Capitolo Ventidue

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Cassiopea

Stringendomi nella felpa che avevo rubato di nascosto dall'armadio di Viktor scesi dal taxi pagandolo al volo.
Un brivido freddo mi corse lungo la schiena e mi affrettai a percorrere il vialetto di casa ed entrare dentro.

Le chiavi strette in una mano e la busta gialla mezza stropicciata nell'altra.
Quella mezza visita non mi era servita a nulla se non a buttare via cinquecento dollari per meno di due informazioni.

Sapevo che non sarebbe stato facile, sapevo che sarei dovuta scendere a compromessi con me stessa e la mia morale, ma avevo deciso di provarci lo stesso. Le ricerche di Ethan andavano a rilento e io non potevo perdere altro tempo, avevo dovuto trovare un metodo secondario.

Mi fermai in cucina e aprendo il frigorifero mi versai un bicchiere di quella centrifuga dal colore poco invitante ma dal sapore decisamente migliore che preparava Jaz tutte le mattine. Era fissata con i cibi biologici e senza alcun tipo di conservante.
Sorseggiai la bevanda stando in piedi davanti alla finestra della cucina che dava sul giardino buio.

Erano le tre e mezza del mattino, la coperta scura e silenziosa della notte ricopriva la città rendendo il mio quartiere simile a un fantasma.
Dormivano tutti, al sicuro nelle loro case, nei loro letti.
Abbracciati alle persone che amavano o da soli, stretti al cuscino.

Dormivano profondamente, sognando magari, ignari di ciò che succedeva intorno a loro. Nel resto del mondo, dove bambini venivano comprati, rapiti, strappati dalle braccia delle loro madri per essere mercificati come oggetti da bestie umane.

E provai rabbia. Una furia cieca perché solo l'anno precedente, prima di tutto il casino, io ero come tutti loro.
Cieca. Ignara.

La busta quasi si strappò sotto la pressione delle dita. Abbassai lo sguardo allentando la presa e fissai l'involucro chiuso.
Quello che stavo facendo non era per niente saggio, anzi era l'esatto opposto ma era l'unica via rimasta.

Posando il bicchiere ormai vuoto nel lavandino misi la busta sul bancone e la spianai con il palmo sudato della mano. Le crepe si lisciarono un pochino restando però impresse sulla carta. Lanciai una rapida occhiata al corridoio vuoto, Jaz stava sicuramente dormendo.
Presi un profondo respiro sentendo il cuore martellare nelle orecchie.

Con la mano che tremava passai un dito sotto la chiusura tirando fino a che lo strappo rimbombò contro le pareti della cucina vuota e illuminata solo dalla luce calda di uno dei lampadari pensili proprio sopra il bancone.

Forza Cassy, puoi farcela. Hai speso cinquecento dollari, deve esserci qualcosa lì dentro.

Il dito scivolò lungo la chiusura lacerandola fino a che la aprì del tutto. Già sapevo che dentro c'era poco e niente ma non mi aspettavo di certo tre miseri fogli ripiegati.
Ne afferrai uno pronta a cacciarlo ma un rumore proveniente dall'atrio mi fece scattare in allerta.

C'era qualcuno in casa.

Il panico mi serrò la gola, mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa da usare come arma e il mio sguardo si posò sul ceppo dei coltelli. Afferrai quello più grosso e cercando di essere il più silenziosa possibile mi avviai verso il corridoio.

Se c'era davvero qualcuno in casa mia stavolta non sarei stata io la vittima.

Il sudore mi colò lungo la schiena, il respiro era talmente corto che i brevi ansiti che facevo per creare il meno rumore possibile non riuscivano a soddisfare i miei polmoni brucianti.
Strinsi forte il manico del coltello nella mano e con l'altra mi appoggiai al muro camminando sulla punta dei piedi.

Di nuovo quel rumore, come qualcosa che sbatteva. Poi un'imprecazione bassa.
C'era davvero qualcuno.
Cazzo, avrei dovuto chiamare uno dei miei fratelli o la polizia ma il mio cellulare era abbandonato sul bancone accanto ai fogli.

The Song Of The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora