Oggi è sabato, l'ultimo di una lunga serie di giorni uguali e tristi. Vado a ogni festa a cui mi invitano, per non stare sola, per bere in compagnia, per lasciare che il rumore invada le mie orecchie, per lasciare quel rumore invada il vuoto che ho dentro. Ho rivisto Iack, molte volte. Gli ho dato una chiave della dependance, in modo che possa trovarmi, sempre. Cerco di illudermi di non aver bisogno di lui, ma la verità è che quando il mio corpo gli appartiene io mi sento meno me, mi faccio meno schifo. Cerco di escludere tutto il mondo, erigendo muri intorno al mio cuore, che sanguina, ferito. Lascio aperte delle piccole feritoie, per lasciarlo respirare, per permettergli di cicatrizzare le ferite. A volte, però, oltre al sole da quei piccoli buchi entrano anche gli sguardi, quelli di Andrea, quando lo incontro per caso, quelli di Danielle, preoccupata perché mi vede triste, quelli di Giulia, che cerca di ricordarmi cosa c'è di importante al mondo. Tutti questi sguardi riaprono le ferite, mi fanno sentire un fallimento totale. Mi sento giudicata da chi mi guarda, mi sento guardata da chi mi giudica. L'unico che sembra non farlo è Iack: credo che in qualche modo mi capisca, che in qualche modo mi voglia bene. Ipoteticamente non siamo niente, tranne che conoscenti. Tecnicamente ci comportiamo come fidanzati. Niente regali, o fiori, o altro. Ma ci siamo uno per l'altra, ci teniamo per mano in giro, non frequentiamo altre persone. Ci sono momenti di tenerezza, ma non sono come quelli con Andrea. Mi crogiolo nei ricordi, li dipingo con la mente sul soffitto della mia stanza, li metto in bella mostra li, sulle mie mura, davanti al mio cuore, per lanciare un S.O.S. silenzioso, per chiedere alle persone un aiuto. Danielle capisce, ma ha paura ad entrare, non vuole sfondare un portone che sembra chiuso, ma che in realtà è aperto. Chiede il permesso, bussa, aspetta una risposta che però non arriverà, che non potrà arrivare. Gli abitanti di quella casa sono muti nel loro dolore: cuore, anima, cervello, polmoni. L'immobilità regna sovrana mentre il corpo si muove in autonomia, perché conosce i passi di questa danza infernale.
Il mio telefono vibra sul comodino, interrompendo il silenzio assoluto che si era creato nella stanza.
" Corsetta per sfogarsi? Danielle."
Sorrido a questo modo innocente di farmi capire che se ho bisogno lei è pronta a prendermi.
" Posso portare Pew? È un po' che non esce."
" Ho capito, mi tolgo la tuta e metto i Jeans."
La perspicacia di questa ragazza mi sorprende sempre. Io amo andare a correre, quasi quanto amo andare in bicicletta. Il problema è che quando vado in giro con Pew è impossibile fare entrambe le cose. Il passo tranquillo e felpato di questo cucciolo mi lascia un'unica alternativa: la passeggiata rilassante.
Così, prendo scarpe, giacca, guinzaglio e cane e esco.
Il punto di ritrovo è sempre lo stesso, un piccolo molo fatto di massi al limite dei confini della città. Arrivo li praticamente con Danielle, così cominciamo a camminare.
<< E' un po' che non parliamo>> osserva lei, quasi con dispiacere.
<< E' un po' che non ho niente da dire.>>
Lei mi guarda perplessa e poi, quasi con un sussurro, risponde.
<< Non è vero che non hai niente da dire, vedo che soffri, vedo che c'è qualcosa che non va.>>
<< Sto bene, sul serio.>>
<< Vuoi dirmi che hai completamente dimenticato Andrea, che Iack è l'uomo che hai sempre voluto, che tutto questo è quello che hai sempre desiderato?>>
<< No. No, maledizione. Non è affatto quello che ho sempre desiderato. E si, sto male, talmente male che vorrei mettermi ad urlare, vorrei tirare tutto fuori, vorrei, vorrei...>>. La voce mi si incrina, e non riesco più ad andare avanti.
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Make it count
Romance- Ho provato a seguire la mia strada senza avere però una luce che mi mostrasse dove mettere i piedi. L’ho cercata ovunque, ma non l’ho trovata. E rincorro ancora il sogno di una favola, quello che mi hai insegnato tu. -