Capitolo IV: torta al cioccolato

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No, no, no! Svegliati ti prego, torna da me. Ho ancora tanto bisogno di te!

Sento una sensazione calda e umida sulle mani, apro i palmi e li guardo. È sangue, rosso carminio e lucido. Sangue su tutte le mie mani. Il suo sangue.

Mi sveglio urlando nel buio e istintivamente mi guardo le mani.

Pulite. Sono pulite.

Era solo un sogno, il solito brutto sogno che mi perseguita da due anni a questa parte. So già che non riuscirò più a dormire quindi guardo la sveglia che segna le sei e decido di alzarmi. Almeno oggi sono sicura che non arriverò in ritardo a casa di Leo per sentirmi dire "Sei in ritardo nana bruna".

Dopo essermi vestita e truccata leggermente, solo per non sembrare un cadavere, esco in strada e c'è un silenzio surreale. L'unica cosa che mi piace della mattina presto è la tranquillità che regna, come se tutto fosse ancora addormentato.

Ne approfitto per osservare questa città, che fino ad ora avevo guardato senza avere mai visto davvero. La via principale è costeggiata su entrambi i lati da grandi costruzioni rettangolari rosso mattone, che ricorda il colore della terra e delle montagne dell'Arizona. A livello della strada, un numero infinito di vetrine decora la via, adornata da alberi e piccoli cespugli curati. Ha un'atmosfera intima questa via, abbracciata dagli edifici e dagli alberi e costellata di graziosi bar, negozi ed altre attività. In particolare, noto una vetrina in cui è esposto un bel cappotto caldo beige che cattura subito il mio occhio, mi sa proprio che nel pomeriggio verrò qui a fare shopping di vestiti invernali.

Dopo aver fatto colazione alla caffetteria sotto casa e dopo aver finto di non sentire le mille battute scherzose di Justin, mi dirigo verso casa di Leo. Anche oggi la salita per raggiungerla è faticosa e rimpiango gli anni del liceo in cui ero la prima della classe in atletica leggera e questa mi sarebbe sembrata solo una tranquilla passeggiata. Arrivata davanti a casa, suono il campanello e attendo.

Dopo qualche istante la porta viene aperta da Leo che, con indosso un paio di jeans scuri e una T-shirt nera, mi squadra dalla testa ai piedi con sguardo indifferente. Mi fa cenno di entrare con la testa, e mentre compie questo gesto un paio di riccioli neri gli cadono sulla fronte arrivando a sfiorare il sopracciglio.

"Permesso" dico entrando, per educazione. Ma lo faccio più per me che per lui, visto che appena entro richiude di fretta la porta e sparisce nell'altra stanza. È forse in ritardo?

Nel frattempo, Milo mi viene subito a salutare e vedendo quell'ammasso di pelo color ocra mi spunta subito un sorriso. Osservo il cane colore del sole e il suo padrone colore della luna e penso che non possano essere più diversi di così. Dicono che i cani assomiglino ai loro padroni.

"Per tua fortuna non è così" sussurro a Milo mentre gli accarezzo la testa.

"Non socializzare con il nemico, Milo" dice Leo.

Si è messo una felpa sopra la maglietta che indossava e ha lo zaino in spalla, pronto per uscire. Non così in fretta però.

"Ricordati che sono io a portarti a spasso e non il pezzo di...ghiaccio del tuo padrone" dico rivolgendomi all'animale, che ci guarda confuso.

Leo mi riserva uno sguardo glaciale e mentre afferra la maniglia, prima di uscire, si volta e dice "Allora buona passeggiata nana bruna".

Che. Fastidio.

Sono sempre stata una persona calma, che si lascia scivolare le cose addosso, con un'indifferenza tale da non permettere a niente e a nessuno di toccarmi. Ma questo ragazzo, i suoi modi di fare, le sue parole, scatenano in me reazioni che non avrei mai pensato. Insomma, perché sono così infastidita dal suo commento, quando me ne hanno rivolti di ben peggiori. Perché anche se lo conosco appena, quando mi è vicino sento agitarsi in me una tempesta e vorrei solo prendere a pugni quel suo naso perfetto.

Tra la Neve e le StelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora