Muchachos

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Paulo

30 novembre 2022

Una sola gara ci separava dalla chiusura della fase a gironi, dopo di che le migliori avrebbero avuto accesso alla parte più importante della competizione, dove si sarebbero giocate tutto in un unico match.
Gli ottavi di finale sembravano così scontati per una Nazionale come quella Argentina, ma non lo erano affatto. Si trattava di un obbiettivo da non sottovalutare, prima regola imposta dal mister per rigare dritto e non concedersi distrazioni.
L'ostacolo era sempre dietro l'angolo, pronto a sbucare quando meno ce se lo aspettava. 
Ne sapevo qualcosa io di ostacoli, dati gli innumerevoli che avevo dovuto affrontare in quegli ultimi anni, sia lavorativamente che affettivamente parlando.
Ne erano successe di cose da quando avevo lasciato temporaneamente Roma per seguire la squadra, avevo vissuto numerosi bei momenti, non miei però, prettamente degli altri.
Era stato strano incontrare tanti dei miei compagni che avevano firmato per la Juve quell'anno, ed era stato strano non sentirmi partecipe dei loro discorsi riguardanti lo spogliatoio e tutta la gente a cui mi ero affezionato negli ultimi sette lunghi anni.
Sì, era stato davvero strano, ma quelle stesse persone a cui volevo bene probabilmente non badavano più a me, com'era d'altronde giusto che fosse. Avevano preso una scelta, quella di eliminarmi dal piano, e non potevo far altro che rispettarla.
In allenamento mi sentivo fiacco, davanti al mostro sacro che era Messi, e cercavo di consolarmi ricordando che insomma, ero pur sempre un giocatore di serie A con dei record e delle vittorie alle spalle, non un pivello qualunque. Ma con Leo era così, faceva sempre lo stesso effetto, nonostante fossero anni che condividevo la camiseta albiceleste con lui.
Per fortuna c'era il mio buon amico De Paul a tenermi compagnia, non ci conoscevamo da moltissimo, ma le due estati precedenti eravamo stati in vacanza insieme, e si era stretto un legame speciale.
Infondo il tempo era da sempre stato per me relativo, mi ero sposato con una ragazza che conoscevo da solo sei mesi, che però era diventata il centro della mia vita.
Rodrigo era una bella persona, che sapeva esser di compagnia nei momenti in cui ne avevo bisogno, e distante quando richiedevo la mia privacy. Era l'unico di cui mi fidassi lì in mezzo, tolto Joaquin Correa, che a causa di un infortunio non era potuto partire con noi.
Avevo avuto il piacere di trascorrere anche con lui un paio di giorni su uno yacht, il giugno scorso, grazie ad Oriana e alla sua Chiara che avevano fatto amicizia tramite i social.
Fu la fine, quando i tifosi ci videro insieme. Pensavano fosse un segnale, un messaggio in codice per comunicare al mondo intero che avrei firmato con l'Inter, ma non era affatto così. Si trattava semplicemente di due ragazzi che volevano divertirsi insieme, e per un attimo non pensare al lavoro, ma la gente a quello non pensava. La gente era pronta a giudicare, a priori, disinteressandosi del fatto che dei personaggi pubblici potessero vivere delle esperienza senza necessariamente condividerle con il mondo intero.
Un piccolo gesto doveva voler dire qualcosa, no? Doveva significare che Dybala avrebbe vestito la maglia nerazzurra, non era così?
No, assolutamente no.
Erano stati giorni duri, senza la mia Eva e il mio Paulino. Gli avevo sentiti poco, non avevo molto tempo per loro, e il fuso orario aveva dato la mazzata finale. 
Avevo festeggiato il mio ventinovesimo compleanno per l'ennesima volta fuori casa, capitava tutti gli anni ormai, ero sempre in quel cazzo di centro sportivo di Ezeiza, e non ricevevo alcun riconoscimento, né per il mio giorno speciale né per i sacrifici e l'impegno che ci mettevo.
Non giocavo, mai. Non ero ancora pronto, a detta di tutti. 
Ad ogni modo, per lo meno quella notte ero riuscito a parlargli più volte. Mi avevano chiamato alla mezzanotte italiana, circa le sette di sera in Argentina. Lo avevano fatto di nuovo quando a Buenos Aires l'orologio segnava le 00:00, e a Roma le 05:00 del mattino.
Paulino non aveva resistito fino a quell'ora, dormiva beato, ma aveva lasciato ad Eva un messaggio da recapitarmi, che recitava: "Zio Paulo, non smettere mai di sognare. Hai 29 anni, e secondo me sono tanti, ma sei ancora bellissimo, e non hai la barba! Vedi zio? Vuol dire che sei fortunato! Ho scritto una lettera a Babbo Natale, la mamma mi ha portato in Posta e l'ho gettata in un grande bidone rosso, ce n'erano tante altre. Gli ho chiesto di mettere sotto l'albero di casa tua e di quelle dei tuoi amici la coppa grande quanto la televisione, spero vi accontenti. Buon compleanno, zio Paulo".
"Ti ha detto questo?" le avevo chiesto.
"Testuali parole, mi sono limitata a scriverle, così come le pronunciava"
Non me ne meravigliai, era un bambino speciale. Mi rese felice.
Come tutti gli anni Gustavo, nonostante non fosse più il mio agente da un po', s'impegnava a farmi recapitare una torta con panna e fragole, negli ultimi tempi era spesso accompagnata da un biglietto da parte di Oriana. Anche quella volta fu così.
Era la donna più dolce del mondo, e amavo come si prendeva cura di me. Non avevo avuto il tempo di salutarla prima di partire, non ero riuscito nemmeno a passare dalla mia mamma, ma sapevo mi avrebbero raggiunto se fossimo approdati agli ottavi di finale.
In serata si sarebbe disputata l'ultima sfida del girone, che ci vedeva contrapposti alla Polonia. I bianco rossi ci sovrastavano di un punto, dominando la mini classifica del gruppo C, avremmo dovuto vincere per assicurarci il passaggio diretto.
Potevamo farlo, lo sapevo, dopo l'iniziale défaillance contro l'Arabia Saudita i ragazzi avevano imparato la lezione. Loro, non io, che ero seduto in panchina e strapparmi le pellicine lungo le dita.
Lottare: era la parola d'ordine. Lo dovevamo ad un popolo intero, un popolo che attendeva da anni.
Per le strade del paese s'innalzava un coro, non l'inno nazionale, tantomeno una canzone famosa. Era il coro della gente argentina, che rivendicava con orgoglio la propria Nazione. 
Sapevamo che a breve avremmo iniziato ad intonarla anche noi, all'interno degli spogliatoi, del pullman, dell'albergo.
Faceva così:
"En Argentina nací,
tierra de Diego y Lionel
de los pibes de Malvinas que jamás olvidaré.
No te lo puedo explicar,
porque no vas a entender
las finales que perdimos, cuántos años las lloré.
Pero eso se terminó porque en el Maracaná
la final con los brazucas la volvió a ganar papá.
Muchachos, ahora nos volvimos a ilusionar
quiero ganar la tercera,
quiero ser campeón mundial.
Y al Diego en el cielo lo podemos ver,
con Don Diego y con la Tota, alentándolo a Lionel"
L'Argentina era la terra di Diego e di Lionel, dei ragazzi delle isole Malvinas caduti in guerra contro l'Inghilterra. Non avremmo perso ancora una finale dopo averla conquistata, avremmo combattuto, sentendo scorrerci nelle vene il supporto dall'aldilà di Don Diego e della Tota. Avremmo portato a casa il titolo quella volta, si sentiva nell'aria, dovevamo soltanto crederci.
Avevamo spezzato la maledizione della sconfitta nel 2021, quando avevamo vinto la Copa America, ed eravamo arrivati fin lì. C'era stato chi, raggiunti i nostri stessi traguardi, non ce l'aveva fatta. La mia bella Italia non ce l'aveva fatta, avevamo battuto anche lei, eravamo la Selección più forte al mondo, non ci restava che dimostrarlo.
Pensandoci a lungo, non importava realmente chi scendesse in campo, se Lautaro, Angel oppure io. Diventava tutto irrilevante davanti allo scopo principale: non deludere il popolo, non quella volta.
Aveva ragione Eva, non ero io a dover arricchire quell'esperienza, doveva esser lei ad arricchire me, che avevo ancora così tanto da imparare, da sperimentare, da vivere.
Concentrato sull'obbiettivo, non avrei ricordato in futuro la disperazione per non essermi sentito abbastanza, ma avrei ricordato gli sguardi sorridenti della gente, che pur di guardarci correre dal terzo anello di uno stadio era disposta a dormire in delle capanne nel bel mezzo di un deserto.
Che privilegio che avevamo, noi poveri sfigati che rincorrevamo una palla. Che enorme privilegio era avere un mucchio di persone disposte a patire il caldo per noi, per uno sport, per vedere gli occhi brillare ad una Nazione intera.

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora