Capitolo Trentotto

379 33 15
                                    

Vega

Una cosa di cui avevo sempre avuto paura, da che ne avessi memoria, era l'incertezza. Il sentirsi sospesa, come se camminassi su una fune a migliaia di metri di altezza, con il vuoto immenso e spaventoso sotto di me.
Traballante e poco stabile.
Stava tutto nel prossimo passo che avrei compiuto.
Era tutta questione di equilibrio, il mio.
Equilibrio che a quanto pare stavo mettendo a rischio con le mie stesse mani. Mi stavo autosabotando.

Perché era così difficile andare avanti?
Perché non riuscivo a chiudere una volta per tutte quella porta?
Perché faceva ancora male?
Perché non potevo guarire?

Guardai il lenzuolo intatto del suo lato del letto raggomitolandomi su me stessa.
Non c'era. Phoenix non c'era.
Ed io ero sola in quella casa, ora nostra, che mi sembrava così vuota e fredda senza di lui. Dante parve avvertire la mia tristezza e alzando la testa mi colpì la gamba con il muso umido. Trovai la forza di fargli una carezza sulla testa morbida.

Fuori era calata la sera e lui avrebbe dovuto essere a casa già da un po'.
Forse era solo passato a trovare Viktor o forse si era intrattenuto in palestra per scaricare la tensione.
O forse era da Altair, ragionai sulla possibilità di chiamare mio fratello e chiederglielo ma se non fosse stato così non avrei avuto la forza di spiegargli cosa stava succedendo nella nostra relazione.

Cassiopea era l'unica a saperlo e solo perché aveva ascoltato il nostro litigio, altrimenti anche quello sarebbe stato l'ennesimo segreto trattenuto dentro di me.
L'ennesimo peso che mi stava facendo cadere sempre più verso il fondo.

O forse... forse semplicemente non voleva tornare da me. A casa nostra.

Un brivido mi ricoprì la pelle sollevandola, tremando mi avvolsi nella coperta stringendola sulle spalle tirando le ginocchia al petto.
Da quando ero tornata da Los Angeles avevamo parlato a malapena, la nostra totale attenzione era rivolta a Viktor e tutta l'assurda situazione che aveva coinvolto lui e suo fratello. E da un lato era un bene perché ero terrorizzata all'idea di parlargli. All'idea che forse avevo rovinato tutto.

Volevo parlargli, spiegargli tutto. Raccontargli tutto.
Con gli occhi che pungevano fissai gli anelli sull'anulare sinistro, sollevando la mano tremante. Il diamante dal taglio rotondo contornato sui lati da altri tre piccoli diamanti sfasati che davano l'impressione di essere piccole stelle riluceva al minimo movimento mandando bagliori arcobaleno ovunque.

Dietro di lui il sottile cerchio d'oro spiccava in tutta la sua lucentezza ricordandomi quanto amassi quell'uomo testardo e a tratti scontroso.
Ma mai con me.
Un sorriso triste mi curvò le labbra mentre flash di ricordi del nostro matrimonio a Roma mi facevano sognare a occhi aperti.

Era stato tutto perfetto, dalla proposta fatta in Scozia sotto le luci del nord che illuminavano il cielo di colori magnifici a quell'idea assurda di sposarci solo noi due. In un posto che non conoscevamo ma dove avevamo lasciato un pezzo di cuore.

Mandai giù il magone strizzando gli occhi per evitare di piangere ancora. Erano giorni che lo facevo e ormai ero stremata. Prosciugata.
Volevo solo che tornasse e mi parlasse.

Forse però non sarebbe tornato affatto.

Zittii quella vocina cattiva nella mia testa, la stessa che mi assillava tutti i giorni dicendomi quanto stessi sbagliando, quanto non avessi fatto abbastanza. Mi sentivo così stanca e inutile.
Guardai ancora gli anelli avvicinandoli alla bocca per baciarli sentendo il freddo dell'oro contro le labbra bollenti e secche.

La testa di Dante scattò in alto all'improvviso quando nella casa silenziosa rimbombò l'eco della porta d'ingresso che si chiudeva. Il cuore mi volò in gola battendo così forte da fare male mentre ascoltavo in silenzio e con il respiro corto i suoi passi sulle scale e poi lungo il corridoio. Si fermò aprendo una porta per poi richiuderla.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora