chapter 7;

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Mariasole's point of view

Quella mattina non andai a lavoro, mi risvegliai con qualche linea di febbre e preferí restare a dormire sotto il mio fidato piumone.
Quando avevo la febbre facevo sogni strani, del tutto assurdi.
Mi svegliai di scatto, con la fronte sudata e le mani fredde, come se avessi appena fatti un incubo che avevo dimenticato troppo presto.
A risvegliarmi era stato il suono dei citofono.
Mi alzai di malavoglia, con il plaid sulle spalle e gli occhiali sul naso.
Aprì il portone senza neppure chiedere chi fosse e aspettai vicino alla porta che suonassero al campanello, questione di secondi visto che abitavo al primo piano.
Guardai dallo spioncino: Alberto.
Avevo il chiavistello ancora aperto, ma aprì la porta e gli parlai da quella fessura.
«Cosa vuoi?» chiesi con voce rauca.
«Che tu mi faccia entrare» mi sorrise.
Roteai gli occhi divertita dalla situazione e lo lasciai entrare.
«Sembri distrutta» mi sollevò il viso prendendolo fra le mani.
«Ho avuto la febbre» risposi quasi acidamente guardandolo negli occhi.
Rimase con le mani sulle mie guance ancora un po', alternando lo sguardo fra i miei occhi e le mie labbra, senza dire una parola.
Si stava avvicinando alle mie labbra, sembrava come se volesse rendere quei baci che mi aveva stampato di sfuggita in ufficio quasi romantici.
Ad un pelo dalle mie labbra disse qualcosa.
«Da quanto porti gli occhiali?» disse tenendo gli occhi fermi sulle mie labbra ed un ghigno sulle sue.
Mi girai ed andai via, lanciandomi sul divano con le gambe al petto.
«Questa mossa scenografica di Voldemort potevi risparmiartela» rise avvicinandosi a me.
Io lo fulminai con lo sguardo e mi chiusi a guscio sotto la coperta.
Scema io che pensavo stesse per baciarmi.
Sentì le guance cuocere, mi sentivo una ragazzina con il suo primo fidanzato.
Sotto la coperta era un po' buio, fra le maglie passava un po' della grigia luce milanese.
Albe si avvicinò e aprì la coperta per potermi guardare il viso.
Sorrideva, sorrideva come un bambino.
Mi prese in braccio e camminò verso la mia camera.
Avevo le gambe attorno al suo busto e le sue mani mi reggevano le cosce.
Lo guardai con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, mentre lui aveva ancora quel sorriso da bambino sul viso.
Si sdraiò accanto a me e rimanemmo a guardarci negli occhi, in silenzio.
Presi una sigaretta da sopra al comodino e la accesi, avevo bisogno di distrarmi da quella situazione.
Non fumavo spesso in camera, ma in situazioni eccezionali me lo concedevo.
Il silenzio fra noi non era nemmeno più tanto imbarazzante, perché era un silenzio pieno di cose che non si sapevano dire.
«Non dovresti essere in studio?» domandai con la sigaretta fra le labbra.
«Hanno detto che potevo andare» mi spiegò «E poi volevo scappare dalle domande di Patrizia» rise.
Roteai gli occhi sentendo quel nome, ma non perché ne fossi gelosa, quanto per la sua capacità di ficcanasare ovunque.
«Gelosa?» rise poggiando il viso sul mio petto.
«Oh si da morire» risposi ironica facendo uscire qualche nuvoletta di fumo dalle mie labbra.
Lui rise, poi finalmente si decise a baciarmi.
Prese la mia sigaretta e la spense nel posacenere sul comodino.
Fu un bacio che di casto c'aveva solo le intenzioni.
«Ma ho l'influenza» dissi staccando il mio viso dal suo.
Lui non ci dette peso e riprese a baciarmi, facendo scivolare la sue mani su ogni centimetro quadrato del mio corpo.
Facemmo sesso, di nuovo, per la seconda volta, ma almeno l'avrei potuto ricordare tutto il giorno

eravamo da me e?||TananaiDonde viven las historias. Descúbrelo ahora