Prologo.

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Lente gocce di pioggia si infrangevano sull'asfalto della città – già di per sé colmo di difetti – costringendo le poche persone in strada, in quel noioso mercoledì di fine ottobre, ad affrettarsi a trovare riparo prima che le poche gocce che li bagnavano si trasformassero in un vero e proprio diluvio.
Manuel aveva sempre avuto un rapporto conflittuale con la pioggia, tutti i suoi ricordi peggiori includevano la pioggia eppure, nonostante tutto, non riusciva a detestarla davvero, sperava sparisse ma senza non ci sarebbe riuscito a stare, dopo aver condiviso così tanto dolore era divenuta una parte fondamentale della sua vita. La pioggia era per lui una compagna con cui spartirsi i dolori, da incolpare anche ma che sapeva avrebbe sempre protetto i suoi segreti. Da piccolo, chiuso nella sua stanzetta, passava una quantità di tempo indefinibile a fissare le gocce di pioggia che cadevano sulla piccola finestra della sua camera, si concentrava solo su quello per evitare di sentire le grida che provenivano dall'esterno della sua camera, pur di non sapere quello che stava succedendo fuori dalla sua stanza si creava mondi immaginari in cui rifugiarsi, si immaginava protagonista di avventure fantastiche ma in tutti quei suoi mondi il sole non c'era mai, a stento sapeva che cosa fosse, invece la pioggia era sempre presente. La pioggia era l'unica costante della sua vita.
Anche quella sera la pioggia lo stava accompagnando ma lui, suo malgrado, aveva ben poco tempo da dedicarle, era fin troppo occupato a destreggiarsi tra tavoli e ordini pur di non perdere quel lavoro che non gli piaceva ma era l'unico che gli permetteva di sopravvivere fino a fine mese e, dopotutto, immaginava potesse andargli anche peggio quindi non si lamentava, o almeno non troppo. Manuel aveva trovato lavoro in un ristorante poco distante dal centro di Roma circa quattordici mesi prima, una serie aveva lasciato l'università poco dopo essersi iscritto alla magistrale e la disperata ricerca di un lavoro l'aveva portato ad abbandonare anche le sue passioni e accettare qualsiasi cosa gli permettesse di pagare le spese. Il ragazzo era passato dal girare tutto il giorno con i libri sotto al braccio, a sognare il suo futuro a girare come una trottola tra i tavoli di quel ristorante da cui si riusciva ad intravedere piazza navona, a dispensare falsi sorrisi a dei clienti di cui non gli interessava niente ma da cui dipendeva tutto. Con il tempo, Manuel, era diventato bravo a fingersi felice, a mandare giù il boccone amaro che la vita continuava a riproporgli con sadica insistenza eppure, nonostante tutto, il ragazzo continuava a sperare che prima o poi anche per lui sarebbe arrivato un raggio di sole tra così tanta pioggia.
La pioggia di quella sera sembrava aver spinto tutti a raggiungere il ristorante – tanto che il maître era stato costretto a mandare via più di un cliente perché la sala era piena e avevano prenotazioni per tutta la serata – creando così un assordante rumore di chiacchiere, a cui si univano anche la musica sempre presente nel ristorante e il suono delle posate, dei piatti e dei bicchieri che si scontravano, tra così tanto caos Manuel faceva fatica a sentire anche i suoi stessi pensieri ma non era del tutto un problema, con tutto quello che aveva da fare non aveva nemmeno tempo di pensare. A completare il disastro di giornata del ragazzo, che normalmente di mercoledì aveva il turno del pranzo, si era dovuto trattenere anche per il turno di sera perché ben tre dei suoi colleghi erano assenti per malattia e lui non sapeva dire di no, soprattutto a chi gli permetteva di mangiare, motivo per cui si ritrovava con le gambe che gli chiedevano di fermarsi un attimo, la schiena a pezzi, la testa che gli scoppiava e più clienti di quanti fosse capaci di gestire considerato che i suoi colleghi sembravano essersi volatilizzati nel nulla, lasciandolo solo a gestire le tante richieste che lo stavano facendo impazzire.
- "Manuel, ce pensi te ar tavolo nove?" Gli chiese il cuoco mentre finiva di impiattare del salmone e delle verdure grigliate.
- "Come se nun stessi a pensa' a tutto io, Massimilia'." Sospirò lui e, concedendosi un secondo di pausa, si versò un bicchiere d'acqua.
Il cuoco, un uomo sulla quarantina e ormai pelato da tempo ma che sembrava voler bene a Manuel, alzò lo sguardo su di lui e aggrotto la fronte.
- "E 'l altri?" Chiese.
- "'o sai tu?" Replicò il ragazzo e bevve la sua acqua, concedendo così almeno alla sua gola un attimo di sollievo. "So' tutti morti o nun capisco che fine hanno fatto."
- "Sicuro stanno a fuma'." Rispose l'uomo. "Te porta questi ar tavolo nove che a loro ce penso io." Aggiunse e gli mise davanti i due piatti che aveva già finito di preparare. "Due minuti e vedi come li faccio corre'."
Manuel ridacchiò e prese i due piatti di pasta.
- "Grazie, Massimilia', senza de te sarei già morto qua dentro." Ed effettivamente era vero, pur di dimostrare al suo datore di lavoro di meritare quel posto Manuel lavorava sempre sino allo sfinimento, non si fermava mai più di un paio di minuti e questo l'aveva portato più di una volta ad avere forti capogiri che sarebbero anche peggiorati se a lui non ci pensasse – per l'appunto – Massimiliano che, come se fosse un padre, lo costringeva a fermarsi e a mangiare qualcosa, ripetendogli che a poco gli serviva un lavoro da morto e che doveva prendersi più cura di se stesso o l'avrebbe costretto lui stesso a farlo.
- "Dopo t'aspetta 'n bel piatto de gnocchi come piacciono a te." Gli comunicò, sorridendo, l'uomo. "Ora però porta questo ar nove o chi li senti quei francesi."
- "Ma che ne devono capi' loro de pasta." Rise il ragazzo e, dopo aver salutato Massimiliano con un cenno della testa, si diresse verso il tavolo nove.

Sotto la pioggia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora