Capitolo 4

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POV: Zulema

"Dai, provaci." mi incoraggia la ragazza che si trova di fronte a me.

È il mio medico, uno dei tanti che ho avuto qua. Credo però che sia l'unica persona a cui importa davvero di me qui dentro, perché non si limita a fare il suo lavoro, fa molto di più.

Ormai ci diamo persino del tu, abbiamo un bel rapporto. Non è facile andare d'accordo con me, lo ammetto, ma lei ci è riuscita da subito.

"Quanto ti pagano per essere così gentile con me?" le chiedo.

"Per quello niente, io lavoro per passione e non solo per lo stipendio. Ci tengo davvero ai miei pazienti e voglio che tu stia meglio."

Le sorrido, non so mai come rispondere alle frasi gentili. Forse basterebbe dire "Grazie", ma non è proprio nella mia natura.

"Adesso prova a muovere le dita delle mani."

Già, per me anche un gesto così semplice è diventato un'impresa titanica.

Sono stata in coma per quattro anni e quando mi sono svegliata ero ancora in grave pericolo di vita. Per molto tempo mi hanno monitorato i segni vitali ogni ora, mi hanno attaccata a un respiratore e mi hanno nutrita con delle flebo.

Poi, appena sono uscita dalla rianimazione, è iniziata la mia riabilitazione che sta andando avanti ancora adesso, dopo quasi sette anni dalla sparatoria del deserto di Almería.

Ora sto imparando nuovamente a fare le cose più semplici, come una bambina piccola.

Mangiare, camminare, muovere le varie parti del corpo. Attività che, per colpa di Ramala, non sono più riuscita a fare per molto tempo.

Non mi ero mai immaginata me stessa alle prese con le disabilità, ho sempre ammirato chi le ha e si alza ogni giorno dal letto perché vuole continuare a combattere, a vivere.

Per me è stato difficile anche abituarmi al fatto che, da un giorno all'altro, non ero più libera. Dipendevo dalle macchine che mi tenevano in vita, dalle flebo, dai medici ed è stato molto difficile accettarlo.

Dopo la sparatoria mi ha trovato Vivian, che ha chiamato Saray, l'ultima nel mio registro delle telefonate. Lei le ha detto di non fare nulla, che avrebbe mandato qualcuno che potesse aiutarmi.

Questa clinica è molto particolare, nessuno ha detto alla polizia che sono qui. Il primario è un caro amico di Saray e mi hanno permesso di stare qua senza denunciarmi, in cambio di una somma di denaro non troppo elevata.

"Dai, provaci, muovi le dita delle mani."

Piano piano ci riesco, anche se molto poco.

Inizio già ad arrabbiarmi perché sono passati tanti anni e sono stufa di fare questa vita.

"Non ce la faccio più, cazzo."

"Va bene, stai andando bene. Ci vuole del tempo, lo sai."

"Del tempo? Sono passati quasi sette anni."

"Pensavo che tu fossi una che non si arrende mai. Non hai degli obiettivi? Pensa a ciò che farai quando uscirai da qui."

Già. Ho degli obiettivi? Uno scopo nella vita?

L'unico che mi viene in mente è tornare da Macarena, raggiungerla in Marocco. Lei mi manca da morire e vorrei solo abbracciarla e non lasciarla mai più, ma non so se lo farò.

Perché dovrei sconvolgerle la vita adesso?

Maca si sarà rifatta una vita, avrà avuto il suo bambino o la sua bambina, avrà trovato un lavoro e sicuramente sarà fidanzata.

Ed è giusto così, è giusto che lei sia andata avanti senza di me. Comparire di nuovo dal nulla vorrebbe dire rompere quell'equilibrio che sicuramente è riuscita a costruirsi con fatica dopo il carcere e tutto ciò che le è successo. Merita un po' di pace e io non posso dargliela, è meglio che la lasci stare.

Ma è davvero quello che voglio?

Ed è davvero quello che vorrebbe lei?

Chi sono io per decidere per entrambe?

Mentre penso questo mi rendo conto che sto muovendo le dita e riesco anche a roteare la mano. Per la prima volta vedo la famosa luce in fondo al tunnel, per la prima volta sento che avrò davvero la possibilità di ricominciare.

"Brava Zulema, sono fiera di te." urla la dottoressa, che sembra più entusiasta di me.

Io non sono la regina dell'entusiasmo, quello è un titolo che spetta solo a Macarena.

Se lei fosse qui saltellerebbe come una bambina che ha appena trovato una figurina rara nel pacchetto che le hanno regalato i suoi genitori. Mi direbbe: "Zulema, non ti rendi conto che stai guarendo? Non sei felice?".

Lei sa sempre coinvolgere tutti con la sua personalità solare e con quei suoi occhioni dolci. Le perdoneresti qualsiasi cosa, perché si vede subito che è stupenda e che, se fa qualche cazzata, la fa perché non è in grado di gestire le proprie emozioni.

Io non le ho mai mostrato del tutto l'amore che provo per lei perché non credo che tra noi avrebbe potuto funzionare. In fondo, siamo pur sempre Macarena e Zulema di Cruz del Sur. Siamo Macarena e Zulema, cazzo.

Ma resta il fatto che mi sono presa nove proiettili per salvarla. Mi sono fatta quasi ammazzare e ho passato anni a vivere in un incubo fatto di morfina e tanta pazienza.

E tutto questo l'ho fatto per lei. Per lei e suo figlio, o sua figlia.

Forse ho fatto anche delle piccole cose, che in realtà sono grandi, quando eravamo ancora insieme. Forse alcuni miei gesti potevano in qualche modo dimostrarle ciò che provavo per lei, però non ho mai avuto il coraggio di amarla veramente come lei meritava.

Come lei merita. E come anche io merito.

Perché forse merito di amare e di essere amata e forse non è troppo tardi.

Quello che provavo per lei non è svanito e magari, se riesco a rimettermi in piedi e a non comportarmi più da stronza, c'è ancora un po' di speranza per me e Maca.

Lo scoprirò solo una volta uscita da qui.

E sono pronta ad impegnarmi al massimo per poter andare in Marocco il prima possibile.

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