Capitolo Sedici

473 23 39
                                    

                          Viktor

«Stronzo.»

Gli assestai un pugno ben piazzato sulla mascella facendogli voltare la testa. Lui grugnì contrattaccando e placcandomi allo stomaco facendo finire entrambi sul ring.
Il dolore bruciante alla schiena mi bloccò il respiro e appannò la vista per un attimo.

«Perdi colpi, Vik.»

Gli occhi particolari del mio migliore amico brillarono di scherno a poca distanza dal mio viso dove stava per abbattersi un altro dei suoi pugni ma stavolta fui più veloce.
Bloccai la sua mossa e con un ginocchio piantato nel suo stomaco lo lanciai via dal mio corpo.

«Stronzo. Ti sei sposato senza di me. Sei davvero pessimo lo sai?»

Lui rise tossendo a causa del colpo che gli avevo rifilato e si mise in ginocchio sedendosi sui talloni. Lo imitai alzandomi dal ring e strappando i guantoni con i denti. Sentivo il petto bruciare sotto i respiri affannati dalla fatica dell'intenso allenamento che ci eravamo ritagliati.
Proprio come un tempo.

Buttai via i guantoni passando le mani tra i capelli fradici di sudore mentre lui se ne stava lì a ridere e fissarmi con il petto ansante. Nonostante tutto, dietro la tristezza velata della perdita subita ormai una settimana prima, i suoi occhi brillavano di pura e genuina felicità.
Era la prima volta che riuscivamo a prenderci un po' di tempo per noi due e parlare come ai vecchi tempi.

Il lavoro mi stava risucchiando sempre di più e lui era impegnato con i vari progetti dopo esser stato via per quasi un anno, tra questi c'era anche quello della loro nuova casa. Imitò il mio gesto togliendosi i guantoni e strisciando verso l'angolo del ring recuperò due bottigliette di acqua lanciandomene una che presi al volo e svuotai in un colpo solo.

«Ti rifarai.»
«Lo spero bene, un matrimonio senza il testimone giusto, tsk! Sei un amico di merda.»

Rise ancora prima di alzarsi in piedi e scendere con un balzo passando tra le corde tese. Lo seguii prendendo i guantoni e sistemandoli nei nostri rispettivi armadietti.

«Per questo hai cercato di rompermi la mascella?»

Alzai le spalle con indifferenza togliendomi la maglietta ormai fradicia di sudore e lanciandola nel borsone.

«Sarebbe stata solo colpa tua che non indossi il paradenti.»
«Come faccio a sfotterti se indosso quel coso?»

Lo guardai in tralice buttando via la bottiglia di acqua vuota e dirigendomi verso la porta per poter andare nella hall a prenderne un'altra, ogni passo mi bruciava fino alla schiena a causa dei muscoli infiammati.

«Allora, matrimonio c'è, casa nuova quasi, quando mi sfornate un nipote?»

La sua mano si scontrò con forza contro la mia nuca quando mi superò prima che potessi restituirgli il favore.

«Perché non te lo fai tu un figlio se hai tutta questa voglia?»

Guardai la sua testa rossa arricciando le labbra.
Un figlio.
Sarebbe stato bello anche se non ci avevo mai pensato.
Non mi ero mai visto sposato o con marmocchi intorno, però amavo i bambini.
Bisognava chiedere alla diretta interessata se avrebbe voluto portare in grembo la mi progenie.

Mi venne da ridere.
Ovvio che avrebbe voluto. L'avrei convinta... forse.
E come una valanga i ricordi di quella notte a casa mia mi si riversarono davanti agli occhi seccandomi la bocca e bruciandomi il petto.
Digrignai i denti sentendo l'eccitazione premere contro il tessuto leggero dei pantaloncini.

Porca troia.
Mi bastava solo pensarla e succedeva tutto ciò, mi trasformavo in un adolescente con gli ormoni a palla.

Avevo passato la notte con lei, l'intera notte. A perdermi nel suo corpo, a imparare a memoria ogni porzione della sua pelle. Assaggiando, mordendo, leccando e beandomi della sensazione di essere dentro di lei. Di averla intorno. Completamente inebriato da lei.
Non ne avevo avuto mai abbastanza e neanche lei da come aveva gridato il mio nome più e più volte.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora