Capitolo Trentasette

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                      Cassiopea

«Se dovessi essere accusata di omicidio di primo grado, mi faresti da avvocato?»

Viktor inarcò un sopracciglio guardandomi con curiosità da sopra lo schermo del computer. Era mezzo disteso sul divano del suo enorme salone, la maglietta abbandonata da qualche parte accanto a lui e del ghiaccio avvolto in un panno posato sulle costole incrinate.
Il colorito dei suoi ematomi iniziava a preoccuparmi, diventavano sempre più scuri, ora erano più simili al colore delle melanzane contornati da un preoccupante bourdeaux.

Arricciai le labbra poggiando la spalla contro l'arco che stava sulla sala incrociando le braccia al petto. Vederlo in quello stato mi creava una stretta micidiale allo stomaco ogni volta. Eppure ormai vivevo con lui da due giorni ma non riuscivo proprio a sopportare la vista del suo corpo martoriato.

«Ti amo mia piccola luna.»

Quelle parole avevamo ormai preso in ostaggio la mia mente, non riuscivo a pensare ad altro da quando me le aveva sussurrate a fior di labbra. E ogni volta il cuore saltava e il solletico alla pancia tornava prepotente rilasciando una scarica di calore e endorfine che mi faceva sentire come una drogata.

Mi amava. Viktor Stanković amava me.
L'eccitazione prese il sopravvento e dovetti mordermi l'interno della guancia per non sorridere come una stupida. Ero ancora mortalmente preoccupata per lui, avevo rischiato l'infarto almeno tre volte quando Ilija mi aveva chiamato ma entrare in quella stanza e scoprirlo vigile aveva attenuato almeno in parte la mia ansia.

«No bambina, prima ti aiuterei a occultare il cadavere e poi prenderei parte alla tua difesa. Chi vogliamo uccidere?»

E allora non potei più trattenere quel sorriso bastardo che si aprì sulle mie labbra. Staccandomi dalla parete lo raggiunsi accomodandomi sulla parte che stava picchiettando accanto a sé. Con un sospiro di sollievo tolsi i tacchi e alzai i piedi sul tavolino davanti a me. Mi misi comoda reclinando la testa sui cuscini dietro di me e lo guardai, l'ombra di un sorriso aleggiava sulle sue labbra carnose e mi venne voglia di premerci le mie sopra.

«La tua ex è venuta allo studio, ancora. Ha sbandierato il suo dolore e la sua preoccupazione per te, con tanto di lacrime. Ha detto che aveva il diritto di sapere come stavi e di venire a trovarti.»

Un lento, perfido, sorriso mi si aprì sulla bocca. Gli occhi di Viktor luccicarono.

«Cosa le hai risposto?»
«Che non le avrei permesso di avvicinarsi a te neanche se si fosse trasformata in un minuscolo lombrico viscido anche perché hai già la tua infermiera personale che sa come prendersi cura di te. Se ne è andata sbattendo i piedi come una bambina a cui avevano rubato il suo gioco preferito.»

Un sorriso simile al mio prese piede sul suo volto, sollevando la mano mi afferrò il mento tra il pollice e l'indice tirandomi verso di sé, fino a che le nostre labbra furono a pochi centimetri di distanza e i nostri occhi quasi si scontrarono.

«Questa è la mia perfida donna.»

Il cuore mi saltò in gola e la bocca divenne arida. Inumidii le labbra senza essere capace di distogliere gli occhi dall'incantesimo dei suoi.

«Lo sono.»

Gli occhi gli brillarono maliziosi. La ricrescita della barba gli incorniciava il viso con un'ombra nera ed era così attraente da far male. Sentivo le mani prudere dalla voglia di toccarlo, volevo sentire la sensazione della barba contro la mia pelle sensibile. Vedere come si sarebbe arrossata.

«Perfida o mia?»
«Cosa ti eccita di più?»
«E cosa eccita di più te?»

Non riuscii a reprimere un altro sorriso al quale lui rispose. Le dita lasciarono il mio mento solo per spostarsi sulla guancia dove sapevo erano apparse le fossette. Ne sfiorò una guardandola ammaliato.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora