Capitolo Tredici

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                       Cassiopea

- Los Angeles, California.
- Sedici anni prima.

Faceva freddo. Sentivo la pelle ricoprirsi di brividi e i peli delle braccia e della nuca sollevarsi ma me ne fregai.

Era notte e il cielo era così nero da far paura, così come la spiaggia su cui mi ero rintanata.
Avrei dovuto averne, di paura intendo, ma la rabbia superava tutto.

Non volevo stare in quella casa, non con i miei fratelli che continuavano a ricordarmi quanto antipatica e distante fossi.
Sirio aveva detto che ero come un ghiacciolo alla menta, gli avevo chiesto perché proprio alla menta e lui aveva risposto:

«Perché i ghiaccioli alla menta non piacciono a nessuno, per questo restano sempre nel fondo dei congelatori e nessuno li sceglie. Sono brutti e hanno un brutto sapore.»

Vega lo aveva sgridato lanciandogli un giocattolo lego in testa urlandogli contro che doveva scusarsi.
Io non avevo risposto, mi ero limitata a guardarlo con indifferenza e dargli le spalle per lasciarlo da solo a giocare.

Non me ne fregava niente di quello che pensavano gli altri, non me ne fregava se pensavano io fossi un ghiacciolo alla menta o che fossi antipatica.
Meglio così, io neanche li volevo degli amici o qualcuno che mi stesse attaccato addosso tutto il giorno come faceva Alya con Altair.

Volevo stare sola, si stava bene da soli.
Non si soffre e nessuno ti dice che sei un ghiacciolo alla menta.
E non avevo bisogno di essere difesa se mio fratello, o chiunque altro, pensava che lo fossi.

La solitudine è bella. Silenziosa. Sicura.

«Ancora fughe notturne?»

Sobbalzai girando di scatto la testa impaurita per essere stata scoperta.
Papà se ne stava dietro di me, le mani nelle tasche del pantalone e un sorriso dolce sulla bocca.
Non era arrabbiato.

Deglutii lo stesso il groppo che avevo in gola e tornai a guardare la luna, unica fonte di luce in quel cielo nero.

Non avevo dato peso a ciò che mi aveva detto Sirio, durante il giorno non ci avevo neanche più pensato, però quella sera non ero riuscita a dormire sentendo nelle orecchie sempre quelle parole.

«Posso guardarla con te?»
«Non ne sono mica la padrona.»

Si sedette accanto a me con le gambe incrociate sulla sabbia e le dita delle mani intrecciate lasciate penzolare nel mezzo.

«Anche io quando ero ragazzino tendevo a scappare di casa, sai?»

Strinsi un mucchietto di sabbia in una mano per poi lasciarla cadere come una cascata e creare una montagnella.

«Perché scappavi?»

Ridacchiò e iniziò ad aggiungere altra sabbia sulla mia montagnella.

«Ero un bambino irrequieto e molto incazzato, mi sentivo incompreso il più delle volte perché ero un piccolo nerd che passava tutto il tempo a fare calcoli e costruire modellini.»

Lo guardai prendendo un'altra manciata di sabbia.

«Però tu eri normale.»

Si fermò con la mano a mezz'aria guardandomi come se non capisse di cosa stessi parlando.

«La normalità è cosa assai banale, Cass.»

Feci una smorfia e lui mi indicò la montagnella sempre più alta con un cenno della mano.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora