di come invece avrebbe fatto di solito. Quando mi raggiunse, si arrampicò sul mio corpo e mi circondò il collo con le braccia, lasciando l'orsacchiotto a penzoloni nella mano destra e poggiando la sua testolina sulla mia spalla.
La mia posizione preferita. Anzi, la nostra.
Io lo avvolsi e lo strinsi a me, proteggendolo dal freddo della sera, prima di andare a sentire col palmo la sua fronte. «Dio, Cooper. È bollente».
«Ma non è vero!». Ribatté subito lui. «Si è solo accaldato perché stava sotto le coperte». Alzai gli occhi al cielo.
«Non hai neanche il termometro, Cooper. Devo portarlo a casa». Cullai Tommy tra le mie braccia e lo sentii respirare profondamente. Si era già riaddormentato?
«Stronzate! Anche se avessi avuto quel fottuto termometro, saresti venuta lo stesso qui a rompere i coglioni!». Avanzò di nuovo nella mia direazione ed io gli lanciai un'occhiataccia.
«Non ti azzardare a parlare così davanti a lui». Parlai a bassa voce, ma lo feci con tutta la rabbia e l'astio che provavo nei suoi confronti.
«Devi sempre fare quello che ti pare e piace! Non te ne frega un cazzo di quello che penso io!». Fece l'ennesimo passo avanti, imperterrito. Io aprii la bocca per insultarlo – la pazienza ormai sotto lo zero – ma una voce alle mie spalle frenò le mie offese.
«Fossi in te, non andrei oltre». Mi voltai e vidi Kade a pochi metri da noi, le mani infilate in tasca e gli occhi puntati dritti verso Cooper. All'apparenza sembrava calmo e tranquillo ma, conoscendolo, sapevo quanto invece stesse ribollendo, l'incazzatura al limite. Menomale che gli avevo detto di aspettare in macchina, pensai.
«E questo chi è? Ti sei portata dietro il bodyguard?». Disse Cooper rivolgendosi a me e guardando con disprezzo Kade. Si metteva male.
«Non credo che Aria abbia bisogno del bodyguard. Sono solo un amico che l'ha gentilmente accompagnata». La sua pacatezza mi impressionò. Il suo tono, così calmo, faceva quasi paura. Parlava lentamente, come se davanti a lui ci fosse un ragazzino di dieci anni e non un uomo di trenta che, tra le altre cose, era anche il mio ex.
«Adesso li chiami amici quelli con cui scopi?». Di fronte alle sue parole rimasi a bocca aperta, le mani che prudevano per la voglia che avevano di mollargli uno schiaffo. Continuai a cullare Tommy tra le braccia, pregando che stesse veramente dormendo e che non stesse sentendo nulla di ciò che stavamo dicendo.
«Mi fai schifo, Cooper». Lui rise, una risata amara e crudele.
«Non pensavo ti piacessero i ragazzacci tutti tatuati. Quando stavi con me eri una santarellina». Avanzai nella sua direzione, pronta ad inveirgli contro nel peggiore dei modi.
«Io ti giuro che...».
«Va' a prendere le cose di Tommy, Aria». Kade mi interruppe ed io voltai la testa per guardarlo. Il suo sguardo era serio così come la sua postura, rigida e dura. Tentennai un po', non sapendo bene cosa fare, e lui parve accorgersene, tanto che insistette. «Vai. Ti aspetto qui». I suoi occhi mi consolarono, illuminando di poco il buio che ci circondava e scaldando leggermente la freddezza del mio cuore.
La mia rabbia si alleviò quel che bastò per permettermi di tornare a ragionare con lucidità e a dargli retta. Con ancora Tommy in braccio, feci un passo avanti per entrare in casa. Vidi Cooper allungare una mano in direzione del mio polso, ma non riuscì ad arrivare a destinazione, bloccato per l'ennesima volta dalla voce dell'uomo alle mie spalle.
«Non ti azzardare a toccarla, o non rimarrò più tanto calmo». Il coglione sembrò accusare il colpo tanto che, senza dire nulla, decise di ritrarre la mano e di eseguire ciò che gli era stato detto. Io entrai in casa senza più guardarmi indietro, raggiunsi la camera dove sapevo che dormiva Tommy, recuperai il suo zainetto con le sue cose dentro e mi affrettai ad uscire per tornare da Kade. Non li sentii parlare e quando tornai da loro li trovai in silenzio a sputarsi fuoco con gli occhi e a farsi la guerra a colpi di sguardi.
«Buonanotte, Cooper». Fu l'unica cosa che riuscii a dire senza nemmeno voltarmi. Kade, invece, gli fece un mezzo cenno del capo e poi mi affiancò, dirigendosi con me verso la sua macchina. In pochi minuti montammo e ci allontanammo da lì. Ora che c'era anche Tommy, la guida di Kade era molto più tranquilla e delicata. Tra noi si sentiva solo il rumore della musica in radio e il respiro profondo di mio figlio che dormiva ancora sulla mia spalla.
«Perché hai detto di essere un mio amico?». La mia domanda fu improvvisa. Quasi non mi accorsi neanch'io di averla fatta, riempiendo così il silenzio presente in auto.
«Perché non trovavo necessario sbattergli in faccia che sei la mia bellissima ragazza». Spostò la testa leggermente di lato e formò con le labbra un piccolo sorriso, per poi tornare a guardare la strada. «È stato lui a farti quel livido, non è così?». Quella richiesta mi sorprese. Un attimo prima mi sorrideva, il secondo dopo mi chiedeva una cosa del genere. Ero un po' confusa, talmente tanto che non riuscii immediatamente a rispondere.
«Che intendi?». Chiesi, accarezzando i capelli di mio figlio con la mano destra in un gesto rilassante e pieno d'amore.
«Il livido che ti ho visto sul braccio quella sera a casa tua. Quello di cui non hai voluto parlare». Ripercorsi nella mente le settimane passate e mi ricordai di quel famoso livido.
«Come ti è venuto in mente adesso?».
«Che importa?». Ribatté lui. «A me interessa più sapere se è stato lui». Scossi la testa e guardai fuori dal finestrino, raccogliendo i pensieri prima di rispondere.
«Non l'ha fatto volutamente. Almeno credo. Abbiamo discusso perché non gli ho dato il permesso di portare Tommy in campeggio».
«Bene».
«Bene?».
«Ora ho un buon motivo per odiarlo». Affermò Kade, più serio che mai. Decisi di non dire niente. Ero stanca, la giornata era stata lunga e non avevo alcuna voglia di discutere o di ripensare a quell'accaduto. Chiesi gentilmente a Kade di fermarsi in farmacia prima di andare a casa. Avevo insistito nel farmi portare al mio appartamento ma lui non ne aveva voluto sapere niente e, alla fine, avevo ceduto. Volevo solo mettermi a letto e prendermi cura di mio figlio.
In farmacia comprai supposte, tachipirine e anche un termometro digitale. Kade mi aveva detto di averlo, un termometro, ma avevo molta voglia di avere uno di quei cosi elettronici digitali quindi mi convinsi subito ad acquistarlo. Una volta finito quel giro di shopping, tornammo in auto per dirigerci verso casa. Non passammo a recuperare la mia macchina e decidemmo insieme di occuparcene l'indomani.
Scoprii che l'abitazione di Kade non era un appartamento come il mio, ma una vera e propria villetta a pochi kilometri dall'Ink. Appena entrati, mi fece fare il giro della casa e mi mostrò le stanze. Si sviluppava tutta su un piano: pavimento in parquet, salone ampio, cucina moderna, due bagni, una camera da letto matrimoniale e una piccola stanza che fungeva da sgabuzzino.
«Stanotte puoi stare qui con Tommy. Io dormirò sul divano». Lo ascoltai mentre depositavo mio figlio con la massima delicatezza ad un angolo dell'enorme letto matrimoniale che riempiva la sua camera. «Puoi prendere tutto ciò che vuoi dall'armadio. Le magliette sono nel primo cassetto mentre i pantaloni li trovi al secondo. Il bagno sai già dov'è».
«Grazie». Lo guardai e gli sorrisi. Era poggiato allo stipite della porta e studiava con gli occhi ogni mia mossa.
«Se ti serve qualcosa, sono in salone».
«Sistemo Tommy e arrivo». Kade mi lasciò sola ed io mi occupai subito di mio figlio. La prima cosa che feci fu misurargli la febbre con il termometro digitale appena comprato. 38.2°, come sospettavo.
Decisi di dargli una supposta, l'unica cosa che poteva in quel momento abbassargli di poco la febbre. Lui si lamentò un pochino ma poi tornò subito nel suo sonno profondo.
Gli sistemai per bene il pigiamino azzurro che già aveva addosso e lo infilai sotto le coperte, coprendolo solo con un lenzuolo leggero per fare in modo che non gli si alzasse ancor di più la temperatura. Gli depositai un bacio sulla fronte e cominciai a spogliarmi.
Come detto da Kade, trovai nel primo cassetto tutte le sue T-shirt ben piegate. Ne scelsi una nera semplice e me la infilai senza nulla sotto. Poi, nel secondo cassetto, trovai un paio di pantaloncini da calcio dello stesso colore e indossai anche quelli, tirandoli su in vita per farli risultare più corti e farli sembrare più da donna. Una volta sistemato tutto, lasciai la stanza e mi chiusi la porta alle spalle per evitare che qualche rumore svegliasse Tommy.
Quando approdai in salone, trovai Kade seduto sul divano a smanettare col cellulare.
«Ehi». Attirai la sua attenzione e lui alzò subito la testa, guardandomi. Più che altro, mi squadrò da capo a piedi e sorrise, apprezzando i suoi vestiti sul mio corpo.
«Ti stanno bene». Affermò. «Ho contattato Jesse, comunque. Ha detto che la festa è finita mezz'ora fa e che hanno chiuso da poco. Ora riporta Trixie a casa».
«Fantastico. Ringrazialo tanto da parte mia». Mi avvicinai a lui e mi sedetti sul bordo del divano.
«Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare?». Mi chiese.
«In realtà, no. Ho stuzzicato qualcosa all'Ink».
«Acqua?».
«Un po' d'acqua sì, grazie». Seguii Kade in cucina, dove mi versò un bicchiere d'acqua che accettai volentieri. Mi dissetai con piacere e poi depositai il bicchiere usato nel lavandino. Sentivo un po' di tensione tra noi. Non tensione negativa, intendiamoci, ma quella tensione che crea un po' di imbarazzo. Stava facendo di tutto per farmi sentire a mio agio e lo apprezzavo, ma forse era il peso della lunga giornata sulle spalle che non mi permetteva di rilassarmi del tutto.
«Buonanotte, allora». Esordii quando tornammo in salone. «Vado un attimo in bagno e poi mi metto a letto». Kade annuii e si diresse al divano. Mi guardò come se volesse avvicinarsi per toccarmi e baciarmi ma non lo fece, forse per lasciarmi il mio spazio.
«Se vuoi lavarti i denti puoi usare il mio spazzolino. Altrimenti dovrebbe essercene uno nuovo nel mobile affianco al lavandino». La sua gentilezza e la sua attenzione nei miei confronti superava gli standard. Gli sorrisi e lo ringraziai per l'ennesima volta, grata di tutto quello che aveva fatto e che continuava a fare. Anche lui mi diede la buonanotte e poi mi lasciò andare via.
Andai in bagno con una sensazione strana, come se qualcosa mancasse all'appello. Decisi di lasciar perdere lo spazzolino nuovo e utilizzai il suo, lavandomi velocemente i denti e guardandomi nel mentre allo specchio. La sua maglietta mi stava larga e copriva quasi del tutto i pantaloncini che avevo voluto rendere più corti. La coda alta si era un po' abbassata e leggermente spettinata, così decisi di scioglierla completamente e di lasciare che i capelli lunghi mi ricadessero sulle spalle.
Guardare il riflesso del mio volto stanco mi portò a ripensare all'intera giornata. Decisi di lasciar perdere i momenti brutti, come lo scontro con Cooper e la febbre di Tommy, e di concentrarmi invece su quelli più belli. La festa per i nove anni dell'Ink era andata a gonfie vele, avevo conosciuto una persona importante per Kade e mi ero divertita. Nonostante avessi dovuto combattere con la testardaggine e la gelosia di quell'uomo, mi ero rilassata e avevo passato un pomeriggio quasi del tutto spensierato.
Era bello vivere quei momenti, era bello esser presente in eventi come quelli, ritenuti importanti per la persona che si ha al proprio fianco, ed io mi consideravo felice. Felice di avere un piccolo posto riservato nella vita di Kade.
Quei pensieri fecero scattare qualcosa nel mio cuore, come se una piccola parte di esso avesse preso più consapevolezza del sentimento che provavo nei suoi confronti.
Ripensai al nostro momento intimo nel suo studio, ripensai alle sue mani sul mio corpo e alle nostre pelli a contatto. Ripensai alle mille sensazioni che mi faceva provare nell'arco di una sola giornata e capii. Capii che non era così il modo giusto di finirla, quella giornata. Capii quale era il tassello mancante che avevo sentito dentro me stessa quando mi ero chiusa in bagno.
In quel momento, davanti allo specchio, capii l'importanza di una carezza, di un bacio, di un semplice gesto. Non avrei dormito, se non l'avessi toccato. Non avrei dormito, se non avessi posato le mie labbra sulle sue, per un solo unico istante. Non sarei stata tranquilla, se non fossi andata di là e non gli avessi dato la buonanotte come meritava. Perché la vita è troppo breve e va rincorsa se la si vuole vivere al meglio. Quindi perché sprecare momenti del genere? Perché negarmi all'uomo che, in quel momento, occupava il mio cuore?
Finii di lavarmi i denti più veloce che mai, mi asciugai e uscii di corsa fuori dal bagno. Raggiunsi il salone in pochi secondi, tanto che mi venne il fiatone. Quando mi affacciai, trovai Kade con indosso solo i pantaloni che sistemava il divano dove avrebbe dormito quella notte. Appena mi vide si corrucciò, pensando subito che ci fosse qualche problema.
«Tutto bene, Aria? Ti serve qualcosa?». Mi domandò, lasciando cadere dalle mani la coperta che avrebbe usato per coprirsi. Io aspettai prima di rispondere, troppo distratta dai suoi pettorali e dai suoi tatuaggi in bella mostra. Era bellissimo e scatenava in me un tripudio di emozioni che mi faceva impazzire. Diventavo folle, quando lo vedevo. E fu quella follia a darmi il coraggio.
«Solo una cosa». Ribattei dopo un po', avvicinandomi di corsa a lui.
Mi bastarono pochi secondi a percorrere la distanza che ci separava e, quando finalmente lo raggiunsi, mi buttai fra le sue braccia e lo baciai senza permettergli di dire altro. Inizialmente Kade rimase sorpreso, talmente tanto che ci mise un po' a realizzare. Ma quando focalizzò le mie labbra attaccate alle sue e le mie mani nei suoi capelli, allora cedette. Mi avvolse e strinse al suo petto, ed io ritrovai la pace. Rispose con foga al mio bacio, prendendo il comando come se non avesse aspettato altro. Infilò la lingua nella mia bocca e mugolò di piacere quando la strinsi leggermente tra i denti prima di lasciarla passare. Lo toccai ovunque. Le mie mani smaniose si dedicarono un po' ai suoi capelli ma poi passarono oltre, scendendo sulle spalle, percorrendo le sue braccia e poi ancora i suoi addominali.
«Aria, basta. Se continui così non riuscirò più a dormire, stanotte». Pronunciò quelle parole supplicanti rimanendo attaccato alle mie labbra, ma lo ignorai. Se non fossi andata oltre, non sarei riuscita a dormire neanche io. Per fargli capire che non avevo alcuna intenzione di fermarmi portai le dita sulla sua patta, slacciai il bottone e tirai giù la lampo. Questa volta, nessun telefono ci avrebbe interrotti.
«Aria, sei sicura? Non sveglieremo Tommy?». Kade si staccò leggermente da me per guardarmi negli occhi. In quel momento, voleva una risposta.
«Faremo piano. Ti prego, Kade, ne ho bisogno». Gli abbassai con forza i pantaloni, portando via anche i boxer, e lo spinsi sul divano. Mi sfilai al volo la maglietta e mi misi sopra di lui che intanto si era sdraiato occupando l'intero sofà.
«Non me lo ripetere due volte». Fu l'unica cosa che riuscì a dire prima di subire un altro mio assalto alla sua bocca. Lo baciai, lo morsi, lo leccai. Ero persa, vogliosa, piena di desiderio. Kade infilò le mani sotto i pantaloncini che ancora portavo e mi strinse con forza i glutei, tirandoli e arrossandoli. Io affondai il viso nel suo collo e soffocai un gemito sulla sua pelle, cercando in tutti i modi di non fare rumore.
«Mi fai impazzire». Avrei tanto voluto dirgli quanto mi rendesse pazza lui, ma non ne avevo la forza. Volevo agire, non parlare. Mi liberai presto dei pantaloni quando Kade me li abbassò e rimasi a cavalcioni sul suo corpo con solo gli slip addosso. Li spostai velocemente da un lato, liberando il mio sesso, e mi abbassai sul suo membro, impalandolo e unendo così i nostri corpi. Lo sentii emettere un ringhio, sorpreso probabilmente dal mio gesto rapido e inaspettato, e mi inebriai della sua eccitazione. Iniziai a cavalcarlo lentamente, dando tempo a entrambi di respirare, poi sempre più forte, desiderandolo più di ogni altra cosa. Lui accolse le mie spinte, rispondendo con violenza ad esse. Mi afferrò per il collo con la mano e mi portò ancor più vicino al suo viso, impadronendosi della mia bocca con tenacia e passione. Decidemmo di non dar sfogo alla nostra eccitazione, soffocando e reprimendo i gemiti che uscivano dalle nostre bocche ed evitando, quindi, di far troppo casino.
«Kade...». Pronunciai il suo nome quasi con sofferenza e lui capì che ero arrivata quasi al culmine. All'improvviso ribaltò le posizioni ed io mi ritrovai con la schiena poggiata sui cuscini morbidi del divano e il suo corpo imponente a farmi da scudo. Aumentò il ritmo delle spinte e cominciò a sbattermi come doveva, facendomi vedere le stelle. Una botta, poi un'altra e un'altra ancora fino a quando non esplodemmo in un orgasmo silenzioso. Per non urlare affondai i denti nella sua spalla mentre lui nascondeva il viso nell'incavo del mio collo.
«Dio...». Kade sospirò e si lasciò andare, accasciandosi su di me e stringendomi in un abbraccio aggrovigliato. Riprendemmo entrambi fiato ed evitammo di parlare. Mi stavo anche per addormentare, se non fosse che lui prese a riempirmi il volto di piccoli baci delicati. «Sei stanca?». Mi chiese in un sussurro.
«Un po'». Risposi io, disegnando con le dita una carezza sulla sua schiena.
«È ora di andare a dormire, allora». Mi baciò sulla punta del naso prima di alzarsi e rivestirsi. Anche io trovai, non so dove, la forza per sollevarmi dal divano e ricompormi del tutto. Ci sbaciucchiamo un altro po' prima che Kade non mi costringesse a tornare in camera e a riposarmi. Decisi di ascoltarlo e, dopo avergli dato per l'ultima volta la buonanotte, mi diressi nell'altra stanza e lo lasciai solo. Quando entrai in camera, trovai Tommy nella stessa esatta posizione in cui lo avevo lasciato, avvolto dal lenzuolo e immerso in un sonno profondo. Mi avvicinai a lui, gli toccai la fronte e mi tranquillizzai leggermente. Non era caldo come prima, quindi immaginai che la supposta avesse fatto effetto. Con delicatezza lo spostai verso il centro del letto che, a parer mio, era anche fin troppo enorme, e mi accomodai al suo fianco. Mi misi sotto le coperte insieme a lui e lo abbracciai, cercando in tutti i modi di non disturbarlo. Il peso di quella giornata si catapultò immediatamente su di me così, in un attimo, raggiunsi mio figlio nel mondo dei sogni.
Quando aprii gli occhi, la mattina dopo, mi complimentai con me stessa per aver dormito tutte quelle ore. Con lo sguardo ancora sfocato guardai la sveglia sul comodino affianco al letto e lessi l'ora. 8:12 a.m. Caspita, avevo dormito davvero tanto. A quanto pareva, durante la notte avevo dato le spalle a Tommy quindi in quel momento non riuscivo a vederlo. Sentendo nella stanza assoluto silenzio, mi mossi con cautela e mi girai, pensando che mio figlio stesse ancora dormendo. Quando mi voltai, però, quello che mi si presentò di fronte agli occhi fu qualcosa di assolutamente inaspettato.
Kade e Tommy erano sdraiati proprio lì. Insieme. Mio figlio non stava più a pancia sotto ma era poggiato di lato, con lo sguardo rivolto verso di me e la schiena attaccata al petto di quell'uomo. Ma quando era venuto in camera? Durante la notte? Kade aveva il braccio sinistro avvolto al corpicino di Tommy che, in confronto a lui, sembrava una miniatura. Indossava la maglietta e i pantaloni della sera prima ma non si trovava sotto le coperte, e quello mi portò a pensare che sì, probabilmente ci aveva raggiunti durante la notte oppure la mattina stessa.
Dormivano. Avevano entrambi gli occhi chiusi e respiravano profondamente e... Li trovavo bellissimi.
Mai avrei creduto potesse accadere una cosa del genere. Mai avrei pensato di svegliarmi la mattina e vedere mio figlio accoccolato al petto di un uomo, le manine paffute poggiate sul lenzuolo bianco. E mai e poi mai avrei immaginato che al mio cuore sarebbe mancato un battito nell'assistere a quella scena.
Avrei voluto prendere una macchina fotografica e immortalare quel momento per poterlo rivedere tutte le volte che lo desideravo. Avrei voluto fermare il tempo e godermi quell'attimo il più possibile, per studiarne ogni dettaglio. Avrei voluto che la vita fosse sempre così, che mi regalasse momenti del genere ogni istante di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno, perché era bello sentirsi in quel modo, come se fossi completa, imbattibile.
Se mai qualcuno avesse chiesto cosa fosse per me la felicità, io gli avrei raccontato di loro, di quel risveglio, di quella scena e di quel che mi facevano provare, perché nulla sarebbe stato eguagliabile a ciò che sentivo dentro il mio cuore in quel preciso momento.



L'angolo dell'Autrice
Volevo augurare un felice anno nuovo a tutte e tutti voi, sperando che Kade e Aria abbiano reso questo giorno ancora più speciale.
A presto...
Sylvie

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