Capitolo Quarantatré

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                          Viktor

-Belgrado, Serbia.
- Ventinove anni prima.

Sentivo freddo, tanto freddo. Le signore in camice non facevano altro che toccarmi ovunque e pungermi con strani affari. Lo avevano fatto dal momento in cui eravamo entrati in quel posto pieno di luce e bianco, dove tutti indossavano un camice proprio come uno degli amici di Otac, Boris, era lui che veniva a prendere Andrej ogni volta che erano presenti anche gli altri al piano di sopra. O quando Gospođa Makjka lo richiedeva.

Osservai il tubicino che era attaccato al mio braccio e la signora dai capelli biondi e gli occhi buoni mi sorrise con dolcezza prima di aggiustarlo. Mi stava dicendo qualcosa ma io non sentivo nulla, avevo nelle orecchie ancora l'eco delle urla e poi l'esplosione. Sentivo un saporaccio amaro in bocca, era peggio di quando ci davano da bere quella brodaglia sporca spacciandola per acqua.

«A-andrej.»

Balbettai incespicando sulle lettere. Avevo la testa che mi faceva male e una forte voglia di piangere, volevo solo mio fratello. Avevo paura, non mi piaceva stare da solo né con tutte quelle persone che provavano a toccarmi o spegnere la luce ogni volta che uscivano da quella che era una stanza tutta bianca.
Bianco, solo bianco.
Voglio Andrej, voglio mio fratello.
Dove sei brate? Perché non sei con me?

Non ricordavo nulla dell'arrivo in quel posto, solo che non volevo essere separato da lui. Avevo urlato, tanto. Forse avevo anche morso qualcuno, ricordavo di aver spintonato un uomo dal camice bianco che aveva provato a toccare mio fratello prima di affondargli i denti nella mano.
Non dovevano toccarlo.

«Come dici?»

Chiese con delicatezza la signora bionda. Ingoiai a fatica la saliva e quel brutto sapore e ripetei il nome di mio fratello.

«Va tutto bene piccolo, siete al sicuro adesso.»

Ma lei non capiva! Non mi interessava essere al sicuro, io volevo Andrej! Volevo mio fratello!

«Andrej!»

Ripetei guardandola male stringendo le mani a pugno battendoli sulla coperta azzurra che mi copriva.

«Il tuo amico sta bene.»
«Andrej! Andrej! Andrej! Andrej»

Iniziai a urlare e battere i pugni sempre più forte contro il materasso colpendo anche le mie gambe fregandomene del dolore. Gli occhi iniziarono a bruciare e presto le lacrime scesero sulle guance mentre continuavo a dibattermi su quel letto, quelle strane cose che avevo attaccate alle braccia iniziarono a tirare, la macchina rumorosa al mio fianco iniziò a suonare sempre più forte e più veloce.

«No, no! Fermo, sta' fermo! Ti farai male.»

La signora bionda allungò le mani verso di me cercando di fermarmi bloccandomi contro il letto ma io urlai, forte, tanto forte. Così forte che lei indietreggiò spaventata guardandomi con gli occhi buoni adesso spalancati. Raggiunse la porta uscendo velocemente chiamando a gran voce qualcuno, io approfittai di quel momento per staccarmi quegli aggeggi di dosso e correre fuori da lì.

Mi ritrovai in un corridoio dalle pareti colorate e piene di disegni, tantissime persone in camice camminavano avanti e indietro. Rimasi immobile frastornato da tutto quel caos ma mi ripresi quando vidi la signora bionda tornare seguita da un uomo e un'altra donna. Dovevo scappare. Stavano venendo per me.
Dovevo trovare Andrej, poi saremmo scappati insieme e saremmo stati bene. Io e lui, come sempre.

Corsi nel corridoio con le gambe che facevano male e i piedi che si raffreddavano a contatto con il pavimento ma dovevo trovare Andrej.
Mi affacciai in tutte le stanze ignorando chiunque provasse a parlarmi o pormi domande e poi, finalmente, quasi alla fine del corridoio, lo trovai.

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