Do you get déjà-vu?

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Trascorrevamo la maggior parte delle nostre serate in cucina a chiacchierare, ed era uno dei pochi momenti che riuscivamo a dedicare a noi, perché tutti gli altri dopo cena si sparpagliavano per la casa. Quel giorno però, quando calò il sole e restammo soli, si respirò un'aria diversa dal solito.
Mio figlio aveva già iniziato il suo sonno ristoratore, i suoi nipoti erano usciti, ed io e lui ci trovammo in estremo imbarazzo, come una coppietta alle prime armi che non sa cosa fare per rompere il ghiaccio.
Lo lasciai rannicchiato sul divano con l'iPad sulle gambe, nel frattempo andai a detergere il viso ed applicai i cerotti per rimuovere i punti neri. Mi aggrappai al lavandino, e guardandomi allo specchio mi resi conto di avere timore nel tornare da lui. 
Non ero in grado di stare in silenzio, non con Paulo, perciò avrei fatto di tutto per trovare un argomento di conversazione, beccandomi un'occhiataccia da parte sua, perché quando non aveva voglia di conversare preferiva restare indisturbato.
Pensai di inviargli un messaggio per fargli sapere che sarei andata a dormire. Per quanto mi sembrasse scortese, usavamo spesso whatsapp per comunicare, nonostante sarebbe bastato scendere le scale.
Mi precedette, lo schermo s'illuminò ed in basso apparve una notifica che recitava: "porti giù un cerottino anche per me?" 
Non gli avevo detto cosa stessi andando a fare, ma lo aveva intuito perché quello era il giorno della settimana che utilizzavo per il restauro. Non avevamo perso la nostra telepatia.
Lo accontentai, mi feci trovare da lui con il patch naso tra indice e pollice in meno di due minuti. Sorrise distrattamente, poi puntò nuovamente gli occhi sul video che stava guardando.
Cercai di salire sulle sue gambe per applicarglielo, ma il modo in cui mi guardò, con espressione dura, mi fece desistere. Tornai al mio posto, mi raggomitolai al suo fianco spiando quello che stava facendo: il filmato era quello degli highlights della gara contro il Salisburgo, in particolare continuava a rivedere quelli del secondo tempo, a cui non aveva partecipato.
Dopo il primo tempo, aveva chiesto a Mourinho di non forzarlo a rientrare perché non ce l'avrebbe fatta, aveva male e faceva difficoltà ad allungare la gamba nella corsa. Sovraccarico al flessore sinistro, avevano decretato poi i medici in seguito agli accertamenti.
La squadra aveva perso, e lui non si dava pace.
"Non dovresti ossessionarti" dissi.
Provai ad accarezzargli il braccio ma mi scansò.
"Tu non sai cosa significa avere quasi 30 anni ed infortunarsi ogni due per te, piovono continuamente critiche su questo"
"È vero, non lo so, ma so cosa significa starti accanto quando ti succede, ed è brutto sapere che soffri per questo"
Inaspettatamente sbottò, sentendosi offeso dalle mie parole: "Non sei costretta a starmi accanto, Eva. Scusami se i miei problemi sono un peso"
Fece uno scatto di lato, pentendosi immediatamente di aver agito istintivamente. Abbandonò la testa sullo schienale e strinse i denti per il dolore. Per il suo bene, mi andai a sedere lontano da lì, cosicché non facesse più stupidaggini del genere. 
Non voleva il contatto con il mio corpo in quel momento, e dovevo rispettarlo.
"Sono passati solo un paio di giorni, dovresti stare più attento" lo ammonii, poi aggiunsi: "ti fa tanto male?"
"Tu che dici?" rispose frustrato.
Alzai le mani in segno di resa, non potevo aiutarlo se non me lo permetteva.
"Va bene, allora ti lascio un po' da solo" alzai di poco l'angolo sinistro della bocca, poi feci per andare via ma m'interruppe: "No, scusami. Ti prego resta".
Batté con la mano due colpi sul divano, dov'ero poco prima e dove tornai immediatamente quando me ne diede l'occasione. 
Al contrario di altre volte, non lasciai che i miei sentimenti passassero inosservati: "Devo dirtelo Pau, io non ce la faccio così"
"Così come?"
"Con te che mi allontani continuamente"
"Io non ti allontanano"
Sospirai.
"Va bene"
"Non dirmi che va bene, non puoi scagliare la pietra e poi nascondere la mano"
Il primo istinto che ebbi fu di piangere, ma bruscamente mi misi in piedi ed iniziai a gesticolare.
"Come cazzo dovrei comportarmi allora? Dimmelo tu, che sai sempre tutto"
"Non fare questi giochetti con me, ne sono pieno fino ai capelli"
"Effettivamente stiamo giocando, sì. Io sono un burattino e tu ti diverti a muovere i fottuti fili"
A quel punto si alzò anche lui, con la dovuta cautela necessaria per non peggiorare la sua condizione.
Alzò la voce ed urlò: "Stai insinuando che ti manipolo?"
"No, sto insinuando che la nostra relazione è diventata un assecondare i tuoi bisogni"
"Sai che c'è? Vaffanculo, Eva"
Afferrò le chiavi dal posa oggetti sul tavolo vicino alla porta, e senza nemmeno indossare prima il giubbotto la aprì.
"Dove vai?" chiesi.
Il tono della mia voce era estremamente basso, spaventato ed insicuro.
Non aggiunse nulla, uscì chiudendola con violenza, e mi lasciò lì inerme. Non ebbi la forza di muovermi, e non mi diede nemmeno il tempo di sbattere le palpebre che lo vidi rientrare.
Si fiondò sulle mie labbra, ma lo respinsi.
"No, non questa volta"
Non mi ascoltò.
"Ti prego, non voglio farlo" lo supplicai.
I suoi occhi si riempirono di rancore, per un attimo non lo riconobbi.
"Non vuoi farlo?" si pulì le labbra con il dorso della mano, schifato.
"No, non voglio" ripetei.
"Quale cazzo è il tuo problema? Pensi che non mi sia accorto di niente?"
Sbiancai.
"Rispondimi"
"Cosa dovrei risponderti?"
"Che da quando abbiamo ripreso a fare sesso hai finto tutte le volte, devo sentirlo dire da te"
"Vuoi farmi del male" lo ammonii.
"Tu ne stai facendo a me"
"Ce ne stiamo facendo a vicenda, Paulo"
A quel punto le sue guance erano bagnate.
"Nessuno ha detto che sarebbe stato facile, lo sapevi che avevo bisogno di tempo, e non l'hai rispettato"
"Così fai sembrare che abbia usato il tuo corpo, ma non lo avrei mai fatto Eva, mai"
"Scusami ma non la penso così, dal momento che te ne sei accorto, come hai appena ammesso, e non ti sei fermato" replicai.
Lo lasciai interdetto, sapevamo entrambi che nessuno dei due avrebbe aggiunto altro, allora gli diedi le spalle e mi diressi in camera da mio figlio. Passai la nottata accanto a lui, stranamente la mia mente mi concesse di riposare, e dormii fino al mattino successivo.
Quando mi svegliai, sentii Dolores e Lautaro schiamazzare nelle loro stanze. Ringraziai il cielo che non avessero dovuto assistere alla nostra discussione.
In cucina trovai un sacchetto con all'interno una brioche al pistacchio ed un biglietto che recitava: "Avevo promesso al mister che avrei assistito all'allenamento oggi, se vuoi raggiungermi più tardi pranziamo insieme. Mi piacerebbe parlare di quello che è successo e chiarire. Ti amo, P."
La sua calligrafia nero su bianco, l'ultima volta che aveva usato una penna per scrivermi qualcosa era stato il giorno in cui ci eravamo lasciati. Si firmava ancora con "P.", il che m'intenerii moltissimo.
Una volta terminate le mie ore scolastiche salii in auto, e dopo un veloce ritocco del trucco andai da lui, senza pensarci due volte. Prima di approdare al centro sportivo, dove sapevo avrei dovuto chiamarlo per ottenere il lascia passare delle guardie, accostai in una stradina e ripassai ancora una volta la cipria sul mento e sulla fronte. Ci tenevo ad essere perfetta.
Provavo delle emozioni contrastanti: avevo le farfalle nello stomaco come fosse il nostro primo appuntamento, ma allo stesso tempo ero imbarazzata come dopo ogni litigata.
Mi rendevo conto di aver sbagliato, e me ne vergognavo molto, ma ero certa che anche lui si sentisse così, il che un po' mi tranquillizzava.
Come avevo previsto, l'agente della sicurezza mi chiese di contattare il numero ventuno affinché confermasse la mia identità, e quando ciò avvenne mi consegnò un pass da utilizzare le volte successive.
Parcheggiai accanto alla sua macchina, che riconobbi immediatamente, e dopo esser scesa alzai il capo verso l'entrata, dove lo trovai ad aspettarmi.
Non mi venne incontro, fui io a raggiungerlo, con il suono dei tacchi che rimbombò sull'asfalto.
"Ciao" sussurrammo entrambi, contemporaneamente.
Ridacchiammo, poi con un gesto della mano m'invitò a seguirlo. 
Fu così gentile da mostrarmi l'edificio per intero, ed il tour si concluse in mensa, dove i suoi compagni mangiavano beati: alcuni con mogli e figli, altri seduti in gruppo tra di loro.
"Ovviamente per te ho preso la pasta" esordì, arrivando al tavolo con due bei piatti.
"Ovviamente sì"
Nel suo c'era una bistecca con contorno di patate al forno.
"So cosa stai pensando"
"Che cosa?"
Non rispose, afferrò la forchetta e trasferì nel recipiente davanti a me alcuni spicchi gialli dei suoi.
Fu un bel gesto, uno di quelli che fanno innamorare le persone. Sapeva quanto mi piacessero, e sapeva che di soppiatto gliene avrei rubata almeno una. Mi conosceva bene, e aveva deciso di concedermi parte di qualcosa che anche a lui piaceva tanto, quando avrebbe potuto semplicemente riempirmi un altro piatto e tenere quelle per sé.
Ma non lo aveva fatto, perché quello era il suo modo di comunicarmi che era disposto a condividere con me qualsiasi cosa.
"Credo che delle scuse non siano sufficienti" disse.
"È sufficiente quello che hai appena fatto"
Sorrise flebilmente.
"Ho bisogno che tu capisca che è il mio aver finto non abbia nulla a che vedere con te o con la tua performance, sono io che sto facendo fatica" misi in chiaro.
"È anche colpa mia, non sto facendo nulla per metterti a tuo agio, al contrario ti riempio di pressione"
"Ci sono sicuramente più componenti che in qualche modo devo affrontare"
E successivamente ne parlammo con una naturalezza che mi sconvolse, perché non eravamo mai stati così trasparenti l'una con l'altro.
"Cos'è che non ti piace quando lo facciamo?" chiese.
"Non lo so, il trasporto non mi manca. Mi piaci da impazzire, e sono attratta da te come lo ero otto anni fa, ma quando sono lì non sento niente"
"Quando ti masturbi lo senti?"
"Sì, lo sento"
"E se provassi a masturbarti io? Niente penetrazione"
"Non lo so, Paulo"
"Che ne pensi se anziché affrontarlo da soli, e fare danni come al solito, ci rivolgessimo ad uno specialista?" domandò poi.
"Un consulente sessuale?"
"Sì, esatto"
"Sarebbe bello" risposi spontaneamente.
Ci avevo pensato a lungo, ma ogni volta che ero in procinto di parlargliene poi mi convincevo che non era una così buona idea farlo.
"Non te ne ho accennato perché mi era parso di capire che non volessi discutere di queste questioni" ammisi.
"Hai ragione, non volevo, ma poi ho capito che è necessario farlo. Scusami se ho continuato a comportarmi come un bambino, ti avevo promesso che non sarebbe più successo"
"È da più di un anno che non faccio che ripeterti di non fare promesse, di nessun genere, perché sappiamo benissimo come va a finire"
Annuì, e disse che ce l'avrebbe messa tutta per non farlo mai più.
Mi sentii in dovere di scusarmi anch'io per quello che era successo, e il brutto momento passò, lasciandoci addosso la consapevolezza che ci saremmo fatti aiutare, e che saremmo riusciti ad andare avanti.
"Ho avuto paura stessimo ricadendo in quel loop" dissi.
"Quello della finzione del nostro ultimo periodo insieme" aggiunse.
Aveva colto al volo il parallelismo.
"Non posso permettere che accada ancora, per questo ieri sera sono esplosa, se fossi stata zitta l'apatia ci avrebbe invaso di nuovo"
"Non succederà, siamo adulti e sappiamo gestirlo" cercò di convincersi.
"Ci stiamo provando"
Con quella frase lo riportai alla realtà, s'incupì leggermente, ma quando gli afferrai la mano riprese il suo bellissimo colore, e gli occhi tornarono a brillargli.
"Mi hai visto piangere accasciata in mezzo al bagno Paulo, abbiamo superato cose ben peggiori di qualche problema a letto"
"Siamo forti"
"Siamo forti" ripetei per marcare ancor di più il concetto.
Consumammo il pranzo in tranquillità, e prima di portarmi sugli spalti ad osservare i suoi compagni, volle presentarmeli. In realtà alcuni di loro irruppero al nostro tavolo prima che potesse prendere iniziativa.
"È lei?" domandò un ragazzo sulla trentina, capelli scuri e barba.
"È lei" confermò il numero ventuno.
Lui non lo sapeva ma lo conoscevo, non ero proprio una sprovveduta, avevo seguito la Juventus negli anni, e anche la Nazionale all'Europeo.
"Piacere, sono Leonardo"
"Spinazzola, certo. Piacere mio, Eva" aggiunsi prima che potesse dire altro.
Ci stringemmo la mano, sul suo volto un sorriso cordiale accompagnato da un'espressione stupita.
"Paulo mi ha parlato tanto di te"
Mi aspettavo quella frase, mi fece ritornare alla mente il giorno in cui mi portò allo Stadium per la prima volta, a vedere Juventus-Inter. 
"Lui invece è Nemanja, il Serbo"
"Sempre molto gentile" 
Gli diede uno schiaffato sulla nuca, e lui rispose con uno sul polpaccio. Erano molto amici, e il loro rapporto veniva spesso messo in evidenza sulle pagine social della società, che pubblicava molti dei loro momenti divertenti.
"Vado in spogliatoio a prenderti una felpa, torno subito" mi avvertii.
Faceva freddo lì fuori, ed il mio maglioncino non sarebbe bastato a tenermi caldo al di sotto del piumino. 
Mentre lo attendevo, Mourinho mi si avvicinò per scambiare quattro chiacchiere.
"Sei la ragazza di Dybala?"
"Proprio io, la famosa" scherzai, indicandomi da capo a piede.
"Ti ama molto il ragazzo, ha sempre il tuo nome in bocca"
"Mi dispiace che si deconcentri per colpa mia" 
Guardò alle mie spalle, e quando si accorse che il suo attaccante ci stava per raggiungere scappò via, ma non prima di aver aggiunto: "Dovresti ringraziare il cielo che io non sia Antonio Conte, altrimenti avresti dei bei problemi tesoro".
Non lo capii, e non ebbi nemmeno il tempo di rifletterci.
"Simpatico vero?" sentii in lontananza.
Mi voltai, Paulo camminava verso di me.
"Molto"
Mi coprii meglio con quello che aveva recuperato, poi ci accomodammo tra i posti riservati ai tifosi durante gli allenamenti a porte aperte.
"Oggi ho capito perché hai scelto questo posto, e perché ogni giorno vieni a lavoro sorridendo"
"Perché?" chiese.
"È accogliente, fa sentire a casa, anche loro" feci cenno con la testa ad i suoi compagni, che correvano da una parte all'altra del campo.
"Sì, hai ragione. All'inizio è stata dura, ma da quando mi sono ambientato essere qui mi fa stare bene"
"Quando sono entrata, e ho visto i ragazzini con i genitori all'esterno, ho capito anche il motivo per cui il giorno della tua presentazione a Palazzo Fendi fossi così emozionato. A vederlo da dietro uno schermo metteva i brividi, non posso immaginare cosa abbia significato per te viverlo"
Io e Paulino c'eravamo, nonostante la discussione che avevamo avuto e il fatto che non comunicassimo più tra di noi. Seppur non fisicamente, eravamo lì a sostenerlo.
Avevo messo da parte i rancori e gli avevo scritto, facendogli avere un audio da mio figlio affinché non sembrasse così spudorato il contatto che stavo cercando.
Quel "te lo meriti" mi era uscito dal cuore, sapendo ciò che aveva vissuto sentivo di non potermi esimere dal dirglielo. Mi erano scappate le lacrime insieme a lui, ma non ne sarebbe mai venuto a conoscenza, mi sembrava troppo. Come non avrebbe saputo che mi ero accorta stesse singhiozzando, nel messaggio vocale che ci aveva inviato una volta terminato l'evento.
Aveva cercato di nasconderlo, fallendo miseramente. 
"Toglimi una curiosità"
Annuì, invitandomi a parlare.
"Perché José mi ha detto che dovrei ritenermi fortunata in quanto lui non è Conte?"
Rise così tanto che dovette portarsi una mano allo stomaco che gli doleva.
"Conte dà dei consigli particolari ai suoi calciatori, me l'hanno raccontato i ragazzi quando sono arrivato alla Juve"
"Tipo?"
"Prima delle partite è meglio non affaticarsi, quindi se si vuole fare sesso sarebbe meglio essere passivi, quindi con la donna sopra"
A quel punto non potei che seguirlo nella risata.
"Noi non avremmo problemi" aggiunse.
"Sei fortunato soltanto perché è la mia posizione preferita" risposi.
E ci baciammo, spontaneamente come non facevamo da un po'.
Il pomeriggio trascorse veloce, ma prima di tornare a casa mi obbligò a fare una passeggiata con lui, perché quella giornata non poteva concludersi senza che avessimo passato del tempo da soli, circondati soltanto da facce sconosciute.











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