Capitolo 13

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POV: Zulema

Avrei voluto aprirmi con Macarena, avrei voluto spiegarle il motivo del mio malessere. So che lei si è accorta che ero strana, lei si accorge sempre di tutto. Mi conosce meglio di chiunque altro e si preoccupa per me.

Avevo un blocco per quanto riguarda il sesso, ma lei è riuscita a farmelo superare subito.

È iniziato tutto in clinica, dopo la sparatoria nel deserto di Almería. Ci ho messo tanto a riprendermi, dopo il coma sono stata male a lungo e ho dovuto fare delle cure intense.

Sono rimasta per un po' in sedia a rotelle e ho avuto problemi a mangiare, non riuscivo più a mandare giù cibo solito. Poi i problemi si sono estesi al cibo in generale.

Sono arrivata a pesare meno di 40 kg e ho iniziato a detestare il mio corpo, soprattutto perché mi ricordava ciò che ero stata quando ero una ragazzina.

Ho sofferto di anoressia più o meno dai 13 ai 18 anni. Nel mio caso posso confermare che questa malattia era dovuta a mia madre. Lei si incazzava da morire quando non mangiavo, diceva continuamente che la facevo soffrire e io godevo da morire vedendola così.

Volevo solo vendicarmi per tutto il male che mi aveva fatto, per tutte le violenze che mi aveva inflitto e perché per tutta la mia vita non aveva fatto altro che farmi sentire uno schifo.

Non avevo capito che l'unica a farsi male sarei stata io. Perché, tralasciando il suo vittimismo del cazzo, a mia madre non importava di me.

E allora perché l'ho fatto? Forse per ribellione o perché mi sono illusa di poter causare del dolore alla persona che mi aveva distrutto la vita. Forse perché volevo assomigliare a mio padre, malato terminale morto da poco, che era l'unica persona che mi aveva voluto bene.

Macarena mi osserva, probabilmente cerca di interpretare i miei pensieri, però non vuole essere invadente. Lei è sempre molto delicata con me e io non ci sono abituata.

Nessuno si è mai preoccupato così tanto per me, forse solo Saray e mio papà.

"Sto bene, se te lo stavi chiedendo." le dico.

"No, io stavo pensando ad altro." risponde.

Poi mi sorride e so che si stava preoccupando per me, però non vuole dirmelo perché sa che mi sentirei a disagio.

"A cosa pensavi?"

"Tra un mese è Natale e devo assolutamente aiutare i bambini con un lavoro che devono fare per la scuola. È una cosa davvero carina e ho promesso di dare una mano, ma ti giuro che è un lavoro immenso."

"E perché ti viene in mente adesso?"

"Fa parte della mia quotidianità... E mi sono sentita così bene con te... Scusami, forse non era il momento giusto..."

"La smetti di farti tutte queste paranoie?"

"Sì, scusa."

"E smettila di scusarti, ti prego."

"Va bene, scusa... Cioè, la smetto."

"Che cosa devono fare?"

"Devono preparare un racconto, una recita, una ricerca... Insomma, ciò che vogliono sul Natale. Devono condividere la loro cultura con i compagni che sono tutti del Marocco e non conoscono bene questa festa. Ryan e Zahira ci tengono molto a fare bene questo lavoro."

"Che bello, la loro maestra ha avuto un'ottima idea. Dev'essere una brava insegnante."

"Lo è, bisogna avere tantissima pazienza per tenere a bada quei due. Sono così vivaci, non so da chi abbiano preso."

"Probabilmente da te."

"Ma che dici?"

"Che tu parli sempre e fai venire mal di testa."

"Almeno io sono allegra, tu hai sempre il muso lungo... Io sono quella simpatica della coppia."

Oh cazzo, ha detto coppia? Ho sentito bene?

"Cos'hai detto?" le chiedo.

"Beh... Insomma... Tra noi due... Io sono la più simpatica... Sai anche tu che è così..."

"No, io intendevo il discorso sulla coppia."

"Niente, mi sono espressa male... So che tu odi le etichette... E anche io le odio... Io e te non siamo una coppia... Non so perché mi sia uscita una frase del genere..."

"Lascia stare, facciamo finta di niente, ok?"

Non so perché io le abbia detto così, forse ho avuto paura di rendere la cosa ufficiale.

"Va bene, Zule. Non c'è problema, davvero."

Palesemente il problema c'è, si è innervosita e devo ammettere che ha ragione.

Sono sempre la solita vigliacca testa di cazzo che ha paura delle relazioni. Più ci tengo e più ho paura, ho il terrore di uscirne con il cuore a pezzi e di non riprendermi più del tutto.

Cala un silenzio a dir poco imbarazzante e per salvare un po' la situazione accendo la radio. La musica è sempre la via d'uscita, è un modo per viaggiare e per vivere le proprie emozioni quando non si riesce a farlo diversamente.

E improvvisamente un brivido percorre tutto il mio corpo. La canzone alla radio, non riesco a credere che sia proprio quella...

"I Like Chopin", una vecchia canzone di Gazebo. Era la preferita di mio papà, la ascoltava sempre e la ballava insieme a me. Mi faceva stare sui suoi piedi e danzavamo, come se io fossi la sua principessa e lui il mio re. E forse lo eravamo davvero.

"Oddio..." sussurra Maca.

Cosa succede? Mi ha forse letto nel pensiero?

"Che c'è?" le chiedo.

"È solo che... Questa è la canzone d'amore dei miei genitori... Mio padre l'ha dedicata a mia madre e... Loro mi mancano tanto, sai?"

"Non posso crederci..." mormoro.

"Ti sembra una cosa così strana?"

"Sì, insomma... Io invece la ascoltavo sempre con mio papà quando ero piccola... Era la sua preferita in assoluto..."

"Tuo papà?"

"Sì, perché?"

"Non mi hai mai parlato di lui."

"Lo so..."

"Ti manca?"

"Tantissimo... Come a te mancano i tuoi..."

"Ti va di ballare con me, Zulema?"

"In realtà no."

"Dai, questa è una canzone speciale."

"E va bene, lo faccio solo per i nostri genitori."

Mentre danzo con Macarena sulle note di questa bellissima (e per ovvi motivi dolorosa) melodia, mi rendo conto che tra noi due c'è un'intimità che va ben oltre il sesso e l'amore "convenzionale". È come se fossimo legate da un filo invisibile che ci tiene unite nonostante tutto. E niente potrà mai spezzare questo filo.

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