Capitolo XVI

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Aprii gli occhi un po' a fatica, distrutta mentalmente ma soprattutto fisicamente.
La notte precedente Kade aveva dato il meglio di sé. Dopo una non troppo lunga scopata di riappacificamento, aveva deciso veramente di legarmi al letto, utilizzando le manette che aveva tirato fuori dal cassetto del suo comodino e che, a detta sua, gli erano state regalate dal suo migliore amico.
Non avevo mai fatto una cosa del genere ma dovevo ammettere che era stato parecchio eccitante. Mi aveva stuzzicata in tutti i modi possibili, mandandomi fuori di testa senza mai soddisfarmi a pieno fino a quando non ero arrivata al punto di urlargli contro dicendogli di slegarmi e di fottermi come doveva.
Era stato bello, ed ero letteralmente impazzita. Dopo due lunghe ore passate nel letto, avevamo deciso di alzarci e di sgranocchiare qualcosa, nonostante fossero passate da un pezzo le undici.
Kade aveva riprovato a chiedermi di potermi accompagnare da Cooper, questa volta più gentilmente, ma io avevo mantenuto il punto. Quando ci eravamo rimessi a letto per dormire, lui mi aveva abbracciata da dietro e mi aveva sussurrato all'orecchio un bel «Domattina ti convincerò». Io avevo sbuffato ma avevo deciso di lasciar perdere, perché volevo riposarmi e non discutere l'ennesima volta sulla stessa questione.
Ora mi trovavo nel letto. Lui dormiva profondamente al mio fianco ed io non sapevo minimamente cosa fare.
Guardai l'ora. 8:52 a.m. Dovevo anche darmi una mossa perché sarei dovuta andare a prendere Tommy per le nove e mezza, massimo dieci.
Voltai lo sguardo e guardai Kade. Aveva gli occhi chiusi, la schiena scoperta, le braccia infilate sotto al cuscino e indossava solo un paio di boxer.
Cercando di fare meno rumore possibile, mi alzai lentamente e cominciai a raccogliere i miei vestiti sparsi qua e là per la stanza. All'improvviso Kade mugolò ed io mi bloccai proprio in procinto di prendere la maglietta buttata vicino all'armadio. Lo osservai cambiar posizione e pregai che non si svegliasse. Stranamente le mie preghiere furono accolte, così lasciai andare il respiro che senza accorgermene avevo trattenuto e mi diressi fuori dalla stanza. A quel punto andai in bagno e mi sistemai. Mi lavai i denti e la faccia, mi pettinai i capelli e mi rivestii in fretta, pensando nel mentre a cosa fare.
Nel momento in cui tornai in camera, però, non mi era venuto in mente un bel niente.
Mi guardai intorno, puntando le mani sui fianchi. Sarei potuta andar via senza svegliarlo, il problema era che non volevo farlo. Avevo voglia almeno di dargli il buongiorno, di baciarlo e di dirgli che ci saremmo rivisti presto, ma sapevo che lui non mi avrebbe mai lasciata andare.
Visto com'era andato il giorno prima e vista la sua insistenza, ero sicura che mi avrebbe fatta incazzare fino a quando non avrei ceduto e non gli avrei permesso di venire con me. È proprio cocciuto! Pensai. Ma quella volta non potevo dargliela vinta. In qualche modo, dovevo fargli capire che non avrebbe più dovuto insistere, che non avrebbe più dovuto aprire quella discussione, perché per anni mi ero relazionata a Cooper senza problemi e lui non poteva cambiare le cose. Doveva capire che il suo compito non era fare la guardia del corpo, ma essere il mio ragazzo. Fine della storia.
All'improvviso i miei occhi si posarono sul suo comodino e un'idea pazza mi passò per la mente. Un'idea folle, irrazionale e forse un po' eccessiva si fece largo nell'anticamera del mio cervello e scossi subito la testa. Non puoi, Aria! Feci un passo avanti, poi uno indietro, cominciando una furiosa lotta tra corpo e mente. Cazzo... Mi dissi che non potevo fare una cosa del genere, che era assurdo e insensato, ma intanto il tempo sull'orologio scorreva ed io ne avevo sempre meno. Da un momento all'altro, Kade si sarebbe accorto della mia assenza nel letto e si sarebbe svegliato. Datti una mossa!
A quel punto, la parte più irragionevole di me prese con forza il comando e mi guidò verso il comodino. Le azioni vinsero sui pensieri e in pochi secondi mi ritrovai ad afferrare con le mani le manette che proprio la notte prima lui aveva utilizzando su di me. Stai facendo una grandissima cazzata, pensai, ma non fu di certo quello a fermarmi.
Kade ora si trovava a pancia sopra e aveva le braccia facilmente accessibili. Come prima cosa, feci passare le manette su una sbarra della testiera del letto per fare in modo di incastrarle lì. Con la massima delicatezza che mi apparteneva, gli presi un braccio e glielo portai sopra, chiudendo il suo polso destro in uno dei due cerchi in acciaio. Lo sentii lamentarsi – si stava sicuramente svegliando – così gli montai sopra a cavalcioni e gli tirai su l'altro braccio con meno delicatezza di prima. Lo accarezzai sul petto, come se volessi distrarlo, mentre con l'altra mano gli intrappolavo il polso sinistro. È fatta. Mi dissi, ma pensai anche a quanto quella fosse una pessima idea.
Cazzo, cazzo, cazzo. E ora che faccio? Stavo quasi per cambiare idea, dandomi della stupida, ma Kade non me ne diede il tempo e aprì i suoi bellissimi occhi. Merda.
«Ehi, piccola». La sua voce roca di prima mattina mi fece sciogliere. Lui sorrise, ingenuo e non cosciente della sua posizione, e vidi un velo di eccitazione attraversargli lo sguardo. «Se mi svegli così tutte le mattine, potrei...». D'improvviso si interruppe, accorgendosi di non poter muovere le braccia, e sollevò la testa verso l'alto. «Che cazzo succede, Aria?». Da dolce quale era, il suo tono divenne arrabbiato e leggermente confuso. Mosse le braccia con forza, facendo tintinnare le manette contro la testiera, pensando stupidamente di potersi liberare.
«Ti ho ammanettato al letto». Affermai l'ovvio, senza sapere cos'altro dire.
«E per quale motivo l'avresti fatto?». Non sorrideva più, ormai. Mi guardava attentamente, studiando le mie espressioni e le mie mosse.
«Per farti capire che non mi puoi convincere e che non puoi fare sempre quello che vuoi. Sono grande abbastanza per...».
«Sei grande abbastanza per proteggerti da sola, sì, me l'hai già detto. Ho recepito il messaggio. Ora slegami». Mi interruppe Kade e il suo tono non mi piacque per niente. Non era il tono di una persona che sembrava aver compreso.
«Ah, sì? Quindi se adesso ti slego, cosa farai?».
«Una cosa che non si può dire ad alta voce». Rispose lui ed io capii subito.
«Non ho tempo per quello. Devo andare a prendere Tommy».
«Non me ne frega un cazzo, Aria. Potevi pensarci due volte prima di legarmi a questo fottutissimo letto». Sollevò il bacino, dandomi un assaggio del suo membro eretto ed eccitato, ed io non riuscii a trattenere un gemito. «Quindi prima faremo quello che dico io, poi ti accompagnerò da Cooper e tu non ti opporrai». La passione che mi aveva leggermente travolto a causa del contatto tra i nostri sessi sparì di colpo. Lo guardai, spalancando la bocca senza credere alle sue parole.
«Non hai capito proprio un cazzo, allora!».
«Aria...». Il suo avvertimento non mi toccò minimamente. Mi alzai dal suo corpo e scesi dal letto, la rabbia che ormai comandava le mie azioni.
«Sei testardo, Kade, ma io lo sono più di te. E se non lo capirai con le buone, allora lo farai con le cattive».
«Che cazzo stai dicendo?». Lo ignorai. Evitando di guardarlo, andai a recuperare le mie scarpe e le infilai. Sentivo i suoi occhi puntati dritti su di me e il suo nervosismo aleggiare e riempire l'intera stanza. «Aria». Continuò a chiamarmi insistentemente ma feci finta di non sentirlo. Cercai con lo sguardo i suoi pantaloni e controllai nelle tasche se ci fosse il suo cellulare. Bingo! Lo sbloccai, entrai nella rubrica e mi inviai da sola il numero di telefono di Jesse. «Cosa stai facendo?».
«Sto provvedendo alla tua scarcerazione». Gli sorrisi in modo finto prima di rimettere il cellulare dove l'avevo trovato.
«Non puoi lasciarmi qui».
«Oh, sì che posso». Di fronte ai suoi occhi presi la borsa e me la misi in spalla.
«Stai facendo un grosso sbaglio, Aria».
«Prima di giudicare me e i miei sbagli, dovresti interrogare te stesso e chiederti dov'è che hai sbagliato tu, Kade». Detto quello, uscii dalla camera e me ne andai. Le sue urla non mi fermarono. Il suo gridare il mio nome non mi scalfì di un millimetro. In pochi secondi mi ritrovai fuori casa sua, dentro la mia auto, consapevole e cosciente che le mie azioni, probabilmente, avrebbero avuto delle conseguenze.
Dopo aver percorso qualche kilometro ed aver sbollentato un po' di rabbia e nervosismo, presi il telefono e chiamai il numero che mi ero inviata dal cellulare di Kade.
«Pronto?». Sentii la voce di Jesse riempire gli altoparlanti della mia auto.
«Ehi, Jesse. Sono Aria».
«Aria, ciao. Tutto bene?». Mi chiese gentilmente.
«Diciamo di sì. Mi servirebbe un favore, però».
«Dimmi tutto».
«Oggi dovete lavorare all'Ink? Kade mi ha detto che aveva delle cose da fare».
«Oh, sì. Tutti quei tatuaggi gratis che sono stati vinti li abbiamo infilati la domenica perché durante la settimana siamo pieni, quindi oggi ci tocca lavorare». Mi spiegò lui e io annuii, anche se non poteva vedermi.
«E Kade a che ora dovrebbe stare lì?». Jesse parve rifletterci un attimo prima di rispondere.
«Se non sbaglio il suo primo appuntamento è alle dieci. Ma perché, Aria?».
«Ecco...». Pensai a come spiegargli la situazione nel modo più semplice possibile. «Tra mezz'ora potresti passarlo a prendere a casa sua? Gli servirebbe una mano per venire e credo che voglia vedere solo te».
«Mh». Ribatté Jesse che, ovviamente, non ci stava capendo più di tanto. «Sono un po' confuso».
«Lo so, ma capirai tutto quando lo vedrai». Gli dissi io, pregandolo silenziosamente di accettare e di non fare altre domande.
«Meglio non chiedere, vero?». Chiese lui, quasi mi avesse letto nel pensiero.
«Meglio non chiedere, sì».
«E va bene». Affermò. «Tra mezz'ora sarò da lui».
«Grazie, Jesse. Grazie davvero di cuore».
«Non devi ringraziarmi, Aria».
«Invece sì. E cerca di farlo ragionare, se riesci. Sarà un po' di cattivo umore, credo».
«Ricevuto. Ci sentiamo, allora».
«A presto, Jesse». Chiusi la chiamata e il mio cuore si acquietò. Continuavo ad essere agitata e arrabbiata, ma sicuramente ero più tranquilla di prima sapendo che qualcuno sarebbe andato a slegarlo e a recuperarlo. Mi avrebbe perdonata, per quello? Insomma, nonostante tutto, avevo pensato a lui, quindi non ero stata poi così crudele, no? Già... Bisognava solo vedere se Kade pensasse lo stesso, però.

***

«L'ho ammanettato al letto, Trixie».
«Non ci credo! Da quando la mia amica è così focosa? Mi hai battuta, cavolo».
«No, non hai capito. L'ho legato al letto e me ne sono andata».
«Dove? Al bagno?».
«Ma no!».
«Tesoro, devi spiegarti meglio, allora. Sono alquanto confusa». Sospirai e mi accasciai su una delle tante sedie presenti in pasticceria. Era passata qualche ora dal misfatto e in quel momento, non sapendo ancora come, avevo preso coraggio e avevo chiamato la mia migliore amica con l'intenzione di spiegarle tutto.
«Ultimamente Kade si è fissato col volermi accompagnare da Cooper per controllare che non succeda nulla. Insomma, non gli è piaciuto il comportamento della scorsa volta e...».
«Chi può biasimarlo? Cooper "Il Coglione" Cole sa essere stronzo quando vuole». Mi interruppe Trixie parlando con la bocca piena di qualcosa.
«Lo so! Però lo conosco da anni e i nostri rapporti da genitori separati vanno avanti da più di quattro. Quindi, secondo te, posso o non posso gestirlo?».
«Puoi». Rispose subito lei. «Anche se lo prenderei a ceffoni volentieri, se potessi. Anzi, no! Un bel calcio nelle palle. Uhhh... Quanto mi farebbe bene dargli un calcio nelle palle!». Al solo pensiero Trixie godette e lasciò trasparire tutta quella sua goduria col tono di voce. Alzai gli occhi al cielo.
«Hai finito?».
«Sì, va' avanti». Feci un respiro e proseguii.
«Dicevo... A causa di questo abbiamo discusso, ma io più e più volte ho ribadito il mio punto. Ieri, però, Kade non ne voleva sapere niente di ragionare, non faceva altro che insistere e dire che mi avrebbe convinta. E poi non so cosa mi è preso». Mi fermai un attimo, raccogliendo i pensieri legati a quella mattina. «Ho visto quelle manette poggiate sul comodino e... L'ho legato al letto. Lui si è svegliato. Si è incazzato. Ha detto che dovevo liberarlo e, non contento, ha detto anche che mi avrebbe accompagnata e che non mi sarei dovuta opporre. Capisci? Io mi sono incazzata. L'ho mollato lì e me ne sono andata. Fine». Conclusi così, come se stessi raccontando una favola senza lieto fine e senza ironia.
«Ma che bella storia d'amore...».
«Trixie». La rimproverai, ammonendola di fare sul serio.
«E va bene, niente battute». Disse solo, senza aggiungere altro.
«Non hai nulla da dire?». Domandai. «Nulla da controbattere? Ho ammanettato un uomo al letto, te ne sei accorta?».
«Me ne sono accorta, mia cara amica, ma ormai il danno è fatto. Lui ti ha contattata? Sai che fine ha fatto?». Scossi la testa, anche se ero sola e nessuno poteva vedermi.
«Niente di niente. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. Nessuna minaccia di morte. So solo che ho mandato Jesse a liberarlo e che doveva lavorare all'Ink, quindi credo sia lì».
«E quindi sei ancora salva, per adesso».
«Non è divertente».
«Lo è molto, invece. Che stai facendo, comunque? Sei a casa?». Ricordandomi dove fossi e cosa stessi facendo, mi alzai di corsa e mi diressi verso la cucina.
«No, sono venuta in pasticceria. Dopo aver portato Tommy da mamma non sapevo più cos'altro fare. Dato che fare i dolci mi rilassa, tanto vale starmene un po' qui». In fretta e furia, tenendo il cellulare tra orecchio e spalla per non farlo cadere, tirai fuori dal forno la teglia coi biscotti e la posai sul tavolo. Controllai la cottura e sorrisi soddisfatta. Erano pronti.
«Non mi dire che hai fatto i biscotti al cocco». Esclamò Trixie ed io sghignazzai, colpevole. «Hai fatto i biscotti al cocco!». Urlò lei, intuendo la verità solo dalla mia risata. «Sono i miei preferiti, quelli!».
«Te li lascerò, promesso». Erano i nostri biscotti preferiti in assoluto e in rare occasioni mi capitava di farli perché, una volta fatti, eravamo capaci di mangiarcene una teglia intera.
«Vorrei ben vedere!». Per qualche altro minuto restai al telefono con Trixie, parlando del più e del meno. Poi però, dovendo provvedere ai cookies, la salutai e le promisi di richiamarla presto.
Una volta tolto il cellulare di torno, mi dedicai alla mia cucina e cercai di non pensare ad altro, ma ovviamente la testa non mi diede molta tregua. Da quando avevo messo piede in pasticceria, quel giorno, non avevo fatto altro che chiedermi se avessi agito bene o male. Insomma, ammanettarlo al letto non era stata probabilmente una grande idea, ma credevo che i motivi fossero abbastanza validi. O no? Doveva capirlo, in qualche modo, il mio punto di vista. E se non riusciva a farlo così, non sapevo che altro inventarmi.
Per un'ora intera mi occupai dei cookies con le gocce di cioccolato, secondi nella mia lista dei preferiti. Nel mentre del mio lavoro mangiucchiai quattro o cinque – forse sei? – biscotti al cocco, poi mi obbligai a fermarmi avendo promesso a Trixie di lasciarglieli.
In un attimo si fecero le due ma il mio stomaco non diede cenno di brontolare. Tra un biscotto e un pasticcino avevo già avuto la mia buona dose di zuccheri e, sinceramente, di pranzare proprio non mi andava.
Le due ore successive le passai a fare quello che amavo fare. Decisi di preparare una crostata alla frutta da portare a casa e da far assaggiare a Tommy il giorno dopo. Base di pasta frolla, crema e frutti di bosco. Una volta terminato quel dolce, chiamai mamma per sentire cosa stessero facendo. A detta sua, stavano passeggiando in giro per il parco dopo aver già provato tre delle nuove giostre.
Sentii Tommy urlare e ridere insieme a Bob e mia madre, e immaginai si stessero divertendo, così li lasciai fare e li salutai, felice quasi quanto loro. L'entusiasmo di mio figlio era contagioso.
Quando attaccai controllai se ci fossero chiamate perse o messaggi da leggere ma nulla, di Kade ancora nessuna traccia. Sbuffai e scossi la testa, come a voler scacciare via quel pensiero. Per distrarmi al meglio, però, decisi di iniziare a pulire. Quella cucina aveva veramente bisogno di una bella rassettata.
Ordinai i biscotti nelle teglie e lavai quelle che non servivano più. Misi la torta alla frutta in una confezione e mi occupai di sistemare per bene il ripiano su cui avevo lavorato. Bagnai una pezzetta, la strizzai e cominciai a pulire il tavolo quando, all'improvviso, squillò il cellulare. Senza esitare un secondo andai subito a controllare chi fosse e rimasi un pochino delusa quando non vidi il nome di Kade illuminare il display. Sullo schermo comparve invece la foto che avevo associato al numero della mia migliore amica, così sorrisi e risposi, lasciando quel briciolo di delusione alle spalle.
«Non c'è bisogno che chiami per ricordarmi di lasciarti i biscotti, sai? L'ho già messi via solo per te». Le dissi ridendo, evitando anche di salutarla.
«Abbiamo un problema, Aria». Affermò lei, senza rispondere alla mia battuta. Non percepii ironia nel suo tono e la cosa mi preoccupò. Trixie era sempre ironica.
«Che succede?». Ci fu un attimo di pausa, qualche secondo che sembrò infinito e che bastò a farmi immaginare un centinaio di possibili scenari orribili.
«Beh... Ecco...». Cominciò a balbettare mentre io cominciavo a perdere la pazienza.
«Trixie! Cosa c'è? Parla».
«Mi ha chiamata Kade». Sparò la bomba tutta d'un fiato ed io mi bloccai un attimo, un po' confusa.
«Ah». Esclamai. «E perché?». Le domandai, cauta.
«Mi ha chiesto dove fossi».
«Oh».
«Era molto arrabbiato».
«Cazzo». Imprecai, portandomi una mano nei capelli. Non doveva sorprendermi visto quello che avevo fatto, ma non mi faceva comunque piacere sentirlo. «Ma tu non glielo hai detto, vero?». Chiusi gli occhi e aspettai pazientemente una sua risposta, il cuore a mille.
«Ecco... È proprio questo il problema».
«Non ci credo, Trixie! Glielo hai veramente detto?». Alzai di poco il tono di voce, leggermente agitata.
«Ha insistito troppo, Aria! Cosa dovevo fare? Ho provato a non dirglielo ma...».
«Dio!». Buttai la testa indietro e tirai fuori l'aria dalla bocca. Cavolo. Questo sì che era un bel problema. «Quanto era arrabbiato?». Chiesi ma ricevetti solo silenzio, così insistetti. «Da uno a dieci?». Azzardai un'altra domanda, sperando che la risposta fosse un sette oppure un otto. Avrei accettato anche un nove...
«Direi cento». Disse Trixie.
«Santo Cielo». Sospirai. «Sono fottuta. Sono completamente fottuta».
«Credo proprio di sì».
«Ma grazie!». Ribattei, ironica. «Che faccio ora?». Mi guardai intorno, senza sapere dove andare o cosa fare.
«Ti direi di andare a casa ma non servirebbe a niente, secondo me. Se non ti troverà lì, verrà sicuramente al tuo appartamento».
«Fantastico». Dissi, perché mi resi conto che Trixie aveva ragione. Se non mi avesse trovata in pasticceria, mi avrebbe cercata a casa. Quello era poco ma sicuro. «Però non penso sia una cattiva idea scappare, sai?».
«Beh, nel caso volessi farlo, credo sia meglio che tu ti dia una mossa».
«Merda. Allora scappo. Me la pagherai, comunque».
«Scusa!». Trixie urlò il suo dispiacere ma io attaccai, non perché ero arrabbiata ma perché dovevo urgentemente andare via. In realtà non ce l'avevo con lei. Potevo solo immaginare cosa le avesse detto Kade o come l'avesse trattata. Probabilmente, al posto suo, avrei fatto la stessa cosa, quindi era inutile prendersela tanto. Muoviti, Aria! La mia mente mi ordinò di agire ed io obbedii con piacere. Presi la pezzetta che avevo usato per pulire e la buttai dentro al lavandino. Sistemai al volo ciotole, mestoli e contenitori vari con cui avevo cucinato la roba e uscii di corsa dalla cucina.
«La torta...». Sussurrai ad alta voce, ricordandomi della crostata che avevo preparato per mio figlio, così feci marcia indietro e la andai a prendere. Insieme a quella presi borsa e felpa, poi mi diedi un'occhiata intorno per vedere se ci fosse altro da mettere in ordine.
Una volta completato il giro di controllo, mi fiondai alla porta. Non vidi nessuno all'esterno e tornai a respirare, non pensando di aver trattenuto il fiato tutto il tempo.
Erano le sei di pomeriggio quindi non era troppo buio ma l'arietta che tirava mi fece comunque venire i brividi. Mi chiusi la porta alle spalle e inserii la chiave per chiuderla. Ci stavo riuscendo. Avevo quasi concluso la mia fuga. Bastava arrivare alla macchina, salirci sopra e dirigermi a casa. Lì, poi, avrei trovato una soluzione. Se anche fosse venuto, avrei potuto non aprirgli e fargli sbollentare la rabbia che aveva in corpo. L'avrei fatto, sì.
Tutte quelle intenzioni, però, andarono in fumo quando sentii un rumore di passi. Potrebbe essere chiunque, mi dissi. Quella via non era poi tanto isolata. Ma quando voltai lo sguardo verso sinistra lo vidi. Vidi l'inferno venire verso di me. Percepii la tensione già a metri di distanza mentre un Kade furioso si dirigeva proprio nella mia direzione. Merda... Pensai. Mi aveva trovata. Mi aveva raggiunta e il tempo di scappare, ormai, non c'era più. Mi guardai intorno, non sapendo per l'ennesima volta cosa fare.
Correre? Mi avrebbe presa. Andare in macchina? Non sarei riuscita a raggiungerla. Urlargli contro? Non sarebbe servito a niente. Poi abbassai lo sguardo e mi accorsi che una via di fuga, in realtà, ce l'avevo. Girai nuovamente la chiave e, invece di chiudere la porta della mia pasticceria, la aprii.
Mi fiondai dentro proprio come prima mi ero fiondata fuori e pregai che lui non mi raggiungesse, almeno fino a quando non fossi riuscita a bloccargli la strada. Ovviamente, però, le mie preghiere non furono né ascoltate né tantomeno accolte.
Kade comparì quasi magicamente davanti all'entrata, spalancò la porta con una manata e se la richiuse alle spalle con un calcio, sbattendola e facendomi sussultare.
Cominciai a indietreggiare. Ero in trappola e davanti a me c'era una furia. La rabbia in persona.
Kade avanzò lentamente. Un passo e poi un altro. Era vestito normalmente, jeans scuri e una T-shirt di un color bordeaux che non gli avevo mai visto addosso. Come al solito lo trovavo stupendo, ma in quel momento non riuscii a concentrarmi molto sulla sua bellezza. La sua incazzatura era travolgente. Sentivo il nervosismo aleggiare nell'aria con la sensazione che mi soffocasse. I suoi occhi erano di un blu scuro, non lucenti come sempre, non sgargianti come al solito. Riuscivo a percepire la sua rabbia anche da lì. Possibile che durante il giorno non si fosse tranquillizzato? Da quanto potevo vedere, era possibilissimo. Nel mio indietreggiare riuscii a poggiare la borsa, la felpa e la confezione con la torta su un tavolo per essere più libera di... Di fare cosa? Di certo non sarei potuta fuggire.
«Ehi». Lo salutai. Nessuno dei due aveva ancora aperto bocca, così decisi di essere io quella a rompere il ghiaccio. Cercai di sorridere, un sorriso tirato, un sorriso di chi si sente colpevole e sa di aver fatto qualcosa di non troppo giusto. «Trixie mi ha detto che l'hai chiamata e che mi cercavi». Pessima scelta di parole, pensai. Nel mentre che gli parlavo continuai ad andare indietro. Salii addirittura il gradino che portava dietro al bancone ed entrai nella cucina.
Kade continuava a seguirmi, senza fiatare, senza aprire bocca, facendomi solo venire ancora più ansia. D'un tratto, lo vidi infilare una mano in tasca. Tirò fuori il portafogli e lo lanciò sul ripiano su cui poco prima avevo lavorato. Fece lo stesso col cellulare, che sbatté sul tavolo con un tonfo sordo facendomi sussultare per la seconda volta. Non stava andando bene.
«Stavi scappando, quindi?». Quella fu la prima cosa che disse da quando era entrato. Sentire la sua voce fu un po' un sollievo, anche solo per il fatto che mi aveva finalmente rivolto la parola. Il problema, però, era che non si trattava di belle parole.
«No!». Esclamai con un po' troppa veemenza. «Forse...». Sussurrai poi, cambiando idea. Stupida, stupida, stupida! Kade non rispose. Tra di noi calò di nuovo il silenzio, un silenzio tombale, e il mio cuore riprese a battere fortissimo.
Riuscii a fare qualche altro passo, due o tre, fino a quando non andai a sbattere col culo sulla cassettiera in fondo. Lì tenevamo tutte le posate, i mestoli, le spatole e qualsiasi altro tipo di utensile che potesse servire ad una pasticceria. Era molto carina, voluta sia da me che da Trixie, ma in quel momento arrivai ad odiarla perché rappresentava solo un ostacolo, una barriera che mi impedì di andare oltre e che mi diede in pasto al lupo che avevo proprio di fronte.
«Allora...». Iniziai a parlare senza sapere però cosa dire, pensando disperatamente a un qualunque argomento che potesse, in qualche modo, distrarlo. «Com'è andata a lavoro, oggi?». Seriamente? Mi maledissi per aver fatto quella domanda, forse l'unica che avrei dovuto evitare. Lui avanzò guardandomi dritto negli occhi e dopo qualche secondo – che a me sembrarono ore – arrivò a piazzarsi a pochi centimetri dal mio corpo. Con tutta la calma di questo mondo si avvicinò un po' di più e mi circondò con le braccia, poggiando le mani sul ripiano alle mie spalle. Ora sì che ero completamente fottuta. I nostri visi quasi si toccavano, il calore che proveniva dalla sua pelle mi avvolgeva mentre dalla sua bocca ancora non usciva alcun suono.
«Non cambiare discorso, Aria». Quando parlò, il suo respiro mi sbatté addosso. Era una sensazione familiare ma il suo tono era talmente piatto e pieno di rabbia che non riuscii a tranquillizzarmi per niente.
«Va bene. E...». Mi bloccai. Era difficile parlare avendolo così vicino. Lo sguardo mi cadde involontariamente sulle sue labbra leggermente socchiuse e mi venne voglia di baciarlo. Quando mi obbligai a darmi un contegno e riportai gli occhi nei suoi notai che anche il suo, di sguardo, era ora fisso sulla mia bocca. Anche lui voleva baciarmi, quindi? «Che ne dici se andiamo a casa?». Domandai, trovando improvvisamente il coraggio di parlare. «Possiamo discutere lì di quello che... è successo oggi, ecco».
«Non voglio andare a casa». Rispose lui, senza aggiungere altro. Inclusa quella, aveva detto tre frasi in totale e non mi stava aiutando per niente. Quali erano le sue intenzioni? Restare fermo così tutta la notte?
«E cosa vuoi fare, allora?». Chiesi, ma il silenzio tornò a incombere su di noi.
Kade non disse nulla però, ad un certo punto, sollevò una mano e posò un dito sulla mia spalla. Quel dito cominciò a scendere, percorrendo il braccio e andando sempre più giù mentre lui ne seguiva il percorso con lo sguardo. Il mio respiro aumentò, non capivo se per l'ansia o per l'eccitazione, fino a quando non decisi di porre fine a quella situazione.
«Senti, Kade, so che sei arrabbiato e...».
«Arrabbiato?». Mi interruppe lui, sorprendendomi con quella sua risposta repentina. Il suo dito sparì dalla mia pelle e venne sostituito dalla sua mano che mi afferrò per un braccio e mi fece voltare velocemente. La mia schiena andò a sbattere non troppo delicatamente sul suo petto. Sentii il suo membro duro spingere violentemente sul mio fondoschiena e la sua bocca avvicinarsi con forza al mio orecchio. «Tu non hai la minima idea di quanto io sia arrabbiato in questo momento». Il suo respiro mi scaldò il collo mentre il mio diventava affannato per le mille emozioni che mi stava facendo provare. Okay, vista la sua reazione, forse non avrei dovuto toccare quel tasto dolente.
«Va bene, sei parecchio incazzato, però volevo dirti che mi dispiace e che...».
«Sta' zitta, Aria. Stai solo peggiorando la situazione». Mi interruppe per la seconda volta e un po' mi innervosii. Non faceva altro che dare ordini e arrabbiarsi. Non voleva parlare e discutere come due persone civili, voleva solo litigare.
«Se c'è qualcuno che sta peggiorando la situazione qui, quello sei tu». Non riuscii a frenare la mia boccaccia larga e quella frase uscì spontanea, senza che potessi fermarla. Ti stai scavando la fossa da sola. Complimenti! La mia coscienza si prese gioco di me e aveva ragione. Così non facevo altro che stuzzicarlo, aumentando la sua ira e la sua furia.
Kade non mi rispose, almeno non a parole. Portò una mano sopra la mia bocca – come a sottolineare il fatto che dovessi stare zitta – mentre l'altra si posò sul mio fianco. Mi spinse la testa indietro e si fiondò sul mio collo senza, però, baciarlo. Al contrario, cominciò a tracciare una scia di morsi che, ne ero sicura, mi avrebbero lasciato il segno. Non provavo dolore – lui non mi avrebbe mai fatto del male – ma da quel gesto capii che voleva me e il mio corpo tanto quanto voleva farmela pagare.
«Mi hai fatto uscire fuori di testa, oggi». Quella frase me la sussurrò all'orecchio mentre ancora mi teneva la mano sulla bocca. Non potevo replicare, ma non l'avrei comunque fatto. Era arrivato il momento di rimanere in silenzio e di ascoltare ciò che aveva da dire. Aveva bisogno di sfogarsi e io glielo avrei lasciato fare. «Quando Jesse mi ha liberato, ero folle. Pazzo. Furioso. Volevo solo trovarti e farti tutto quello che desideravo». Le sue mani mi liberarono dalla sua presa, ma solo per qualche secondo. Poco dopo, infatti, tornarono all'assalto e si infilarono entrambe sotto la mia maglietta. Io buttai la testa indietro, poggiandola sulla sua spalla, e lasciai che mi facesse qualsiasi cosa. «È stato Jesse ad impedirmelo, così ho aspettato. Tutto il giorno. Mentre lavoravo, non facevo altro che pensare a te...». Le sue dita calde strinsero la pelle dei miei fianchi prima di andare a posarsi sulla mia pancia. «A quando ti avrei rivista...». Le sue mani cominciarono a salire verso l'alto mentre la sua bocca, incollata al mio orecchio, mi faceva rabbrividire ad ogni parola pronunciata. «A quando ti avrei toccata...». All'improvviso Kade mi tirò giù le coppe del reggiseno e mi strizzò i capezzoli. Quella mossa mi fece urlare di dolore e d'eccitazione, ma lui sembrò non rendersene conto. «E a quando, soprattutto, ti avrei detto quanto mi hai fatto incazzare». In un battito di ciglia mi ritrovai nuovamente faccia a faccia con lui. Kade mi prese, mi sollevò e mi fece poggiare il culo sul ripiano alle mie spalle. Senza dire o chiedere nulla, afferrò i lembi della mia maglietta e la sfilò, buttandosela poi alle spalle. Portò le mani dietro di me e slacciò il reggiseno che, molto presto, fece la stessa fine della maglietta.
In un attimo mi ritrovai nuda per metà di fronte a lui che invece era ancora vestito e non accennava a spogliarsi. Piuttosto, si infilò tra le mie gambe, mi avvolse con le sue braccia e mi spinse con forza verso di lui. I nostri corpi aderirono completamente, così come i nostri sessi, mentre l'eccitazione aumentava sempre di più. Di lì a poco sarei impazzita.
Kade mi prese per i capelli e mi tirò la testa indietro. Quando parlò, attaccò le sue labbra alle mie senza quasi darmi modo di respirare. «In questo momento vorrei ammanettarti al letto e scoparti fino a farti pregare di smettere. Lo sai, vero?». Ci guardammo in silenzio. Due iridi verdi contro due iridi blu che si facevano la guerra ma che, allo stesso tempo, si adoravano.
«Fallo, allora». Fu il mio turno di sussurrargli le parole sulla bocca. Poi, per accentuare il tutto, presi il suo labbro inferiore tra i denti e lo tirai. Stavo giocando col fuoco. Stavo per appiccare un intero incendio ma non m'importava. Volevo la sua rabbia. La bramavo. La desideravo, perché scatenava in me una passione incredibile.
«Non mi provocare». Aveva ragione. Non dovevo farlo, ma cavolo se lo volevo.
Per una frazione di secondo mi tornarono alla mente i suoi problemi con la gestione della rabbia. Per un attimo pensai a tutto quello che mi aveva raccontato, a ciò che aveva fatto e a come io, però, lo avevo giustificato. Sarebbe potuto impazzire, quel giorno. Avrebbe potuto non riuscire più a controllarla, quella collera, perché lo avevo fatto incazzare di brutto. L'unica cosa che stava facendo, però, era farmi provare piacere. Kade era un uomo fantastico. Di lui amavo anche i difetti. Lo trovavo perfetto, anche quando diventava una furia e minacciava di farmela pagare. Perché il suo "farmela pagare", io lo sapevo, era portarmi a letto e farmi tutto ciò che voleva.
«Ti ho ammanettato al letto stamattina, ricordi?». Scelsi di appiccare l'incendio e, coraggiosa, feci proprio ciò che lui aveva raccomandato di non fare. Lo provocai. «Ti ho legato e ti ho lasciato lì. Solo. Impotente. Indifeso».
«Aria...». Pronunciò il mio nome in una minaccia ma io lo ignorai. Ormai avevo deciso di seguire la mia strada e nulla avrebbe potuto fermarmi.
«Hai fatto il testardo. Volevi per forza aver ragione. Volevi decidere al posto mio. Ma io ti ho ascoltata?». Portai il mio viso vicinissimo al suo e mi risposi da sola. «No...». Sussurrai. «E me ne sono andata».
«Che intenzioni hai?». Domandò Kade e, per la seconda volta, finsi di non sentirlo.
«Ho fatto quel che cazzo mi pareva». Sorrisi, accentuando il tono sulla parolaccia perché sapevo quanto gli desse fastidio sentirmele dire. «Quindi la merito o no una bella punizione?». Conclusi in bellezza, lasciando scegliere a lui cosa fare.
«Adesso che mi ci fai pensare, te la meriti sicuramente». E da lì scoppiò il delirio tra noi.
Kade si fiondò sulle mie labbra, le assaltò, le aggredì, se ne impadronì ed io, grazie a quello, tornai a vivere. Accettai con gioia la sua bocca sulla mia. La sua lingua premeva per entrare mentre i suoi denti lasciavano qualche morso dove potevano. Io non ci misi molto a reagire. Lo circondai con le gambe e mi ancorai al suo corpo, mentre con le mani fingevo di stringere quei capelli quasi assenti sulla sua nuca. Tra gemiti e mugolii, lui riuscì ad abbassarmi i jeans e io a sbottonargli i pantaloni. Eravamo frettolosi, smaniosi, vogliosi. In quel momento non volevamo fare le cose con calma. Kade doveva sfogare la sua rabbia. Io volevo liberare la mia passione.
Presa com'era dal toccarlo e dal baciarlo, quasi non mi accorsi di quando mi prese in braccio e mi portò verso la prima parete libera e disponibile. Sentii la mia schiena sbattere contro il muro freddo ma non me ne curai. Continuai a rimanere ancorata al corpo di Kade. Continuai a giocare con le sue labbra e a infilare le mani ovunque, prima sotto la sua maglietta e poi dentro i suoi pantaloni. Lui cominciò a dare attenzioni al mio collo, facendomi prendere fiato e obbligandomi a buttare la testa indietro. Andammo avanti così per qualche altro minuto, stuzzicandoci e torturandoci a vicenda, fino a quando tutti e due non ne potemmo più di resistere. Kade mi mise a terra, afferrò insieme jeans e slip e me li finì di sfilare in un colpo solo. Liberò il suo membro dai boxer e mi riprese in braccio, impalandomi senza neanche darmi modo di respirare. Involontariamente urlai, sorpresa da quella sua entrata violenta. Non era stato per niente gentile, non voleva esserlo, ed io non mi lamentai. Lo desideravo più di ogni altra cosa, rude o romantico, brutale o cauto, aggressivo o prudente. Avrei preso e custodito tutto ciò che aveva da darmi, in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione.
Accolsi le sue spinte con piacere, una dopo l'altra, senza mai tirarmi indietro, senza mai combatterlo. La mia schiena sbatteva ripetutamente contro il muro e il suo viso era sepolto nel mio collo mentre, insieme, mugolavamo di piacere. Kade andava avanti e indietro, dentro e fuori. Prima veloce, poi più lento. Poi di nuovo veloce, potente, intenso e...
«Sto per venire!». Gridai, avvisandolo del mio orgasmo imminente. Lui ringhiò e cominciò a intensificare le sue spinte, ancora e ancora, fino a quando non esplosi venendo a gran voce, seguita poi da Kade.
Ci mettemmo un po' a riprenderci. I nostri respiri affannati che andavano pian piano ad acquietarsi erano l'unico rumore presente nella stanza. I nostri cuori battevano all'unisono andando l'uno incontro all'altro, quasi volessero fiondarsi fuori dai nostri petti e unirsi in un abbraccio caloroso, in una stretta piena di amore, come quella in cui ci trovavamo noi ora.
«Sei un po' meno arrabbiato, adesso?». Gli chiesi in un sussurro quando fui nuovamente capace di parlare.
«Mh...». Ci pensò su, col viso ancora sepolto nel mio collo. «Credo di dovermi ancora sfogare per bene, ma fortunatamente ho tutta la notte davanti». Quando alzò la testa, un sorrisetto furbo ed eccitato apparve di fronte ai miei occhi. Sorrisi di rimando, cosciente di quanto mi fosse mancato vedere quella serenità sul suo volto.
«Tutta la notte?». Lo presi in giro, ridendo.
«Tutta la notte!». Ribadì Kade prima di cominciare a riempirmi il viso di baci.
Avevamo fatto la pace nel modo migliore che potesse esistere.
Avevamo risolto i nostri problemi toccandoci.
Avevamo sfogato i nostri dispiaceri e le nostre arrabbiature baciandoci.
Avevamo fatto l'amore e tutto era tornato al posto giusto e a me, questo, bastava.
Ora e per sempre.



L'angolo dell'Autrice
Eccoci con un'altra delle tante avventure di Kade e Aria. Sono molto contenta di aver pubblicato questi due nuovi capitoli.
Il loro rapporto non fa altro che crescere e migliorare, nonostante vi siano state alcune incomprensioni tra i due.
E voi cosa ne pensate di loro?
Fatemelo sapere!!!
A presto,
Sylvie

Permettimi di amartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora