Capitolo VII: orso grizzly

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Roma

"Dai belle, bevete qualcosa con noi" disse Giovanni, un ragazzo italiano seduto di fianco a me al bancone del pub.

"No gra-"

"Certamente, ci farebbe piacere" rispose battendomi sul tempo Katy, la mia collega australiana.

Lavoravo da qualche mese in una caffetteria in Italia, a Roma, avevo conosciuto Katy un paio di settimane prima, era venuta qui per studiare dall'Australia.

Mi ero già pentita di aver accettato la proposta di Katy di uscire insieme, ma visto che ormai mi trovavo in questo stupido pub, tanto valeva darmi un'occasione di passare una bella serata in compagnia di altri giovani ragazzi del posto.

"Questo è il mio amico Michele, piacere di conoscervi, io sono Giovanni" disse lui con un sorriso ammiccante.

Ci offrirono da bere, o meglio lo offrirono a Katy e a loro stessi. Bevevano veramente molto per essere dei ragazzi così giovani.

Dopo molti cocktail l'altro ragazzo, Michele mi sembrava si chiamasse, si avvicinò alla mia collega e le sussurrò qualcosa nell'orecchio, lei rise e si alzò dalla sedia.

"Michele mi ha chiesto di andare fuori a fare un giro, torno tra poco Karina" disse lei un po' brilla per l'alcool.

La implorai con lo sguardo di non lasciarmi sola, ma era troppo presa da quel ragazzo per badare a me.

Giovanni si avvicinò subito a me, insistendo che avremmo dovuto anche noi fare un giro fuori, ma rifiutai fermamente. Continuò a parlarmi a un palmo dal mio viso, il suo respiro puzzava di alcol e biascicava un po'.

Si alzò dalla sedia e, poggiando un gomito sul bancone, con l'altra mano mi sfiorò il viso. Mi ritrassi all'istante e lui disse una cosa tipo: "Italians do it better baby"

In un attimo quella mano era sulla mia vita, che stringeva saldamente, e la sua bocca era avventata sul mio collo, cercando di baciarlo avidamente. L'altra mano scorreva bramosa lungo il mio corpo, fino ad arrivare al sedere.

Lo spinsi via con forza, gridando, finché attirai l'attenzione della cameriera al bancone che mi chiese se stessi bene. Giovanni si allontanò di un passo da me, mi rivolse uno sguardo di disprezzo, mi mise una mano dietro la nuca, e afferrandomi i capelli avvicinò la bocca al mio orecchio.

"Siete tutte rigide uguali voi ragazze, non importa da che paese arriviate" disse in un soffio.

Mi sentii violata, umiliata e oggettificata.

Mai più un uomo avrebbe potuto toccarmi senza il mio consenso.

Ed eccolo qui di nuovo, quel senso di inadeguatezza, di sentirmi nel posto sbagliato, quella voglia di fuggire.

Lasciai Roma dopo pochi giorni e partii alla volta di una nuova destinazione.


Scaccio dalla testa questi ricordi e le brutte sensazioni che si portano dietro, ma continuo a voler sapere chi si è permesso di toccarmi così prima, con la luce spenta. Chi si nasconde nel buio?

Sentirmi di nuovo toccare sui fianchi, sulla schiena, senza il mio permesso mi lascia piena di brividi di terrore e ribrezzo. Per di più non sapere chi è stato a farlo, mi lascia ancora più vuota.

Mentre continuo a rimuginare sull'accaduto, inizio ad uscire dall'osservatorio e posso dire di essere contenta di questa inaugurazione. Ho saputo recitare la mia parte all'interno della serata, non ho scordato nessuna informazione e credo di essere stata abbastanza disponibile con i clienti.

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