Sotto la pioggia

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"Mamma, sbrigati! Mi sto bagnando tutto"
Roma e il parcheggio, un'impresa più che ardua. Quando andavo a prendere Paulino a scuola, a meno che non ci si avviasse un'ora prima, era praticamente impossibile lasciare l'auto nei paraggi.
Quel pomeriggio diluviava, ero arrivata in ritardo perché la madre di un alunno mi aveva trattenuta, e avevo lasciato la macchina in divieto di sosta con le quattro frecce, a tre incroci dal cancello d'ingresso.
Non avevo l'ombrello, ovviamente. Ogni volta mi ripromettevo che avrei dovuto tenerne uno nel cruscotto, per qualsiasi evenienza, ma me ne dimenticavo appena un attimo dopo.
Quando riuscimmo ad infilarci nell'abitacolo eravamo ormai zuppi, a causa del vento il cappuccio ci era volato via dalla testa, e l'acqua aveva trapassato i vestiti.
Non ebbi il tempo di respirare e godermi il lieve tepore, che notai un pezzo di carta sventolare aggrappato al tergicristallo destro. Capì immediatamente di cosa si trattasse.
"Oh no, cazzo!" imprecai, sbattendo una mano contro il volante.
Dovetti aggrapparmi a tutte le mie forze ed affrontare di nuovo la tempesta, per poterlo recuperare.
"Cos'è, mamma?"
"Una multa"
Il tono afflitto come se mi avessero appena strappato via la dignità. In realtà ero terrorizzata, perché stavo guidando la Jeep di Paulo, ed il provvedimento sarebbe stato a suo nome.
"Papà mi ucciderà" esclamai.
Erano solo quarantadue euro, non mi avrebbe nemmeno rimproverata, anzi ci avrebbe riso sù prendendomi in giro, ma mi sentivo comunque in difetto.
"Non glielo diciamo, va bene Paulino? Andrò a pagarla e lui non saprà mai nulla, intesi?"
Annuì distrattamente.
"Amore, intesi?"
Rimarcai il concetto, perché sapevo non riuscisse a mantenere i segreti, soprattutto con noi due.
"Tranquilla mamma" poi fece una croce con gl'indici davanti alla bocca, suggellando la sua promessa.
Chiamammo Paulo con il comando vocale, per avvisarlo che stavamo arrivando. Aveva promesso a Paulino un giro a Trigoria, per lo meno della parte interna visto il meteo della giornata, e avrebbe fatto in modo di far avverare il suo desiderio: una foto con El Shaarawy.
Non faceva che nominare Stephan dalla mattina alla sera, seguendo tutte le partite della Roma pian piano stava scoprendo nuovi giocatori, ed il numero novantadue era la sua ossessione del momento.
"Ciao Campione! Com'è andata oggi? Hai fatto il bravo?"
Non appena varcata la soglia del centro sportivo, lo strinse forte e lo tirò sù prendendolo in braccio, senza curarsi del fatto che fosse una pila d'acqua.
"Bene, ma sto morendo di freddo" esclamò il piccolo.
"Fammi dare un bacio alla mamma, e poi andiamo subito a cambiarci"
Si sporse verso di me, mi spostò i capelli bagnati dal volto, accarezzandolo, e posò le sue labbra sulle mie. Respirai il suo profumo, probabilmente aveva appena fatto la doccia, l'odore del bagnoschiuma era forte e marcato. I miei polpastrelli incontrarono i capelli alla base della sua nuca, più lunghi del solito dato che non aveva avuto tempo di andare dal parrucchiere.
Poi dovemmo allontanarci e quel momento che mi era sembrato magico terminò, prima del previsto.
Gli occhi mi brillarono, lui se ne accorse e sorrise.
"Che c'è?" domandò.
Scossi il capo, e anche gli angoli della mia bocca si elevarono.
La nostra prima tappa fu lo spogliatoio, era la prima volta anche per me lì, in precedenza lo avevamo bypassato.
Mentre lui e mio figlio chiacchieravano ed indossavano i vestiti puliti, diedi un'occhiata in giro, e spontaneamente m'incamminai tra i posti, fino a trovare il suo. Sfiorai il suo nome scolpito sul legno, poi sentii le su mani posarsi sui bordi del mio maglione, fino a tirarlo sù.
"Metti la felpa asciutta, rischi di ammalarti" sussurrò al mio orecchio, era una chiara provocazione.
Mi voltai in cerca della piccola figura, era di spalle perso nell'esplorazione della maglietta da allenamento che gli aveva fatto mettere.
"Non sai quante volte penso a quanto mi piacerebbe fare l'amore qui, con te" disse ancora flebilmente.
Infilai le braccia nelle maniche, lui accompagnò il tessuto di pile sulle mie spalle e ne baciò una.
"Ma non possiamo" replicai.
Baciò la parte posteriore del mio collo, poi sospirò, e strinse con delicatezza un lembo di pelle tra i denti.
Qualcosa si smosse dentro di me, e me ne accorsi perché mi sentii mancare la terra da sotto i piedi. Non accadeva da molto tempo.
"Paulo" ansimai, poi le porte si aprirono, allora tirai immediatamente sù la zip coprendomi il petto.
"Nic" lo richiamò il numero ventuno.
"Scusate, non volevo disturbare" alzò e mani il ragazzo, imbarazzato.
Vidi la chioma bionda del mio piccolo muoversi, e il suo capo inclinarsi all'indietro, per poter guardare in alto.
"Tu sei Zalewski!" esclamò, stroppiando la pronuncia del suo cognome.
Il giovane sorrise incontrando i suoi occhietti teneri, poi rivolse lo sguardo al suo compagno di squadra, e non ci fu bisogno di chiedere, perché intuimmo la domanda.
"È mio figlio" risposi.
"Lei invece è mia moglie" aggiunse lui.
Annuì, poi s'inginocchiò verso il nano, ancora seduto per terra con la schiena poggiata contro il porta bevande.
"Nicola Zalewski, in persona" fece il saluto militare, e risero entrambi.
"Il mio papà dice che sei uno tra i più forti con cui gioca"
La sua reazione a quella frase fu la tipica reazione di un ragazzo ventunenne: arrossì e gli mancarono le parole. Si schiarì la voce, ombrata dall'emozione, e lo abbracciò.
Quell'abbraccio era indirizzato a Paulo, in realtà, un abbraccio pieno di gratitudine.
"Me lo spiegate meglio davanti ad un tè?" c'invitò, riferendosi a noi due ed il pargolo.
"Se Stephan gli fa da babysitter, molto volentieri"
"Stephan?"
"Già, è il suo idolo"
Gli lanciò un'occhiataccia.
"Quindi non sono io il tuo idolo?"
"Ho solo detto che giochi bene" rispose il biondino, scrollando le spalle con nonchalance.
Scoppiai a ridere, insolente per un bambino di quattro anni, più cresceva più mi somigliava.
"Non guardare me, ha preso da lei" disse Dybala, lasciando al giovane una pacca sulla spalla.
Ci sedemmo davvero ad un tavolo con davanti del tè nero inglese, certamente più adatto alla colazione che alla merenda del primo pomeriggio.
Trovammo il numero novantadue, e accettò di prendere Paulino sotto la sua ala protettiva, in modo che potessi avere qualche minuto di riposo. Erano seduti un po' più in là, e giocavano in compagnia di qualche membro dello staff. Gli brillavano gli occhi, ed era incredibile vedere quello scricciolo così felice.

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora