Capitolo Trentanove

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                          Viktor

Tre settimane di riposo assoluto.
Tre fottute settimane senza poter fare niente.
Niente studio, niente movimenti, nessun tipo di sforzo.
Tre settimane da passare come un recluso nella mia stessa casa.
Almeno era questo che aveva detto il dottore alla visita di quella mattina.

Ero nervoso, dolorante e annoiato. Un mix altamente pericoloso per chiunque mi stesse intorno.
Chiunque tranne che per lei.
La mia luna, che al momento era alla centrale di polizia dopo aver ricevuto una chiamata preoccupante da Killian.
Sbuffai frustrato passandomi per l'ennesima volta la mano tra i capelli, di quel passo sarei rimasto pelato.

Avevo i nervi a fior di pelle, quel non sapere mi stava mandando fuori di testa. Il non poter essere con lei mi faceva imbestialire e preoccupare.
E se le fosse successo qualcosa? Se qualcuno le avesse fatto del male?
Strizzai forte gli occhi sbattendo i palmi delle mani contro la superficie della scrivania ignorando la Montblanc che rotolò giù sul pavimento con un rumore metallico.

Dovevo calmarmi e razionalizzare. Cassiopea non era sola, con lei c'erano quattro tra i migliori uomini della scorta e poi era sveglia, non si sarebbe mai messa in pericolo da sola... più o meno. Inspirai profondamente riempiendo i polmoni e trattenni l'aria per quattro secondi esatti prima di rilasciarla lentamente. Eseguii altre due volte e sembrò andare meglio, la mente si fece più lucida e i pensieri meno ossessivi e catastrofici.

E lì, in quell'angolino sereno della mia mente, ben nascosto da tutto lo schifo che la governava, c'era lei. Lei e le sue parole. Lei che amava me. Me.
Mai in vita mia mi ero sentito come quando le avevo sentito pronunciare quelle due parole.
Leggero, stordito, fluttuante, sereno, felice.
Dio, era diventato tutto così luminoso nell'istante esatto in cui quelle parole mi avevano colpito.

Il rumore del telefono che vibrava sulla scrivania interruppe il mio navigare nei ricordi della sera prima. Con le sopracciglia aggrottate guardai il numero in alto che non conoscevo.
La mia voglia di parlare con qualcuno era pari a zero e per di più quel numero sconosciuto poteva appartenere a qualche cazzo di giornalista alla ricerca di un'intervista esclusiva.

Cassiopea non aveva per niente esagerato dicendo che la mia faccia era in ogni notiziario perché la mia faccia era su ogni fottuto canale.
Guardai ancora il telefono che continuava imperterrito e con uno sbuffo mi decisi a rispondere.
Poteva essere qualcosa importante.

«Pronto?»
«Perché cazzo sei chiuso in casa invece che essere alla centrale, prijatelju?»

Ma. Che. Cazzo.
Perché cazzo Ilija Savić aveva il mio numero personale? E soprattutto perché lo usava?

«Cosa vuoi?»
«Sapere perché te ne stai con il culo su quella poltrona anziché essere in quel covo di coglioni.»
«Macellaio, se non hai niente da fare gradirei che mi lasciassi in pace e cancellassi il mio numero. Questa stronzata tra noi due è andata fin troppo oltre.»

Mi arrivò un suono metallico all'orecchio seguito dallo sbattere di qualcosa.

«Stanković, stanotte qualcuno ha provato a fare irruzione nella casa famiglia della bambina.»

Un potente fischio mi colpì le orecchie causandomi una vertigine che per un attimo fece girare tutta la stanza disorientandomi. Alzarmi e urlare il nome di Oliver mi uscì automatico nonostante la testa che girava e lo stomaco che si contorceva.

«Che cazzo stai dicendo?»
«Perché credi che l'advokat sia corsa in centrale? Aspetta, non ti ha detto niente?»
«No.»

Mi uscì con un sibilo tra i denti mentre davo istruzioni a Oliver di prendere l'auto e portarmi immediatamente alla centrale. La furia prese possesso di me mentre mi rendevo conto della gravità della situazione.
Qualcuno aveva provato a entrare nella casa famiglia di Malìa.
Avevano provato a prenderla, ancora.

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