Saudade

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Paulo's point of view

Dopo settimane ancora non potevo credere me lo avesse detto sul serio, continuavo a rimuginare sull'accaduto, e lo tenevo soltanto per me. Se Oriana avesse saputo del disprezzo che quella donna mi aveva buttato addosso, avrebbe fatto in modo che non la rivedessi, né tantomeno sentissi, mai più.
Chi meglio di lei poteva sapere quanto era stata dura per me. Entrò nella mia vita quando ancora non avevo avuto il coraggio di andare in terapia, il dolore era insopportabile e passavo le giornate sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto.
C'incontrammo per caso, in aeroporto, mentre ero in procinto di tornare in Italia dopo il ritiro con la Selección. Eravamo gli unici due che avrebbero preso il volo per Milano in prima classe, nella settimana che precedeva quella della fashion week. Lei mi aveva riconosciuto, io purtroppo no, prima d'allora non mi ero mai realmente interessato al mondo della moda e dello spettacolo.
Con il senno di poi avevo capito che forse sarebbe stato meglio rimanere sulla stessa linea d'onda del passato. Non ero adatto alla celebrità, all'esposizione mediatica, e all'attenzione che necessariamente gli avrei dovuto riservare. Di certo non avrei mai immaginato che la fama di Oriana sarebbe accresciuta per il semplice fatto di essere la mia ragazza.
La gente ascoltava la sua musica, seguiva i suoi social, soltanto per porle domande rivolte a me, nella speranza che in qualche modo potessero attirare la mia attenzione.
Non era mai stata mia intenzione insinuare che tutto ciò che aveva costruito fosse merito mio, ma in alcune discussioni mi ero lasciato andare, talmente tanto da farglielo intendere.
Ero finalmente riuscito a comprendere perché Eva non volesse ufficializzare la nostra storia, lei non era fatta per quella vita, non dopo tutti i sacrifici che aveva dovuto compiere per uscirne.
Amava l'anonimato, che definiva "ciò di cui non potrebbe esserci di meglio, l'unica via che consente la libertà assoluta".
Mi era capitato spesso di pensarla, soprattutto durante la mia presentazione a palazzo Fendi. Lì piansi come un bambino, un bambino che si sentiva amato per davvero, e fu lì che ebbi paura, così tanta che la voglia di scappare fu costante, fino al termine della serata.
Mai come quella notte riuscii a mettermi nei panni di quella ragazza di vent'anni, abituata ad esser messa da parte, a venire abbandonata da un momento all'altro.
Paragonare l'infanzia di Eva al mio percorso nella Juventus era l'ultima delle mie intenzioni, il confronto non avrebbe in nessun modo potuto reggere, ma fu la prima volta che capii il motivo del suo tentato suicidio, e non mi sentii in potere di condannarlo.
In quegli anni ciò che mi era stato insegnato trattava prevalentemente il non sentirmi pervadere dalla colpa, e di fatto non lo feci, non lasciai che mi schiacciasse. Perché se lei aveva preso quella decisione io dovevo sentirmi in dovere d'insistere per starle accanto? Che si fottesse!
Invece no, da quel giorno iniziai a sentire il torto. L'avevo abbandonata. Dopo averla salvata contro la sua volontà, sapendo che avrebbe affrontato l'inferno, io l'avevo abbandonata.
L'avevo lasciata da sola, permettendole di sbagliare ancora, di farsi ingravidare da uno stronzo, di curare suo figlio senza nessuno accanto. Se non me ne fossi andato forse avremmo trovato una soluzione, forse Paulino sarebbe stato mio, e gli saremmo stati vicini in due.
Molto banalmente, m'incolpavo di non essermi fatto vivo nemmeno dopo qualche mese, ignorando la situazione per bene cinque anni, cosa che avrei continuato a fare se il destino non mi avesse portato in quel parco.
Se il piccoletto non si fosse sentito in forma e non fosse corso via da sua mamma, io non avrei mai potuto vederlo guardarsi intorno disorientato. Se Eva non avesse letto Béquer, non avrebbe lasciato la borsa sulla panchina, ovvero ciò che le aveva fatto perdere di vista il bambino. Teneva sempre tutto a portata di mano, aveva timore dei borseggiatori, abbandonava i suoi averi soltanto per distrazione, che quella mattina le avevano procurato "Las Rimas".
Tornando a palazzo Fendi, mi stupii ricevere un suo messaggio proprio durante la presentazione. Sapevo sarebbe stata trasmessa sui canali ufficiali, ciò che mi sorprese fu che loro avessero deciso di seguirla.
Estrassi il telefono dalla tasca per riprendere il momento, come mi era stato chiesto di fare, e proprio mentre pigiavo sul pallino rosso per iniziare a filmare, la notifica comparve dall'alto.
Da Eva, 09:22:09 p.m. :
*messaggio vocale*
Da Eva, 09:22:57 p.m. :
"Te lo meriti"
L'emozione che provavo aumentò notevolmente, per ovvi motivi. Avrei voluto fermare tutto e ascoltare quell'audio, ma dovetti aspettare di rinchiudermi in bagno, prima che mi scortassero in auto per condurmi a cena.
"Paulo, io e mamma stiamo guardando tutto, è molto bello. Ti vogliono tutti bene, ma io rimango il tuo gemello di nome preferito, vero?"
Piansi a dirotto, seduto sulla tavola del water. Non riuscivo a smettere di sorridere, pulirmi gli occhi con il dorso della mano, e singhiozzare. Ringraziai il cielo che tutti rispettarono la mia privacy, che nessuno s'intromise o mi portò fretta.
"Claro niño, sei il mio preferito tra tutti, sempre" risposi al volo, cercando di mascherare, per quanto possibile,  i miei sentimenti.
Dovetti sciacquarmi più volte il viso prima di riapparire in pubblico, era chiaro mi fossero scappate le lacrime davanti ai tifosi, ma non avevo gli occhi gonfi e il naso colante come allora.
Ripercorsi quegli eventi mentre accarezzavo Kaia, con il muso poggiato sopra le mie gambe, mentre Bowen era dall'altro lato del divano con Ori.
La tv era accesa, stavamo guardando sua mamma, Catherine, a Masterchef. La mia attenzione era altrove, e anche in quel caso mi sentii chiaramente in colpa, per star ignorando uno dei suoi momenti importanti, quando invece lei era sempre così attenta e premurosa.
Ignorai anche i messaggi dei miei nipoti, che continuavano a bombardarmi con domande del tipo: "Quando possiamo tornare in Italia?", "Stiamo cercando un appartamento a Roma, quale zona è migliore?", "Zio, perché non rispondi? Ti faremo chiamare da papà".
Dolores insisteva sul voler iniziare a frequentare una scuola di moda, Lautaro che lo aiutassi ad inserirsi in qualche squadra, e a me sembrava d'impazzire.
Potevo capire bene che a quell'età fosse stressante non aver chiaro cosa ne sarebbe stato dalla loro vita, e che non tutti fossero stati fortunati come me, ad aver iniziato a fare il lavoro dei sogni in adolescenza, ma in parte volevo capissero che non avrebbero avuto sempre le spalle coperte dallo zio.
Volevo aiutarli, ma renderli responsabili allo stesso tempo. Sarebbe stato troppo semplice fare il mio nome ed avere le porte spalancate, e sapevo che i loro genitori concordassero con me.
L'argomento era stato diverse volte oggetto di discussione con la mia ragazza, che credeva che "un piccolo aiuto non avrebbe fatto male a nessuno". Per il quieto vivere avevo iniziato a lasciar perdere, a smettere di dirle cosa accadeva in famiglia. Ad ogni modo non lo avrebbe saputo, dato che aveva deciso di non tenere alcun tipo di rapporto con i miei parenti.
Mi guardavo attorno e mi sentivo un estraneo. Non mi ero ancora abituato alla villa, dieci volte più grande di quella a Torino. Le fontane all'esterno mi intimidivano, e mi ricordavano la casa dei genitori di Eva. La piscina esterna era ancora in perfette condizioni, date le temperature avremmo potuto usarla ancora qualche settimana prima di dismetterla per l'inverno, mentre quella interna, circondata da vetrate, andava ancora sistemata.
"Sarà il nostro nido d'amore" mi aveva detto Ori, ed io me l'ero immaginata lì sul bordo, nuda, con le chiappe o il seno all'aria.
La puntata terminò, e fui costretto a complimentarmi, seppur non avessi seguito. Per redimermi la avvicinai, la baciai, e la trascinai in camera da letto.

Eva

"Paulo, la cena è pronta, vieni a tavola!"
"Non è vero, dici sempre così"
Ridacchiai tra me e me, intanto finivo di cuocere il risotto alla milanese. Per quanto mi sforzassi di essere una mamma moderna, in realtà non lo ero affatto.
Da una parte però, avevo iniziato a comprendere degli aspetti che quando si è figli si ignorano completamente, ad esempio l'esser richiamati prima che i piatti vengano serviti. La verità era che mi scocciava saperlo da solo nell'altra stanza, seppur si divertisse a giocare con le sue cose, e volevo scambiassimo due chiacchiere prima di zittirci, entrambi presi dal cibo.
Forse era stupido da parte mia pretendere di farlo con un bambino di quasi quattro anni, di cosa avremmo potuto parlare? Di disegni e acquerelli, di animali, la sua grande passione, e quando capitavano giornate fortunate, riuscivo a convincerlo ad ascoltare un po' di musica di mio gradimento, che non fossero le canzoni dei Me contro Te.
Arrivò di soppiatto, proprio mentre posavo il piatto al suo posto. Fortuna, oppure aveva imparato a calcolare i tempi? Troppo sveglio per essere la prima opzione.
"Goditelo, perché dopo ci sono i broccoli" lo punzecchiai.
"Bleah, che schifo mamma!"
Sapevo gli odiasse, ma i dottori mi avevano raccomandato una buona dose settimanale di verdure, e non potevamo andare avanti a cavolfiore e carote, che al contrario amava.
"Amore lo sai, ogni tanto ti tocca"
Il dramma sembrava esser stato superato, si gustò il riso, bevve due bicchieri d'acqua e mangiò una fetta di pane. Quando capì però che poco prima non lo avessi preso in giro, che avrebbe dovuto davvero mangiarli, iniziò a lamentarsi.
"Perché non posso avere qualcosa di diverso?"
"Perché questa settimana abbiamo già avuto tutto, tranne questi"
"Non gli voglio!"
Cercai di far finta di nulla, li sistemai come meglio potei per non farli sembrare eccessivamente brutti, e mi avvicinai con la forchetta, sperando che i capricci fossero momentanei.
"Ho detto di no!" e con un gesto violento della mano rovesciò il piatto.
Si alzò dal suo posto, spingendo violentemente indietro la sedia, e si nascose dietro al divano, quello che aveva trasformato nel suo posto sicuro.
Feci un respiro profondo, non volevo gridare, tantomeno rimproverarlo, non ero fans della coercizione. Nonostante in quel momento avessi tanto voluto urlare, preferii lasciargli il suo tempo, pulire in cucina e poi andarlo a recuperare, spiegandogli che non bisogna comportarsi così.
Finsi di non sapere dove si trovasse, lo feci ridere, e credette di esser stato scoperto proprio a causa del suo risolino.
"Che è sucesso, Paulino?" chiesi, sedendomi a terra vicino a lui.
"Mi fanno schifo i broccoli"
"Lo so, ma ti ho spiegato più volte che se proprio non ti vanno puoi dirmelo, non c'è bisogno di arrabbiarti e buttarli per terra"
"L'ho fatto, ma non ascoltavi"
Sono in attimi come quello che ci si sente un fallimento, che ci si rende conto di aver perso di vista gli obiettivi che ci si era imposti. Non lo avevo ascoltato, il suo ragionamento non faceva una piega.
Per quale motivo non lo avevo fatto? Perché i medici mi avevano detto che andavano necessariamente inseriti nell'alimentazione.
Era diventata mia abitudine vivisezionare i comportamenti, sia miei che suoi, in tal modo mi sarebbe risultato più facile capirci qualcosa, ed evitare di esser presa dal panico di non sapere come agire.
"Paulo mi faceva mangiare sempre quello che volevo" aggiunge dopo qualche minuto.
Scomposi anche quella frase: non era vero, non gli faceva mangiare sempre quello che voleva. Dybala era attento a seguire le indicazioni che io stessa gli davo, e mi notificava ogni singola variazione. Stava cercando di dirmi qualcosa di più profondo.
"Ti manca?" domandai.
"Sì, mi manca tanto" e si fiondò tra le mie braccia, accennando dei singhiozzi.
"Possiamo chiamarlo, mamma?" avrei mai potuto dissentire?
Da quando si era trasferito solevo allontanarmi durante le loro videochiamate, origliando da dietro la porta affinché potessi sentire tutto, facendo in modo che lui non mi vedesse.
Chiedeva spesso al piccolo dove fossi, che puntualmente gli diceva: "è in camera da letto", e il discorso finiva lì. Non aveva mai voluto sapere altro, rispettava la mia scelta.
Quella volta decisi di non ascoltare la loro conversazione, mi presi del tempo per me, per ragionare sul da farsi.
Il benessere di mio figlio, come sempre, era la mia priorità, e non avevo considerato che avrebbe potuto sentire così tanto la mancanza di Paulo. Ero stata egoista, gli avevo privati entrambi del bene che si volevano, del tempo che amavano passare insieme.
Non stavo punendo soltanto Dybala, come avevo pensato di fare, in quel modo stavo punendo anche Paulino. Punire.. per cosa poi? Ero convinta che si trattasse di me, che volesse ritrovarmi, quando in realtà il suo unico obiettivo era far stare meglio tutti.
Avevo preso una decisione senza considerare nulla all'infuori da me stessa, non mi ero degnata d'informarmi sulle sue intenzioni, non gli avevo chiesto se Oriana fosse d'accordo, se forse fosse stato il caso di parlarne tutti e tre insieme.
Lo avevo allontanato ancora una volta ignorando, come sei anni prima, che oramai non si trattava più soltanto della vita di Eva.

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora