Again

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Silenzio.
In mezzo al frastuono dei clacson, del chiacchiericcio della gente sui marciapiedi, dei campanelli delle biciclette, era come se non sentissi nulla, come se intorno a me regnasse la quiete.
Ero lì da mezz'ora, ad aspettare Paulo. Quel giorno per telefono avevamo discusso molto, ma ad un certo punto il bambino si era svegliato, e non avevo avuto voglia di continuare quella pantomima.
Avevamo così deciso di risentirci più avanti, ma la mattina seguente mi era arrivato un messaggio in cui sosteneva che ci saremmo dovuti vedere la sera stessa, perché la situazione era diventata insostenibile.
Ci eravamo dati appuntamento all'hotel in cui aveva alloggiato la Juventus anni prima, quello dove avevamo dovuto sfrattare Cuadrado per passare la notte insieme. Diceva esserci un ristorante carino, e gli sembrava una zona abbastanza discreta della città, per quanto poco la conoscesse.
Indossavo un abito sotto il ginocchio, accompagnato dalle décolleté ed un cappotto leggero. Per sicurezza avevo messo gli occhiali da sole, nonostante fosse buio pesto, non avevo voglia di farmi riconoscere.
Aprii il pacchetto di Marlboro che tenevo in tasca, ne estrassi una sigaretta e la strinsi tra le labbra.
"Fumi ancora?" sentii dire alle mie spalle.
Mi voltai.
"No, ma ho conservato il gesto di portarla alla bocca. Mi fa sentire meno tesa"
Mi stupii di avergli rivelato con cotanta nonchalance che la situazione, nonché la sua presenza, mi agitassero.
"Sempre meglio delle pasticche, no? Infondo il danno è uguale"
Ripetè quelle parole, che ero stata io a pronunciare la sera in cui ci eravamo conosciuti. Incredibile che le ricordasse ancora perfettamente.
"Vogliamo entrare?"
Annuii.
Fu scocciante non trovare la sala semi-vuota, avrei preferito essere al riparo da occhi indiscreti, ma non ci volle molto prima che mi rendessi conto di star pretendendo troppo. Non potevo permettermi di esser così presuntuosa, né con lui né con nessun altro, altrimenti l'unica persona presente nella vita di mio figlio sarei rimasta io.
"Sai Eva, dopo tutto questo tempo non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da te" esordì non appena il cameriere si allontanò, dopo aver preso le nostre ordinazioni.
"Non ti aspettavi che mi mettessi sulla difensiva, oppure non ti aspettavi che non fossi cambiata affatto?"
"La seconda"
Abbassai lo sguardo sulle posate, e non ebbi il coraggio di rialzarlo per un po' di tempo, che impiegai ad auto-psicanalizzarmi. Cercavo di pormi domande utili a codificare il mio atteggiamento, ma la verità era che sapevo benissimo di esser rimasta la solita stronza, indebolita soltanto nei confronti di un dolce bambino di tre anni, che meritava tutto l'amore del mondo. Per il resto la me egoista non aveva abbandonato il mio corpo.
"Sappiamo entrambi che i nostri problemi derivano da vecchie questioni che non abbiamo mai avuto l'audacia di affrontare"
Tergiversai. Sperando che fosse più accondiscendente con me.
"Non posso negare di avere dei traumi, ma vorrei che ammettessi di averne anche tu"
Continuò a non rispondere. Leggevo la sua frustrazione nella mascella contratta e nel pugno stretto intorno al tovagliolo.
"Non voglio arrivare al punto di doverti accusare per tutto quello che hai fatto" disse poi.
"Vorrei che lo facessi, invece. Io ho avuto più occasioni per esternare i miei sentimenti, tu non lo hai mai fatto"
"Perché non voglio diventare come te, dato che so come ci si sente ad essere dall'altra parte"
Con quelle parole mi sferrò un duro colpo, seppur sapessi che non fosse la sua vera intenzione. Era stato brutalmente onesto, ammettendo che nonostante tutto tendesse ancora a proteggermi, talvolta più del dovuto.
"Mi dispiace che tu abbia sofferto così tanto, Paulo"
E dispiaciuta lo ero davvero, non c'era giorno che prima di dormire non pensassi al dolore che gli avevo procurato, alle sue ferite ancora aperte.
"Perché credi che una volta arrivato qui sia sparito? Stavo cercando di difendermi da me stesso, e dai miei sentimenti"
Vista dai suoi occhi la situazione mutava completamente, e non ci volle molto prima che iniziassi a credere che forse abbandonare Torino non era poi stata una grande scelta.
"In questi ultimi mesi starti accanto è stata dura, seppur dimostrassi tutt'altro. Non ho mai saputo tenere a bada le emozioni, lo sai bene, e ogni volta che ti vedevo accartocciata su quella poltrona accanto al letto di Paulino avevo voglia di correre da te, venire a salvarti. Poi però mi ripetevo che non avrebbe avuto senso, che avevo già provato a farlo sei anni prima e le cose erano precipitate. Sei una mina vagante, Eva, e questa volta ho davvero paura di essere coinvolto in una delle tue esplosioni"
La prima cosa che riuscii a pensare in quel frangente di secondo fu devastante, ancor di più quando la esternai: "Non mi sarei dovuta precipitare a Roma, avrei dovuto pensarci meglio. Ti sto rovinando la vita ancora una volta, non posso farti questo, non di nuovo".
La cosa peggiore? Che lo sapevo sin da quando ne avevamo discusso fuori dall'ospedale, eppure mi ero lasciata trasportare.
"Non possiamo stare vicini io e te, perdiamo la terra da sotto ai piedi. Voliamo troppo con l'immaginazione e questa cosa, Paulo, ci si ritorce contro"
Solo quel qualcuno lassù, se effettivamente ci fosse, sapeva quanto mi era costato pronunciare quelle frasi, quanto il mio cuore si fosse sforzato.
Allungò il braccio verso il mio, lo ritrassi prima che potesse toccarmi.
"Eva, dammi la mano"
Scossi la testa.
"Ti prego"
No, non lo avrei fatto.
"Nena, ti prego"
Non mi mossi, allora si sollevò leggermente con il sedere, ciò gli consentì di raggiungere la vicinanza necessaria per afferrarla senza che potessi oppormi. Aveva le dita fredde, le mie al contrario scottavano.
Ne carezzò il dorso con il pollice, poi pretese di stringere anche la sinistra, e glielo concessi senza troppi drammi.
"Ci siamo fatti molto male, è vero, ma non siamo più quei ragazzi immaturi di soli venti e ventun anni. Tu hai un figlio, e sei una mamma stupenda, io una compagna e due Akita, che sono una bella responsabilità. Se sappiamo gestire questo, perché non dovremmo riuscire a gestire noi due?"
"Perché ancora una volta parliamo di dolore, parliamo di sofferenza, ma non parliamo dei particolari. Se non scendiamo a patti con ciò che abbiamo fatto, andando a scovare i piccoli dettagli, non potremo mai fare passi avanti"
Fece un sospiro, senza mai distogliere lo sguardo dal mio, poi fummo costretti a separarci, il primo era servito.
"Posso assaggiare il tuo risotto?" chiese.
Acconsentii.
Gli porsi il piatto, con la forchetta sporca dei suoi paccheri al sugo di vongole ravanò, tentando di prenderne una bella porzione. Alla faccia dell'assaggio.
"Ci hai lasciato tutti i tuoi germi" mi finsi disgustata.
"Non ti sei mai lamentata dei miei germi"
Arrossii immediatamente quando capii a cosa si riferisse.
Mangiai in silenzio, facendomi trasportare dalla musica in sottofondo.
"Sarebbe bello se mettessero qualcuno che suona live"
Cercavo di fare conversazione con la prima cosa che mi era venuta in mente, odiavo l'imbarazzo che stavo iniziando a percepire.
"Potresti proporti"
Arrossii ancora più violentemente.
"Lo sai che non faccio più questo tipo di cose"
Non mi esibivo, non volevo condividere la mia arte con nessuno all'infuori dei miei allievi. Avevo smesso di espormi dopo la nostra separazione, avrebbero capito chi ero e mi avrebbero giudicata. Gli avrei dato modo di parlare di me e trarre conclusioni affrettate prima che posassi le mani sul pianoforte, e credevo non ci fosse niente di più umiliante per un artista.
Il mostrarmi come una donna di spettacolo mi permetteva di estraniarmi dalla mia vita, e dal legame indissolubile con il nome della mia famiglia, che sentivo non appartenermi affatto.
Sarebbe stato avvilente, nel caso in cui fosse successo anche con l'uomo a cui avevo deciso di relazionarmi, nonostante me ne fossi poi separata poco dopo.
"Peccato, eri così felice quando andavamo insieme a scegliere gli abiti per le serate. Mi è sempre dispiaciuto non poter vedere le tue performance"
Glielo avevo impedito, non volevo distrazioni emotive di alcun tipo. Soltanto io e le melodie.
Per quanto riguardava la felicità invece, mi rendeva tale il condividere le esperienze con lui, di qualsiasi natura esse fossero.
"Una l'hai vista però"
Il locale di periferia, gli addobbi bianchi e neri, il pavimento freddo della toilette.
"E mi è bastata per innamorarmi di te"
M'imbarazzai, per l'ennesima volta.
Che parola abnorme mi sembrava "amore" dopo quello che avevamo vissuto, la reputavo troppo riduttiva per noi due, e troppo grande per chiunque era e sarebbe venuto dopo di lui.
"Non ci eravamo fermati a mangiare qui quella volta, vero?" chiese.
"No, avevamo preso una piadina dalle parti del centro"
"Ti andrebbe di andarci dopo? In centro, intendo"
Tentennai. Paulino era con Oriana, che a quanto pareva sapeva fossimo insieme, ma non mi sentivo sicura.
"Si farà tardi, il bambino sarà stanco"
"Uhm.. in realtà gli ho promesso che avrebbe dormito da noi, con me"
"Gli hai promesso cosa?" alzai la voce, si girarono tutti.
"Scusa, era contentissimo e ho dato per scontato che tu fossi d'accordo"
Mi alzai di scatto, premendo entrambi i palmi delle mani sul tavolo.
"Andiamocene"
"C'è ancora il second.."
"Non m'interessa Paulo, andiamocene"
Mentre perplesso estrasse il cellulare dai pantaloni, mi diressi verso la cassa, con l'intenzione di pagare in fretta ed uscire da lì il prima possibile. Provò ad impedirmelo, con la sua solita scusa del "ti ho invitata io, lascia fare a me", ma il contact con il POS era già avvenuto, perciò lo allontanai con un braccio.
Non me la diede vinta, mi strappò di mano lo scontrino promettendo di restituirmi la sua parte quando avrebbe prelevato. Contanti che ovviamente non avrei mai accettato.
Il mio volto venne travolto dal vento fresco serale, e finalmente potei respirare a pieni polmoni. Guardai a desta e sinistra, per capire quale direzione percorrere, poi con un click gli sportelli della sua auto si sbloccarono proprio davanti ai miei occhi.
M'invitò a salire, non esitai.
"L'ultima volta che ci siamo ritrovati in una situazione simile mi hai trascinata fino a Milano"
"Beh, Milano da qui è un po' lontana, potremmo andare a Napoli" rise.
"Ti ricordo che c'è mio figlio a casa tua, non posso andarmene a passeggio fingendo che non esista"
"Oriana dice che va tutto bene"
"Non m'interessa di quello che dice Oriana"
Si azzittì. Mi pentii immediatamente di averlo fatto rimanere male, ma il fatto che non comprendesse l'attaccamento che, per forza di cose, sentissi nei confronti del mio bambino mi faceva imbestialire.
"Evidentemente non sai gestire questa cosa"
"Ed evidentemente tu hai dimenticato che la mia primogenita non sappia nemmeno chi io sia, che il secondo non sia mai nato e che al terzo sia stato diagnosticato un tumore prima che imparasse a camminare e a chiamarmi mamma"
Inchiodò improvvisamente al lato della strada, spense il motore e scese, lasciandomi lì da sola. Si passò le mani tra i capelli, poi sul volto, ed improvvisamente rividi la stessa disperazione di sei anni prima.
Lo raggiunsi, camminando lentamente. Era di spalle, ma non appena sentii i miei tacchi battere sul marciapiede si girò verso di me.
"Che vuol dire che il secondo non è mai nato?"
Cazzo... lo avevo pronunciato sul serio allora, non lo avevo solo pensato.
Non potevo credere di esser stata così sprovveduta da avergli rivelato l'unico segreto che avevo giurato a me stessa di portare nella tomba.
"L'ho detto io?"
"Eva non prendermi per il culo"
Mi ero data la zappa sui piedi, non c'era via d'uscita.
"P..prima di Paulino ho avuto un aborto al sesto mese di gravidanza"
Una piccola lacrima abbandonò il mio occhio destro, l'asciugai velocemente tentando di non farlo notare, ma lui mi conosceva troppo bene. Sospirò, infilo le mani in tasca, poi mi fece segno di seguirlo.
Camminammo in silenzio per circa venti minuti, che passai a controllare compulsivamente l'orologio: 00:00, 00:10, 00:13, 00:17, 00:20.
Erano le 00:22, quando alzai lo sguardo e vidi la Fontana di Trevi infondo alla via.
"Ti ricordi?" mi prese a braccetto.
"Certo che sì"
Gli accarezzai la spalla, gli tolsi un pelucchio dal cappotto, e le nostre labbra si curvarono verso l'alto, invase dai ricordi...
Continuai a guardarlo fisso negli occhi, aveva le pupille dilatate ed ero abbastanza certa le avessi anche io, poi spostai lo sguardo sulla sua giacca..
"Ops, aspetta"
Aveva dei pelucchi e m'infastidivano da morire, perciò decisi di toglierli.
Cazzo..
Accennai un sorriso posandogli una mano sul petto.
"Che c'è?" domandò.
"Sistemare il giaccone a un uomo, soprattutto ripulirlo da queste cosine qui che si creano, era considerato un gesto estremamente intimo. Pensa che la principessa Margaret, sorella della regina Elisabetta, venne criticata tantissimo quando lo fece a quello che poi divenne suo marito. Era come fare sesso per loro, non vedevano differenze"
"Stai dicendo che adesso ci dobbiamo sposare?" mi fece ridere.
Che cretino.
"Alla fine ci siamo sposati davvero" dissi.
"Eh si, ci siamo sposati, e abbiamo anche divorziato"
La voce gli tremava, io lo tenevo stretto. Mi abbracciò, lo strinsi ancora più forte, piangemmo. Era ancora troppo doloroso.
Improvvisamente le gambe gli cedettero, si aggrappò a me, mi sentii responsabile.
"Sediamoci sul bordo, sta' tranquillo"
Restò posato su di me ancora per un po', ci vollero diversi minuti prima che potesse calmarsi, poi si sollevò e si asciugò le guance.
"Siamo di nuovo qui, incredibile, non ci avrei scommesso un peso"
Sorrisi, sia perché avevo pensato milioni di volte alla monetina gettata in quella fontana anni addietro, sia perché considerai strano, e divertente, come avesse modificato il "non ci avrei scommesso una lira" in "non ci avrei scommesso un peso", moneta argentina.
"Quando è successo?" chiese.
"Che cosa?"
"L'aborto, se ti va di parlarne"
Feci un respiro profondo, non mi andava, ma glielo dovevo.
"In clinica, mentre mi disintossicavo. Non so come sia potuto accadere, il mio corpo era saturo, probabilmente non riusciva a sostentare anche un'altra creatura"
Aggrottò la fronte, era sempre bello vederglielo fare, mi faceva sentire a casa, al sicuro.
"Dopo quanto hai avuto Paulino?"
"Io e il padre lo abbiamo concepito circa due anni dopo"
Sapevo ci stesse ragionando, e che a breve avrebbe capito tutto. Mi domandai se fosse opportuno rivelarglielo prima che ci arrivasse da solo, se in tal modo sarebbe stato un peso meno pesante da sopportare, ma non feci in tempo a prendere una decisione.
"Mi hai detto di esser stata lì nove mesi dopo l'overdose, se i conti non m'ingannano.."
Fissò il vuoto per un tempo indefinito, io non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo, che tenevo puntato sulle sue ginocchia.
"Ev-Eva, t-ti prego. Il bambino era mio?"
Mi si appannò la vista, serrai le palpebre, tirai sù col naso.
"Era una bambina" sussurrai. Lui comprese.
Lo sentii sbattersi una mano contro la fronte, e scoppiò definitivamente, si lasciò andare in singhiozzi sconquassanti, dalla sua bocca uscivano versi di lamento.
"Scusami, non te l'ho detto perché non volevo ti sentissi così"
Mi guardò, aveva gli occhi arrossati, e scuri, molto scuri.
"Mi hai nascosto di essere incinta, ti rendi conto? Credi che ti avrei lasciato se lo avessi saputo? Che quel giorno me ne sarei andato comunque? Ma infondo era quello il tuo obbiettivo, no? Allontanarmi per sempre dalla tua vita di merda. Alla fine il deficiente resto io, che sono qui comunque, dopo tutto quello che mi hai fatto"
"Sei ingiusto Paulo"
Afferrò con forza il mio polso.
"Io sarei ingiusto? Mi hai guardato negli occhi e mi hai spiegato di non volere figli, dopo avermi giurato amore eterno"
"P-Pau, mi fai male"
"Invece era in corso una gravidanza, non hai avuto le palle di dirlo a tuo marito, tuo marito cazzo! Mi chiedo se l'interruzione non sia stata provocata da te stessa, perché era l'ultima cosa che ti restava di me, e dovevi sbarazzartene"
"Stai stringendo troppo, lasciami andare, fa male"
"E poi? Hai avuto un figlio da uno stronzo, e lo hai tenuto. Chiediti se non è la fine che meriti"
Mollò di scatto la presa, notai il livido che iniziava a comparire, senza pensarci gli tirai uno schiaffo in pieno volto.
"Non ti permettere mai più. Hai capito? Mai più" urlai.
Iniziai a camminare veloce, mi seguì.
"Eva! Joder! Eva, fermati!"
Di fatto non avevo un buon motivo per fermarmi, ma lo feci.
"Sparisci dalla mia vita Paulo, e da quella di mio figlio"
"Nena, parliamone"
"Di cosa dovremmo parlare? Oltre che un maleducato, sei ancora quel ventunenne che non ascolta ragioni. Cazzo, ti rendi conto di aver fatto questo? E se non ti fossi fermato?"
Gli mostrai i segni che mi aveva lasciato, impallidì.
"Mi sono fermato, non volevo farti del male. Perdonami, davvero non volevo essere violento. Prova a capirmi, ho appena scoperto di aver perso un figlio!" spalancò le braccia.
"Era anche figlia mia, la portavo in grembo io, sono io quella che ha dovuto spingere per farla nascere anche se sapeva fosse già morta. Ho dovuto firmare il certificato di morte, ho dovuto scegliere dove seppellirla, senza dimenticare che due mesi prima avevo tentato il suicidio, ed ero chiusa in un posto in cui non mi consentivano di prendere psico-farmaci, antidepressivi compresi. Ci ho messo anni per metabolizzare, e restare incinta di Paulino ha sconvolto di nuovo tutto, poi anche lui si è ammalato e..."
Mi abbracciò per zittirmi, accarezzai le sue spalle possenti e provai a dimenticare quello che era successo poco prima. Non potevo giustificare il suo atteggiamento, ma al contempo non potevo biasimarlo. Ero stata una pessima compagna, e mi stavo rivelando altrettanto pessima come amica. I segreti ci stavano uccidendo, per questo insistevo sullo scavare a fondo nei nostri sentimenti, nella nostra verità.
Si scusò ripetutamente per non aver tenuto in considerazione il mio punto di vista e il mio dolore, il mio cuore lo perdonò, il mio cervello decise di proteggersi, dandogli il beneficio del dubbio.
"Giurami che da oggi in poi scopriremo i nostri scheletri nell'armadio, non voglio che questo succeda ancora"
"Promesso"
Posizionò la testa contro la mia, le punte dei nostri nasi si sfiorarono.
"Avremmo avuto una bimba"
"Sì, Paulo"
"Se la gravidanza fosse arrivata a termine, me lo avresti detto?"
Niente segreti, perciò doveva conoscere il resto della storia.
"Ho scoperto di essere in attesa il pomeriggio del giorno in cui ci siamo lasciati, la sera stessa ho avuto il primo incontro con la terapeuta, ci eravamo promesse che non appena sarei stata meglio ti avrei ricontattato, e se tu fossi stato d'accordo avremmo potuto ricominciare proprio dalla piccola. Il percorso per me stimato in clinica era di tre mesi, poi ho vissuto l'ennesima perdita e le cose si sono complicate. A quel punto ho preferito lasciarti fuori, avevo visto ti fossi rifatto una vita, c'era Oriana al tuo fianco ed eri contento"
Non volevo farlo passare come un sacrificio necessario, nonostante per me si fosse trattato di quello, della sua felicità a discapito della mia.
"No, no amore mio, non avresti dovuto" strinse le mie guance tra i palmi delle sue mani.
Tremai, mi aveva chiamata...
"Non avresti dovuto affatto, se soltanto avessi ricevuto anche solo un tuo messaggio, avrei abbandonato tutto, senza pensarci due volte"
"Ma adesso sei qui, e non possiamo tornare indietro" ci tenni a ricordargli, perché mi sembrò che la nostra conversazione stesse perdendo il filo logico.
"Lo sai che non riesco a starti lontano, ti ho voluta a Roma con me, ti ho desiderata in questa città come nella mia vita avevo soltanto desiderato di vederti all'altare, con un vestito bianco"
"Ed io sono corsa da te, perché voglio stare al tuo fianco sempre, come lo vuole Paulino"
E poi mi resi conto che dovevo porgergli la domanda per cui avevo realmente percorso tutti quei chilometri senza il minimo dubbio.
"La nostra opportunità è sfumata, ma non è troppo tardi. Ecco, sono mesi che voglio chiederti una cosa, ma non ne trovo il coraggio"
"Prometto d'impegnarmi per non giudicarti, Nena"
Allora smisi di tergiversare, e trovai il coraggio che a lungo mi era mancato: "mi piacerebbe che fossi la figura maschile assente nella vita di mio figlio. Mi preoccupa la mia situazione, sono una misera insegnante di pianoforte, non vado fiera dei miei trascorsi e ho paura che si ispiri ad un modello sbagliato. Se ti andasse, sarebbe bello che crescesse con l'aiuto di entrambi"
Annuì, annuì e basta. Poi mi guardò fisso negli occhi e sorrise.
"Ci sarò, non perché pensi che tu non possa farcela da sola, ma perché sono io ad aver bisogno di voi, del vostro amore. Siete diventati la mia famiglia"
E fu così che tra tutte le cose che ci eravamo detti, la serata mi sembrava quasi interminabile. L'immensità dei sentimenti e delle emozioni che provavo mi teneva attiva, lasciava che l'adrenalina fluisse per il mio corpo, ma era davvero tardi.
"Non voglio rovinare il bel momento, ma è l'una passata. Hai promesso a Pau che dormirete insieme, ma di questo passò dormirà soltanto con Kaia e Bowen" ridacchiai.
Mi diede ragione, poi contornò i miei fianchi e appiccicò le sue labbra sul mio zigomo destro. Lo fece per un milione di volte, e per un altro milione avrei voluto continuasse, senza smettere mai.

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora