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E quindi scappammo via, come se le nostre gambe volassero sulle nuvole come viaggiano libere e sbarazzine le note di un artista ribelle, che sovverte un sistema con la propria musica. Kai mi strascinò con la stessa capacità che hanno le onde del mare di ritirare l'acqua a sé. Io mi feci sempre più vicina a lui, mossa da quella stessa attrazione che aveva spinto Icaro ad avvicinarsi al Sole, con anche l'ebbrezza del volo. Pareva che avessimo le ali, sospinti da quel funesto fluire d'aria incessante che scaraventa da una parte all'altra Paolo e Francesca, senza esaurire la loro incessante voglia di ricongiungersi, che invece si fa sempre più grande. E io amai Kai allo stesso modo di come Amore amava Psiche, o di come la morte ama la vita al punto di strapparla, per prenderla a sé da un momento all'altro.

Corremmo via, senza badare alla strada che stavamo percorrendo, perché bastava che io e lui fossimo insieme per acquistare del coraggio. A ogni nostro salto vedevo Kai togliersi un pezzo di quella uggiosa divisa da lavoro, per ultimo lanciando in aria il grembiule marrone, come segno di libertà.

Mi abbandonò la mano solo per girarsi verso di me e continuare a correre, per guardarmi negli occhi e sorridere, quel riso di una persona che ce l'ha fatta, che ha raggiunto la vetta del mondo. Io a stenti gli stavo dietro, non ero un'ottima atleta, ma poco mi importava della fatica se potevo stare con lui.
Vidi nelle sue iridi il rimpianto di chi si pente di non aver fatto abbastanza, nel suo caso di avermi trascurato. Lì, in cui eravamo gli unici ad esistere, si riscattò completamente. Mi fece salire sul suo pianeta, accudendomi con l'ugual premura che il piccolo principe ha per la sua rosa. E forse noi avevamo più i piedi sopra un asteroide, perché alla deriva da questa realtà mutevole e mortale.

Ci fermammo quando fummo abbastanza convinti di essere sufficientemente lontano dal locale, fermandoci per riprendere fiato in mezzo a un prato verde, vivo quanto lo erano i miei sentimenti.

Era il momento per me.

Sentivo miei quegli attimi, come se il tempo si fosse inchinato al mio cospetto per darmi l'occasione di dichiararmi.

«Kai, diventa il mio ragazzo» enunciai quella frase con sicurezza, sebbene il fiatone ne impedisse un po' la fluidità.

Ora mi riconoscevo. Quella Marlee che avevo perso non so dove, era ritornata in me. L'audacia, l'esprimere a grande voce i miei pensieri e sentimenti, cose connaturate alla me che conoscevo e che nell'ultimo periodo mi aveva abbandonata. Avevo ritrovato Marlee o Marlee semplicemente si era fatta conoscere di più, mostrando lati di sé non poi così malvagi.

«Come?» domandò lui, nonostante capì alla perfezione le mie parole.

«Cosa?» chiesi io la motivazione di quel suo chiarimento.

Sospirai. Ero così piena di vitalità che tutto mi sembrava un flusso incessante che doveva andare alla stessa velocità dei battiti del mio cuore.

«Sì, Kai. Tu mi piaci, tanto. E sono quasi certa che tu provi lo stesso, quindi non vedo perché girarci attorno. Allora, ti piacerebbe se stessimo insieme?» proseguii.

Poteva essere troppo diretto, se non affrettato. Però ne avevo la conferma. Non mi aveva apertamente espresso le sue emozioni, né un solo atto sconsiderato che aveva fatto nei miei confronti poteva considerarsi una motivazione valida. Ma per me era sufficiente. Hueningkai non si apriva, non si lasciava trasportare dalle sensazioni, a differenza mia. Lui aveva bisogno di tempo per meditare, mentre io ero di gran lunga più impulsiava. Tuttavia, dovevo fare io il primo passo per raggiungere una via di mezzo tra i nostri caratteri.

«Ho paura della tua ira, se mai dovessi rifiutarti» mi confessò lui, sottovoce. Abbassò poi lo sguardo perché in imbarazzo.

«Sono seria, Kai Kamal Huening» affermai con tono autoritario.

«Scusa... cercavo solo di rendere la situazione meno imbarazzante, per potermi dichiarare anche io» concluse.

E in quel istante la forza di gravità era come se non esistesse più.

Coup de foudre 𐠟 HueningkaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora