Capitolo Uno

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                      Cassiopea

Tic-tac-tic-tac-tic-

Un piccolo spasmo delle sopracciglia, un leggero corrugarsi della fronte.
La lancetta dell'orologio a pendolo dinanzi a me, poggiato contro la parete rosa tenue di quella stanza, si era appena fermata.
L'orologio aveva smesso di funzionare interrompendo l'unica fonte di rumore all'interno dell'ambiente.

Era un bel posto, quello.
La poltrona a pozzetto sulla quale ero seduta era morbida e il tessuto beige liscio a contatto con i polpastrelli.
Le luci soffuse aiutavano a dare un senso di tranquillità e intimità.
Piante ornamentali decoravano il davanzale della grande finestra coperta da una tenda color panna.

Però...
Concentrarmi sul tavolino accanto a me, dove svettavano due candele profumate a forma di pigna, o spostare lo sguardo posandolo ovunque. Appigliarmi a qualsiasi cosa presente all'interno di quella stanza, anche quella piccola ragnatela che c'era nell'angolo destro dell'alto soffitto non serviva a nulla.

L'orologio si era fermato.
Il "mio" orologio.
L'amico silenzioso, colui che scandiva i secondi di quei momenti che passavo lì dentro.
Una volta a settimana.
Per un'ora.
In silenzio.

Buffo.
Ero stata io a chiedere un appuntamento la prima volta alla dottoressa Young, ormai tre mesi fa.
Non avevo mai aperto bocca.

Erano tre mesi che andavo agli appuntamenti, tre mesi che non tardavo di neanche un minuto.
Eppure...
Eppure non avevo mai parlato.

Passavo l'ora a fissare quel pendolo sperando che il tempo potesse scivolare in maniera più veloce.
Ed ora si era fermato.
Ed io non sapevo che ora fosse.
Quanto mancasse.
Non avevo certezze.
Non avevo il controllo.

Pensieri.
Ricordi.
Pensieri.
E ancora ricordi.
Mi si sovrapponevano nella testa mandandomi in confusione.
Non sapevo più cosa fosse reale e cosa no.
Se quello che sognavo corrispondeva ai ricordi.
Se quando mi svegliavo, al buio, senza fiato e con il cuore in gola fossi ancora chiusa in quel casolare, legata, imbavagliata e bendata.

Ci mettevo sempre sei minuti e trentaquattro secondi esatti prima di riprendere il controllo delle mie funzioni vitali, dei miei sensi e dei miei pensieri.

Sei minuti
E trentaquattro secondi
Per
Capire
Che
Ero
Viva
E
Libera

E sembravano sempre infiniti.

Non bastava quanto mi sforzassi di non addormentarmi.
Non bastavano i libri che mi costringevo a leggere per non cadere preda del sonno.

Non servivano a nulla le decine di caffè, le ore passate a lavorare di notte.
Tutto purché non mi addormentassi.
Tutto pur di non cadere di nuovo lì.
Tutto pur di non essere di nuovo sola.

Alla fine di tutto il sonno prendeva lo stesso il sopravvento ed io mi ritrovavo ancora una volta nelle loro mani.
Sentivo le urla di Vega nelle orecchie ogni notte.
I suoi pianti mentre Corey mi puntava la pistola contro.
Quel click continuo ogni volta che premeva il grilletto.

Sentivo il terrore assalirmi e farmi tremare avvertendo la morte vicina.
Rivedevo le mani di Corey sul corpo di mia sorella che si abbandonava a lui pur di salvare me.
Rivedevo il corpo esanime di Jacob Ford cadere dinanzi a me, gli occhi vitrei dove non brillava più la luce vitale.

Il tonfo del corpo che sbatteva contro il pavimento. La polvere che sollevava.
Il rimbombo dello sparo che mi faceva fischiare le orecchie assordandomi per una manciata di minuti.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora