Punta alla luna

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Eva

Non pensai quasi mai a quel bacio, passai la maggior parte del mio tempo libero a fare gioco musica con Paulino, sembrava piacergli.
Sperai lo tenesse occupato anche nelle settimane successive, quando zio sarebbe partito per il ritiro, e successivamente per il Qatar. Non glielo avevamo ancora detto, nonostante fossimo agli sgoccioli, probabilmente perché non sapevamo come farlo. 
Anche Oriana sarebbe andata con lui, avrebbe colto l'occasione per passare un po' di tempo in Argentina con la sua famiglia, e se le cose si fossero messe bene lo avrebbe raggiunto nella penisola Araba insieme ad Alicia e i nipoti ribelli.
Mi chiedevo spesso come se la passassero, ma nonostante ciò non avevo mai avuto il coraggio di chiederlo a Paulo. Ci avevo messo molto a guadagnarmi la loro fiducia, in particolare quella di Dolores, e dopo averli delusi avevano chiaramente deciso di troncare il nostro rapporto.
Con loro nonna invece, le cose erano state diverse. 
I primi tempi, durante il ricovero, ricevevo delle email da un indirizzo sconosciuto. Ricordo ancora cosa recitava la primissima che arrivò nella mia casella di posta:
"Eva,
probablemente ti starai chiedendo chi io sia. Lo sappiamo entrambe chi c'è dall'altra parte dello schermo, ma vorrei che ci sentissimo solo così, in anonimo.
Ho scritto per sapere come stai, pensi che no importa a nessuno ma a me sì. Giuro di non dire niente a nessuno, spero tu risponda, sono in pensiero"
Quattro righe che mi avevano fatto commuovere.
Come feci a capire che si trattasse di lei? Non era brava ad usare il telefono di nascosto, chiedeva sempre aiuto a chiunque quando doveva mandare un messaggio, ma se si trattava del suo primo computer, quello che le avevano regalato i suoi figli nel 2012, era la migliore di tutti.
Quando era in Italia voleva che scrivessi da parte sua della mail alle sue amiche di Laguna Larga, perché quello era l'unico modo che conoscevano per chiacchierare quando non potevano incontrarsi e bere un mate insieme.
Smisi di riceverle dopo solo tre settimane, cercai di non farmelo pesare. Forse lo stato d'animo del suo amato Paulo peggiorava e aveva bisogno di stargli vicino, forse si sentiva in colpa nei suoi confronti, o forse se n'era pentita, ma non volli mai credere all'ultima opzione.
Le volevo ancora un gran bene, ma non la cercai mai più, ne m'importò sapere da suo figlio come stesse, una volta riconciliatoci. 
Dietro alle mie azioni si celava la voglia di tenere la nostra nuova "relazione" il più distante possibile da chiunque, in modo da ferire, nel caso fosse andata di nuovo male, meno persone rispetto alla prima volta. 
Quel bacio lo avrebbe fatto? Avrebbe ferito qualcuno? Continuavo a domandarmelo, ma non ero in grado di rispondermi. 
Ori sicuramente ci sarebbe rimasta male, ma probabilmente avrebbe capito le motivazioni di tale gesto. Non le mie, quelle del suo uomo, che ancora soffriva troppo.
Non avevamo fatto nulla di male infondo, stavamo soltanto cercando di rimarginare definitivamente le cicatrici del nostro cuore.
Lo avrebbe capito, la sua ragazza, perché lo amava più di quanto amasse la sua dignità.
Mi piaceva guardarli insieme, per quanto potesse sembrare incredibile agli occhi di tutti, mi piaceva che fossero così felici, che avessero finalmente ciò che meritavano.
Il profilo tiktok di lei era pieno di video dove facevano cose buffe, si prendevano in giro e si divertivano. Mio figlio ne andava pazzo, chiedeva sempre di guardarli prima di dormire la sera.
Diseducativo mostrargli dei video caricati su una stupida applicazione, anziché leggere un buon libro. Ne ero consapevole, ma se trovavamo il tempo facevamo anche quello.
Certo, era difficile far combaciare i nostri gusti: io il tipo da Orgoglio e Pregiudizio e lui da Peter Pan.
Cime tempestose, invece, non ero riuscita più a leggerlo dopo il giorno del nostro matrimonio. Avevo perso il mio Heathcliff, non vedevo il perché dovermene ricordare continuamente, come se già non lo facessi abbastanza.
Mentre lucidavo le piastrelle del bagno, il mio smartphone trillò. Posai lo straccio sul termosifone e sfilai il guanto giallo in gomma dalla mano destra, per poterlo afferrare.
Da Paulo ad Eva, 05:54:35 p.m.
"Ho ricevuto la comunicazione"
Da Paulo ad Eva, 05:55:00 p.m.
"Partiamo questa notte all'una"

Sospirai. 
Speravo di avere più tempo, prima di salutarlo con la consapevolezza di dover passare più di un mese senza di lui.
Era strano, seppur ci fossimo trasferiti a Roma davvero da poco, come avessimo trovato sempre il tempo per stare insieme almeno qualche ora al giorno. Non era mai successo che slittassimo a quello successivo e per Paulino, che era estremamente abitudinario, rappresentava un'elevata importanza.
Da Paulo ad Eva, 05:58:43 p.m.
"Passiamo noi a salutarvi tra un po', se per te va bene"

Non andava bene, avevo bisogno di più tempo per comunicarlo al piccolo.
Risposi che non c'era problema, che gli aspettavamo, ma gli dissi anche che avrebbe dovuto parlargli lui, che io non potevo farlo.
Le due spunte diventarono blu dopo pochi secondi, da parte sua però ci fu solo silenzio, e dunque vissi le ore successive a torturarmi in attesa di quello che sarebbe capitato.
Quel che non mi aspettavo era che mi chiamasse, chiedendomi di raggiungerlo sul pianerottolo, in modo da accordarci sulla versione che gli avremmo dato.
Eravamo tutti inesperti, nessuno dei tre sapeva come comportarsi con una creatura di appena quattro anni, con più traumi alle spalle di qualsiasi suo coetaneo.
"Tu sai che avremmo dovuto affrontare tutto questo con uno psicologo, vero?" gli feci notare.
"Riuscirà a farcela, vedrai"
"No Paulo, tu non capisci. Non eri a casa con noi qualche mese fa, eri qui, e non hai visto cosa è stato per lui star lontano da te. Capisci che dare tutto a un bambino non è come farlo con un adulto? Lo capisci? Sono stata l'unica da cui ha ricevuto affetto, trovare te per lui è stato come trovare l'America. Quindi te lo chiedo per favore, trova il modo di convincerlo che tornerai e non sparirai come l'ultima volta"
Odiai dovergli fare la predica, soprattutto perché non eravamo da soli, ma dovetti per il bene di Paulino.
"Lo saluto e poi torno in macchina" ci avvisò Oriana.
Le sembrò giusto, si sentì di troppo, e potevo comprenderla. Non era una situazione facile da gestire, la scelta da parte di Paulo di starci accanto ricadeva soprattutto sulla loro famiglia, più che sulla nostra.
Allora fu lei ad entrare per prima, per quanto mi riguardava restai ferma davanti alla porta, finché non arrivò lui ad avvolgermi un braccio intorno alle spalle per confortarmi.
Avrei voluto dirgli che non era il caso, ma mi resi conto che lo faceva sempre, anche prima di quello che ci era successo a Torino, dunque nessuno lo avrebbe trovato sospetto.
Entrò per secondo, e lo salutò con un "ciao campione!" dei suoi.
Quando con lui eravamo rimasti solo io e Dybala,  ci sedemmo sul divano, facendolo accomodare al centro tra di noi. Volevamo farlo sentire accolto, al sicuro.
"Piccolo, io e la mamma avremmo una cosa da dirti"
Annuì, facendoci intendere che era pronto ad ascoltarci.
"Lo sai che zio Paulo è spesso via per giocare, no? Lo guardiamo sempre in tv" iniziai.
"Sì, gioca ad un gioco belliiiissimo" 
Spalancò le braccia per dimostrare l'immensità della bellezza di quello sport.
"Adesso campione, dovrò andare a farlo con tante persone provenienti da tutto il mondo, lo sai? Vestirò una maglietta azzurra, e se io e i miei amici vinciamo ci prendiamo una coppa grande quanto il televisore" 
Sorrisi, perché il modo in cui glielo stava spiegando era così tenero..
"Per fare questo però, dovremo volare lontano, in un posto dove fa caldo, perché altrimenti se restassimo qui con questo freddo prenderemmo l'influenza"
"No zio, l'influenza no! Altrimenti dovrai andare in ospedale, ed è un brutto posto, io lo so" rispose, con la sua vocina flebile.
Incrociai gli occhi verdi di Paulo, che improvvisamente cambiò espressione. Sono certa che quelle parole furono per lui un nodo alla gola, dato dalla dimostrazione schiacciante di quanto gli avevo detto poco prima in corridoio. 
Era un bambino sensibile, attento ai dolori e ai dispiaceri delle persone a cui voleva bene. A quattro anni aveva già imparato che era la compassione a muovere il mondo, ed ero fiera di lui, perché sarebbe stato un adulto migliore di me.
Si schiarì la voce: "Quindi niño, da domani andrò via da Roma per un po', però potrai vedermi in tv tutte le volte che vuoi, sarò quasi sempre lì"
"Io e la mamma possiamo venire anche questa volta?" 
Ci guardò entrambi, con la speranza che gli avremmo detto di sì.
Mi portai indice e pollice alla base del naso, tentai di sbuffare in silenzio, per non fargli avvertire la mia frustrazione. Dybala allungò il braccio, e posò il suo palmo sul dorso della mia mano, era un modo per chiedermi cosa fare.
Scossi il capo, per fargli intendere di non dargli false speranze.
"Purtroppo non può esserci nessuno, ordini del mister. E poi tu ometto devi andare a scuola, e la mamma deve lavorare. Ma ti prometto che quando torno vi porto entrambi al parco divertimenti di Cinecittà" 
Non avrebbe dovuto promettergli nulla, ma quello era il suo modo di fare quando aveva qualcosa di cui scusarsi, e non era mio compito insegnargli che non andava sempre bene.
"Per quanto tempo starà via?"
Mio figlio iniziò a rivolgersi a me, come se avesse perso le speranze di contrattare con lui.
"Un mese e mezzo, se vinceranno forse due"
Brutalmente onesta, forse troppo.
"Allora sarà il periodo di Natale" ci fece notare.
La finale era in programma per il 18 dicembre, se le cose avessero funzionato e il destino sarebbe stato dalla loro parte, sicuramente lo avremmo avuto nuovamente a Roma uno o due giorni prima del venticinque.
"Vorrà dire che avremo due cose da festeggiare" intervenne il numero ventuno.
"Spero tanto che Babbo Natale vi porti questo regalo, zio" e si fiondò su di lui per abbracciarlo forte.
Fu una delle scene più belle a cui avessi mai assistito. Pensai a tutti i terribili momenti che avevo dovuto attraversare, ma mi dissi che se il risultato era stato quello, ne era decisamente valsa la pena.
Nel frattempo si era fatto tardi, il piccolo aveva già cenato, e dopo la giornata impegnativa aveva bisogno di riposare. Si addormentò sulle gambe di Paulo, e quando feci per afferrarlo e portarlo in camera da letto mi stoppò.
"Faccio io" disse.
Sollevò i suoi quindici chili come fosse niente, quando per me invece iniziavano a risultare impegnativi. Lo adagiò tra le lenzuola, gli rimboccò le coperte e mi chiese se potesse stare un po' lì con lui.
Aspettai qualche minuto sulla soglia, ad osservarlo mentre si stendeva al suo fianco e lo riempiva di baci, poi mi spostai in cucina a preparare una tisana.
Come avrei fatto senza di lui? Lo sentivo parte integrante della mia esistenza, era tutto ciò che avevo, e forse perderlo terrorizzava più me che mio figlio.
Ci avrei dovuto lavorare in terapia, non volevo sfociasse in ossessione. Avrei fatto di tutto affinché le cose funzionassero.
Quando tornò in soggiorno vidi quanto fosse emotivamente esausto.
"Avrei voluto restare con lui tutta la notte, tutte le notti"
Si sedette accanto a me e si sfregò gli occhi, come se si fosse appena svegliato. Probabilmente stava iniziando a prendere sonno, ma si era imposto di alzarsi prima che fosse troppo tardi.
"C'è Oriana giù che ti aspetta" gli ricordai.
"Ha preso un Uber, me l'ha scritto poco fa"
Non sapevo ci fosse Uber a Roma, ero rimasta a quando il fenomeno era praticamente diffuso solo in America.
"Mi dispiace lasciarvi qui da soli, vi siete trasferiti per me, e ora vi abbandono di nuovo"
Mi avvicinai a lui, porgendoli il tazzone con la camomilla.
"È la più grande occasione della tua carriera Paulo, non curarti di noi, staremo bene. Lui ha fatto amicizia, lo porterò al parco, oppure inviterò qualcuno qui. Sta' tranquillo, ce la caveremo, ma tu devi spaccare"
"Non sono certo di fare la differenza, sicuramente giocherò molto poco rispetto a quanto vorrei"
"Non è importante, sarà il mondiale a fare la differenza nella tua vita. Tornerai essendo una persona diversa, magari arrabbiato, ma sarai cresciuto tantissimo. Non è stato così anche in Russia? Non c'ero ma so che hai giocato poco, eppure quell'esperienza ha segnato un punto importante nella tua carriera. Ricordati che sei più forte di quanto credi"
Mi afferrò il polso ed improvvisamente mi ritrovai tra le sue braccia.
"Grazie Eva, grazie per avermi permesso di voler bene a un esserino così piccolo, che mi dimostra tutto l'amore del mondo. Grazie per starmi facendo finalmente vivere di nuovo" sussurrò.
Ero io a doverlo ringraziare, e lo avrei fatto, non appena sarebbe stato il momento giusto.
Lo accompagnai alla porta, ci abbracciammo ancora.
"Ricordati a cosa devi puntare" gli dissi.
"Alla luna"
Sorrise, mi lasciò un bacio sulla fronte, sorrisi anch'io.
La nostra luna.
"Vedi di riportare a casa quella coppa" gli urlai mentre si allontanava.
"Solo per voi Nena, solo per voi"




Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora