Capitolo XVIII: stella solitaria

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Fisso nervosa la stupida insegna luminosa della caffetteria di fiducia con uno scoiattolo gigante che tiene tra le zampe una tazza fumante.

Ma quale razza di scoiattolo beve il thè?!

Sto congelando ad aspettare Justin qui fuori, esce perfino una nuvoletta di vapore ogni volta che espiro e muovo le gambe ritmicamente per non morire assiderata. Come mai è in ritardo? Spero non sia successo nulla.

No

No, non può essere, non posso averlo pensato. Per un momento mi è balenata l'idea che Justin possa essere in ritardo perché è stato trattenuto, da qualcuno, e quel qualcuno ha il nome di Leo. Ma poi ripensandoci bene non farebbe mai una cosa del genere, erano amici d'altronde, non gli farebbe mai del male perché sta uscendo con me. Non me lo vedo come una persona violenta, lui è tranquillo, silenzioso, non è irascibile.

Appena finisco di formulare questo pensiero vedo Justin che arriva affannato, rapidamente scorro tutto il suo corpo in cerca di segni di violenza, ma per fortuna non ce ne sono. A volte lascio correre i pensieri un po' troppo.

"Ciao Kary, scusami per il ritardo, è saltata la corrente a casa mia e il phon non funzionava, non potevo uscire con i capelli bagnati con questo freddo" dice trafelato.

In genere questa risposta mi irriterebbe e non poco, ma poi guardo il suo vaporoso ciuffo castano ramato e rido con un'alzata di spalle. Mi saluta con un bacio sulla guancia e iniziamo a camminare per Aspen Avenue.

"Dove mi porti?" domando curiosa.

"Siamo quasi arrivati, è qui vicino. Ti piacerà" mi assicura con un sorriso.

Poco dopo entriamo in un ristorante, che riconosco subito essere lo stesso in cui ho preso il cibo da asporto la prima sera che sono arrivata in città. Il luogo in cui ho trovato affisso l'annuncio di Leo che chiedeva una dogsitter, dove tutto ha avuto inizio. Inevitabilmente i miei pensieri vanno a lui.

Il cameriere ci fa accomodare a un tavolino per due, io mi siedo con la faccia rivolta verso la porta d'ingresso, Justin invece verso il resto della sala. Questo posto è veramente grazioso, me ne sono innamorata già la prima volta in cui ci ho messo piede, ma adesso ho l'occasione di ammirarlo per bene.

Le tovaglie sono a quadretti bianchi e rossi, ci sono candele e cestini di pane sopra ogni tavolo e l'ambiente è familiare ma curato. Ho viaggiato a sufficienza per il mondo per rendermi conto che questo è un ristorante italiano, dettaglio che deve essermi sfuggito la prima volta. Ero più impegnata a guardare la foto di un Golden Retriever su quel maledetto annuncio.

La serata scorre tranquilla e piacevole, il cibo è ottimo così come la compagnia. Mi piace trascorrere il tempo con lui perché non fa domande che cercherei di sviare, non mi legge dentro e non mi dà ordini. Sa solo quello che io decido di mostrargli di me stessa e non chiede di più. Non chiede del passato, né del futuro, esiste solo il presente. E parla un sacco, così non sono costretta a farlo io, restandomene nel mio amato silenzio.

"Sai quella volta eravamo talmente ubriachi che abbiamo pure...". Parla ma non lo ascolto più, la mia attenzione è catturata da altro. E questo altro è alto un metro e novanta, ha i ricci neri e gli occhi verdi e mi guarda, intensamente.

Non so cosa ci faccia qui né se sia un caso o meno che sia entrato nel nostro stesso ristorante. Ordina qualcosa da asporto al cameriere dietro la cassa e attende. Si poggia al muro con la schiena e incrocia le braccia, con l'espressione di quello che si sta godendo la scena. Ci osserva senza dire niente, di tanto in tanto scuote il capo con fare di scherno, per poi tornare a divorarmi con gli occhi. Le sue iridi si prendono ogni cosa di me, il mio respiro, il mio corpo, la mia attenzione. Per fortuna che Justin è così preso dal suo discorso che non si accorge di nulla.

Tra la Neve e le StelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora