L'imperfezione è bellezza

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05 febbraio 2016

Se non ci fossimo sbrigati il sole sarebbe scomparso del tutto, e avremmo perso l'opportunità di ammirare il tramonto sullo sfondo del fiume.
"Dai Paulo, corri!" lo richiamai.
Era lento, brutto segno per uno che di chilometri ne percorreva a centinaia ogni giorno per lavoro.
Potevo capirlo, era a pezzi. La stagione era nel clou del suo svolgimento, e diventava sempre più impegnativo gestire la combinazione di gare italiane ed europee.
Quando tornava a casa era stanco morto, ma non si lamentava mai, non con me perlomeno.
"Lo sai che se faccio uno scatto ti fotto, Eva. Non vuoi essere sconfitta durante il tuo compleanno"
Il mio compleanno, sì, quel giovedì compivo ventuno anni. Odiavo quel giorno, era il mio meno preferito dell'anno. Avevo sempre creduto di non aver nulla da festeggiare, insomma, se i miei genitori non avessero bucato un preservativo scaduto non avrei dovuto soffrire così tanto, semplicemente non sarei esistita.
"Non dirlo nemmeno per scherzo, la mia vita sarebbe scura se non ci fossi tu a colorarla" aveva detto quando ne avevamo parlato.
Era davvero dura per me, e per la maggior parte degli anni non avevo avuto nessuno con cui commemorare quel preservativo deteriorato.
"Okay, allora ti organizzo una festa" aveva aggiunto.
"Non voglio nessuna festa, le odio"
"Voglio che sia importante per te d'ora in avanti"
"Se ci sei tu con me lo è, è importante. Non vorrei trascorrerlo in altro modo se non passeggiando insieme lungo il Po"
E mi aveva accontentato, portandomi lì nonostante fosse esausto, sia mentalmente che fisicamente.
Ci tenemmo per mano, aveva l'abitudine di allungare il braccio dietro di sé per recuperarmi quando rallentavo, muovendo le dita alla ricerca delle mie da stringere. Le afferravo prontamente, sentendomi così maledettamente grata di poter condividere quei momenti con lui.
Chiacchierammo del più e del meno, fu così detossinante che non ebbi alcun attacco di panico quel pomeriggio, ed era qualcosa che non mi era mai successo prima: più di ventiquattrore senza palpitazioni ed angoscia.
"Che ne dici se ci sediamo?" propose.
M'implorò con lo sguardo, allora indicai una panchina poco più avanti, guidandolo in quella direzione.
Si sedette, fingendo che andasse tutto bene.
"Possiamo tornare a casa, vedo che non te la senti di continuare, non è un problema"
"No, Nena. Voglio vederti felice per il maggior numero di ore possibili, e so che adesso lo sei, quindi restiamo"

9 gennaio 2023

Da quando Oriana mi aveva confidato quello che Paulo faceva nel suo tempo libero, non riuscivo a smettere di pensare a quel pomeriggio di sette anni prima, in cui avevamo osservato il calar del sole per la prima volta sulla riva del fiume.
Erano passati anni, ma tendeva ancora la mano quando restavo indietro, seppur avessimo camminato davvero poco insieme ultimamente, e in particolare non da soli.
Se avessi continuato anch'io quella tradizione probabilmente ci saremmo incontrati prima, invece trascorrevo il mio compleanno barricata in casa, con Anna che veniva a farmi compagnia a cena ma puntualmente mandavo via prima delle 22.
Quante volte avrei voluto ringraziarla per quello che aveva fatto per me, continuavo a ripetermi, un po' come con Dybala, che un giorno avrei trovato il modo di ripagarla per tutto, ma infondo sapevo che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Lei sapeva quanto le fossi grata, non aveva bisogno di ulteriori dimostrazioni, eppure continuavo a sentire quell'impellente bisogno di farglielo presente sempre.
Da quando vivevo a Roma era diventato difficile frequentarci, nessuna delle due aveva mai trovato il tempo di prendere un treno e raggiungere l'altra, e quel giorno in cui io ero a Torino lei si trovava a Vienna per lavoro.
Girava le orchestre di tutto il mondo, era ospite di numerosi artisti che le chiedevano di far da sottofondo ai loro meravigliosi strumenti. Ero così fiera di lei.
Quando venne invitata dall'orchestra sinfonica di Budapest, propose un brano a quattro mani, convinta che accettassi di partecipare con lei. Ma io non suonavo più per gli altri, all'infuori dei miei alunni e di mio figlio. Non avevo accettato di farlo nemmeno ai concerti di fine anno del vecchio liceo dove insegnavo, tantomeno agli open day.
Ero da sola quella mattina, il lunedì era il mio giorno libero ed il piccolo era appena rientrato all'asilo dopo due settimane di vacanza che lo avevano devastato. Tra giochi con lo zio e notti insonni, non era riuscito a riposarsi un minuto. Ero preoccupata, perché lo stava gestendo fin troppo bene per essere un bambino.
Dopo averlo accompagnato mi fermai in un bar per prendere un caffè, e magari una buona brioche. Mi stranii quando mi fecero pagare infilando le banconote in una macchinetta automatica, che gestiva in autonomia i pagamenti. Non ero abituata a quel tipo di tecnologie.
Non feci in tempo a sedermi, per potermi finalmente godere una colazione come si deve, che il telefono squillò in borsa. M'impegnai per non imprecare quando frugando non lo trovai, e dovetti mettermi a scavare mentre l'odioso motivetto dell'iPhone risuonava per tutto l'abitacolo. Avrei potuto riprodurlo all'istante sul pianoforte, lo conoscevo a memoria.
"Pronto?"
"Eva, ho urgente bisogno di te"
"Che cazzo, anche alle otto del mattino?"
Ero stanca di esser cercata per la minima stupidaggine ed esser messa in secondo piano quando si trattava di condividere emozioni importanti.
"Ti prego" bisbigliò.
Sbuffai.
"Ho il tempo di mangiare la brioche alla crema che ho davanti agli occhi?"
"Non hai capito, devi correre. È grave questa volta"
"Quanto grave?"
"Joder! Sei proprio insistente! Ti mando la posizione, sbrigati" riattaccò.
Io insistente? Io? Davvero?
Il caffè macchiato mi scivolò velocemente lungo la gola, quasi bruciandola. Riposi invece il cibo che avevo ordinato in un sacchetto, sperando di poterlo consumare al più presto.
Mi misi al volante con apprensione, e Google Maps mi condusse in periferia, una zona che di certo lui non avrebbe mai frequentato, schizzinoso com'era.
Proseguii lentamente, sperando di vederlo comparire sulla soglia di qualche porta, ma con immenso stupore notai in un angolo la sua figura, appoggiata contro un bidone dell'immondizia, con i vestiti stropicciati e gli occhi gonfi a contornare il suo viso stravolto.
Sostai nel bel mezzo della strada, e terrorizzata da quello che gli potesse esser accaduto scesi dall'auto, senza pensarci due volte.
"Paulo, che cosa è successo?" mi chinai su di lui.
"Per favore, portami a casa" 
Lo aiutai a sollevarsi, non sembrava gli avessero fatto del male fisico, era soltanto psicologicamente devastato.
"Chiamo Or.."
"No, per favore no. Andiamo in villa, ti spiego tutto lì, lei non c'è"
Mi ammutolii, sapevo fosse via per lavoro, e che non sarebbe tornata in Italia prima di qualche settimana. Volevo telefonarle per farli parlare, credevo potesse aiutarlo a sentirsi meglio, ma non potevo obbligarlo se non ne aveva voglia.
C'impiegammo quaranta minuti per arrivare da lui, era un orario cruciale per i trasporti, le strade erano affollate.
Non ci rivolgemmo la parola, attaccai lo stereo per trasmettergli normalità, sperando si tranquillizzasse, ma continuò a tenere la testa bassa per tutto il tragitto. 
Mi accomodai sul divano con nonchalance, come facevo sempre, ed immediatamente gli suggerii di farsi una doccia, ricevendo come risposta un cenno di assenso.
"Se non torno entro dieci minuti vieni a cercarmi" disse.
"Perché dovrei farlo?"
"Perché non hai idea di quello che mi sta frullando in testa"
Seppur pietrificata dalle sue parole, ebbi la prontezza di alzarmi e afferrargli l'avambraccio, per impedirgli di fare qualsiasi cosa avesse in mente.
"Che hai, Paulo?" gli domandai ancora.
I suoi occhi si velarono di lacrime.
"Mi sento come ti sentivi tu la sera in cui hanno cercato di stuprarti, ed io e Nahuel ti abbiamo aiutata"
Come poteva sentirsi così? Che cosa cazzo gli avevano fatto per distruggerlo in quel modo?
Provai a mantenere la calma, ero consapevole di non essere abbastanza stabile da affrontare quella situazione. Mi stava praticamente dicendo che avrebbe voluto tentare il suicidio, e non potevo permetterlo, dovevo esser lucida.
"Ti va se la doccia andiamo a farla insieme?" proposi.
Non avevo un cambio, mi ero lavata poco più di due ore prima, ma non vedevo altre soluzioni all'infuori dell'offrirgli tutta me stessa. Solo mettendomi completamente a nudo non si sarebbe vergognato di sé, e mi avrebbe raccontato quel che aveva appena vissuto.
Annuì, e gliene fui grata.
S'immobilizzò davanti al soffione, ancora vestito. Era di spalle, perciò mi strinsi a lui, posando la guancia tra le sue scapole. Le mie mani raggiunsero i suoi pettorali, e le sue accarezzarono delicate le mie.
Quando alzai l'orlo del suo maglione sentii il suo respiro cambiare, aveva iniziato a piangere, e potei dedurre che il trauma che stava vivendo gli era stato inflitto tramite il suo corpo.
Lo spogliai, mi spogliai, e lo accompagnai sotto il getto d'acqua tiepida, spostando all'indietro i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
Lo insaponai, rispettosa come lo era stato lui con me nei momenti di sofferenza, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Volevo si sentisse protetto, accolto, e non violato.
Capii dalle sue espressioni che mi stesse ringraziando, e cercai ancora una volta di farlo sentire a suo agio, nonostante vedessi che stesse iniziando a sciogliersi.
Mi toccò il braccio, lo accarezzò, e iniziò a parlare:
"Sono andato in discoteca ieri sera, ho fatto una stupida ricerca sul web per capire quali fossero quelle frequentate dai vip, ma non appena ho messo piede in quel posto ho capito di aver fallito. Insomma, me ne sarei dovuto render conto quando il taxi mi ha portato in una zona isolata, almeno sono stato abbastanza intelligente da non andarci con la mia auto. Il primo istinto è stato quello di scappare, ma mentre ero lì mi son detto: 'Andiamo, perché non provare a divertirsi?', allora sono restato. Procedeva tutto per il verso giusto, avevo bevuto due Fernet e Coca Cola, che ho scoperto non esser così famoso qui, ti ricordi quanto ne bevevamo a Torino?"
Certo che me ne ricordavo, glielo avevo fatto scoprire io, quando ancora fingeva di essere astemio e non assaggiava mai niente di alcolico per tenere la forma. Poi aveva scoperto che con qualche drink non si sarebbe rovinata, allora si era finalmente lasciato un po' andare.
Annuii.
"È stato a quel punto che una ragazza ha iniziato a girarmi intorno, all'inizio le sorridevo, come stavo facendo con tutte, e nessuno mi aveva ancora riconosciuto. Non voglio essere discriminante, ma di solito è più facile che siano gli uomini ad urlare cose come: 'Ma quello è Paulo Dybala!'. Probabilmente l'errore è stato proprio quello, non avrei dovuto dar retta né a lei né alle altre, ma sai, per un attimo mi son sentito un ventinovenne normale. Abbiamo iniziato a ballare, anzi, a strusciarci, si dice così? Sì, si dice così. Ad ogni modo, mi stava stuzzicando, il suo seno era incollato al mio petto, la sua pancia contro la mia, ero eccitato"
Le mie dita, che in quel momento gli stavano sfiorando il torace, si ritrassero istintivamente. Non volli farglielo pesare, difatti quando vidi che perse un respiro le riappoggiai, seppur quello che mi stava raccontando avesse iniziato a turbarmi.
"Non so cosa mi è preso Eva, te lo giuro. Aveva le mani sul mio pene, e le mie erano finite sul suo culo senza che me ne accorgessi. Se avesse continuato a toccarmi sarei venuto lì, in pista, ma ha avvicinato le labbra tinte al mio orecchio, e mi ha chiesto se volessi andare a casa con lei"
Rabbrividii.
"E lo hai fatto?"
Silenzio, deglutì.
"Sì, l'ho fatto"
Il mio istinto avrebbe voluto agire in modo folle, facendo cose folli, ma trovai il coraggio di annientarmi per il suo bene, fingendo che la persona davanti a me non fosse l'uomo con cui ero andata a letto per la prima volta dopo il parto, l'uomo che non avevo mai smesso di amare, e che avrei sempre scelto, anteponendolo persino a me stessa.
"L'ho fatto, ed è stato l'errore più grande della mia vita. Mi ha portato in uno squallido appartamento, mi ha fatto stendere sul letto, e mi ha scopato senza preservativo. Ero inerme, spaventato a morte, ma allo stesso tempo non riuscivo a tirarmi indietro. Le sono venuto dentro, pensavo di aver fatto in tempo a praticare il coito interrotto, ma non c'è stato verso. Siamo andati immediatamente in farmacia a comprare la pillola del giorno dopo, l'ha presa davanti ai miei occhi, ma ho paura che non funzioni, e che qualcosa vada storto. Per di più, quando la farmacista le ha domandato l'età, lei ha risposto diciannove. Ti rendi conto? Diciannove! Pensavo avesse la nostra età, cazzo! Ma cosa danno da mangiare alle ragazzine di oggi?"
Si ammutolì, e prima di dire qualsiasi cosa mi fermai qualche istante a riflettere.
Lavai i capelli con il suo shampoo, fregandomene del fatto che avrei passato i seguenti tre giorni con il suo profumo addosso, poi lo abbracciai, e lasciai che piangesse ancora.
"Ascoltami, adesso devi fare una cosa importantissima: il test per le malattie sessualmente trasmissibili. Fallo di nascosto, in modo che nessuno sappia nulla, ti aiuto io. Non ne verrà a conoscenza nemmeno la società, ma è importante andare in clinica il prima possibile"
"Joder! Ho pensato tutto il tempo ad una possibile gravidanza e non mi sono preoccupato di questo. Quanto sono stupido! Stupido! Stupido!"
Avrei voluto rispondergli "non fa niente", ma ero troppo provata.
"Eva, voglio che tu sappia che non è contato niente. E che non voglio figli con una qualunque, non voglio figli nemmeno con Oriana, li voglio solo con te. Il mio secondo genito deve esser tuo, solo tuo, come la prima, che non ci siamo affatto potuti godere perché la vita è stata una bastarda con noi. E poi ho Paulino, lui è il mio dolce bambino, l'unico che mi rende fiero di essere un educatore, ma soprattutto mi rende felice"
Gli strinsi il volto tra i palmi, sussurrai: "Lo so, e lo avremo in futuro, ne sono certa"
"Ora basta colpevolizzarti, essere imperfetti è normale ed è sinonimo di bellezza, per di più una scopata con una ragazzina non è un motivo sufficiente per togliersi la vita, chiaro? Nessun motivo lo è, c'è sempre una soluzione a tutto, me l'hai insegnato tu. E ti prego, se dovessi pensarlo ancora, ricordati come ti sei sentito quando mi hai vista stesa sul parquet con la schiuma alla bocca, non puoi farmi questo" aggiunsi.
Si scusò, numerose volte. Mi sentii in colpa, perché avevo provato uno 0,5% di quello che lo avevo costretto a provare, e sentivo un male indescrivibile. Non riuscii ad immaginare la vastità di dolore che era toccata a lui, e probabilmente, se fossi stata fortunata, non ci sarei riuscita mai.
In sala squillò il telefono di Paulo, era Alvaro, mi chiese di rispondere al suo posto mentre finiva di asciugarsi.
"Alvarito, soy Eva"
"Eva" singhiozzò.
Feci mente locale: Alice era arrivata al termine, la bambina sarebbe nata a giorni.
O mio Dio..
"Alvaro, è successo qualcosa alle ragazze?"
Pianse, pianse a dirotto.
Mi fiondai in bagno.
"Qualcosa non va con il parto" urlai, Pau si spaventò, misi il vivavoce.
"Hermano" lo richiamò.
"Hermano, que pasa?"
"Bella sta bene, è nata due ore fa, ma Ali.. Ali sta male, la stanno operando, continuano a far entrare il sangue, io non so nemmeno cosa abbia"
Era disperato, io e Dybala ci stringevamo forte, saremmo voluti esser lì. Alvaro ed Alice erano le nostre persone speciali, da sempre, e ci erano stati vicini anche quando tra di noi eravamo lontani.
"I gemelli ed Edo?"
"Sono con i nonni"
Udimmo una voce, probabilmente di un medico.
"Vi devo lasciare" disse, e ci salutammo con un "tienici aggiornati".
Quella mattina fu un disastro, la passammo tra le lacrime: di rabbia per l'avvenimento della notte precedete, di gioia alla visione delle prime immagini di Bella Morata Campello, e di nervosismo per la situazione di Alice.
Emorragia con diciassette trasfusioni. Dopo un lungo intervento era stata trasportata in terapia intensiva, non lasciavano entrare nessuno e le sue condizioni erano critiche.
Cercammo di consolare Alv, seppur fossi atea pregai con lui, affinché potessero presto svegliarsi da quell'incubo, e godersi la loro splendida bambina.
Saremmo stati i suoi padrini, io e Paulo, e nessuno dei due, suo padre compreso, avrebbe voluto vederla crescere senza la sua mamma.
Lei era piena di forza e di energia, ce l'avrebbe fatta, e un giorno ne avremmo riso insieme, perché noi eravamo così.
Ne ero certa.
Le ore non scorsero affatto veloci, prima che potessimo ricevere notizie di speranza ne passarono ben trentasei. 
Trentasei ore che io e il piccolo trascorremmo a casa di zio, che aveva bisogno di essere consolato e sentirsi amato. Discutemmo spesso della sua nottata da dimenticare, gli stetti vicino seppur lo stomaco mi si stringesse ogni volta che sentivo nominare quella ragazza. Era importante che non lo giudicassi, era mio compito date le innumerevoli volte che lui avrebbe potuto farlo con me ma aveva scelto di astenersi.
Continuavo a ripetermi che una scappatella, in un momento di debolezza, non significasse niente. Le contendenti continuavamo ad essere io e Oriana, la quale, secondo le direttive di Paulo, non sarebbe mai venuta a conoscenza dell'accaduto.
Trentasei ore dopo la shoccante telefonata ne arrivò un'altra, sempre da Madrid, per informarci che Alice era fuori pericolo, e prenotare il nostro posto su un aereo privato per andare a trovarli, almeno per una sera, come i vecchi tempi. 

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora