Stay.

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Nella mia storia non parlerò di amori sbagliati, di storie sdolcinate e quant’altro.
Ho avuto la mia occasione e me la sono vissuta. Ora basta favole della Disney.

Pedalo veloce come non ho mai fatto, faccio lo slalom fra le macchine, supero tutti gli ostacoli. Sono in ritardo. Mi mancano quattro minuti per arrivare in classe. Sfreccio sulla strada. Arrivo, attacco la bici a un palo, tolgo il casco, faccio gli scalini a due a due, e senza fiato entro in classe. La prof non c’è ancora, così mi siedo e prendo fiato. L’insegnante entra dopo pochi minuti, e la lotteria ricomincia. Signori e signore, benvenuti all’ennesima edizione degli Hunger Games. Un silenzio irreale cala sulla classe mentre la prof fa scorrere il suo dito su e giù per il registro. Se non avessi paura di andare alla lavagna, la situazione sarebbe comica. Nessuno ha  mai paura di niente, ma quel dito riesce a zittire anche le mosche. E anche se non sei tu il condannato, devi seguire, perché potresti essere il prossimo della lista. Aspetto la fine della prima ora per andare a sentire le ultime news dalle ultime file. Poche notizie, qualche abbraccio, due o tre sorrisi, e subito si ricomincia.

Alla fine della sesta ora esco da scuola e torno velocemente a casa. Casa è leggermente fuori città, con un piccolo giardino, confinante con altre case leggermente fuori città con piccoli giardini. La mia cameretta è la prima stanza della casa. Entro e poso giacca e cartella, mi cambio e vado a mangiare. Pasta con il pesce, un po’ di insalata e poi di corsa sui libri. Ma, che dico! Oggi è venerdì, e domani non c’è scuola! Pomeriggio libero.

Prendo tutto quello che potrebbe servirmi, e poi via di nuovo. Faccio uscire la bici dal garage e vedo il mio vicino di casa. Sta tagliando l’erba del prato. Mentre esco dal vialetto, alza lo sguardo e mi osserva. I suoi occhi non si staccano da me fino a che non giro l’angolo. Vado a casa di Laura tanto per stare un po’ in compagnia. La scusa ufficiale di queste visite è lo studio, ma alla fine l’unica cosa di cui discutiamo sono le ultime news della classe. Non c’è niente di più stimolante di una bella chiacchierata per mangiare a volontà. Infatti, dopo un’ora, abbiamo quasi svuotato l’armadietto delle “scorte per pettegolezzi”, ovvero un piccolo armadio in camera sua dove tiene tutti i generi di schifezze di questo mondo. Fino alle quattro facciamo così, e poi arriva il bello. In casa sua non c’è mai nessuno, quindi di solito non siamo mai sole. C’è sempre qualche ragazzo pronto a rispondere “arrivo” ai suoi sms. I ragazzi di oggi sono due tipi super palestrati, con dei sorrisi simpatici. Subito si formano le coppie, uno schema  predefinito. Lei prende il ragazzo con cui ha messaggiato e vanno in camera sua. Io vado in camera degli ospiti con l’altro. Lavoretti veloci, mai più di un’ora. Mi siedo sul letto, e mentre lui chiude la porta, lo osservo. Fisico perfetto, sguardo sicuro. Si avvicina, si siede sul letto, mi sorride e mi bacia. Facile, rispondo al bacio. Le sue labbra sono morbide, e si muovono con dolcezza sulle mie. Lo sento incerto, le sue mani prendono delle pause mentre lentamente scorrono sulla mia schiena. Aspetto che si muova, che faccia la prima mossa, ma quando provo a togliergli la maglietta mi ferma.
<< Tutto bene?>> gli chiedo con un sussurro a fior di labbra. Lui si stacca, appoggia la sua mano sulla mia, e mi guarda.
<< E’ che io e la mia ragazza ci siamo lasciati da poco, e non ho mai fatto niente, se non con lei.>>. Mentre lo dice abbassa gli occhi, e mi fa una tenerezza infinita, questo ragazzo bambino.
La stanza è quasi completamente al buio. Ma quando alza gli occhi vedo che tremano. Allora mi avvicino e lentamente appoggio le mie labbra sulle sue. Un bacio semplice, dolce.
<< Non ti preoccupare, se vuoi andartene, ti capisco>>.
<< Scusa.>>
Prende le sue cose ed esce, regalandomi ancora uno sguardo pieno di scuse. Mi alzo dal letto, lo metto un po’ a posto. Sento la porta di casa chiudersi. Sorrido, perché non ho mai incontrato un ragazzo del genere. Inizio a raccogliere le mie cose, quando la porta della stanza si apre. Non faccio in tempo a girarmi che siamo contro il muro e le sue labbra sono premute sulle mie, fameliche. Le sue mani esplorano i miei vestiti alla ricerca di una breccia che le porti al mio corpo. Alla fine la trovano e tolgono la maglietta che le separa dalla mia pelle. Al suo tocco rabbrividisco: le sue mani fredde si fermano un secondo.
<< Hai le mani fredde.>>. Sento le sue labbra sorridere contro le mie. La sua bocca si stacca dalla mia per avvicinarsi al mio collo, e lo sento annusare il mio odore. Inizia a darmi piccoli baci veloci sul collo, fino ad arrivare alla spallina del mio reggiseno. Allora cerco di nuovo le sue labbra e lentamente gli sfilo la maglietta. Anche le mie mani sono fredde, sento la sua pelle d’oca nascere sotto le mie dita. I nostri respiri accelerano sempre di più, fino a diventare ansimi. Ci spostiamo e andiamo a finire sul letto. Lui slaccia il mio reggiseno, lo getta in un angolo e si sdraia su di me. Le sue mani continuano imperterrite la loro esplorazione. Lui armeggia con la mia cintura, e alla fine ha la meglio. Slaccia il bottone dei miei jeans ed elimina gli ultimi ostacoli fra di noi, compresi i suoi pantaloni.
<< Posso?>>.

Dopo quasi più di tre ore esco da quella stanza, con il suo numero sul cellulare e il suo nome stampato nel cervello. Andrea.
Non è stato amore, ma neanche semplice sesso. È stato speciale. Nessuno mi aveva mai chiesto “posso?”. Con lui mi sarei fermata a dormire, senza pensarci due volte. Di solito l’unica cosa che voglio fare dopo cose del genere è andarmene, perché mi sento sporca.
Ci salutiamo davanti al portone con due baci sulle guance, come due buoni amici. Salgo sulla mia bicicletta e torno a casa. Sono quasi le sette.

Entro in casa, e i miei genitori si precipitano in corridoio.
<< Si può sapere dove sei stata?>> urla mia madre.
<< Sei andata a casa di quella tua amica vero?>> urla mio padre.
Sorpresa da tutta quella veemenza balbetto un “si”.
<< Hai capito! Lei tranquilla esce di casa senza dire niente, fa i suoi comodi, come se questo fosse un hotel.>>. I miei sono veramente tanto arrabbiati.
<< Ma vado da lei ogni venerdì, e sto da lei tutto il pomeriggio!>>.
<< Sentila, crede anche di avere ragione. Ma ti ricordi cosa c’era questo venerdì almeno?>> dice mio padre con aria di sufficienza.
<< No, cosa c’era oggi pomeriggio?>>
<< Lo psicologo, brutta testa di cazzo. Lo psicologo. E dovevamo andarci tutti, compresa tu.>>
<< Io dallo psicologo non ci vado. Tanto qui dentro non cambierà mai niente.>>
<< Ma sentila. Non ti è mai venuto in mente di pensare anche agli altri? La tua famiglia ne ha bisogno, così anche tu lo fai. Intesi?>>
<< Intesi un cazzo. Io non ci vado. E la famiglia non ne avrebbe bisogno se voi vi impuntaste un po’ meno per delle cazzate, e iniziaste a pensare anche a me e alle altre persone che abitano sotto questo tetto invece che solo a voi due.>>

Non la vedo arrivare, ma quando la mano di mio padre sbatte contro la mia faccia, mi fa perdere l’equilibrio, e vado a sbattere contro il muro. Subito il viso inizia a bruciarmi, e le lacrime si affacciano dagli occhi. Realizzo che mi ha appena tirato una schiaffo, e tutto il mio disprezzo esce fuori sotto forma di uno sguardo.
<< Vaffanculo.>>

Esco di casa senza voltarmi indietro e sbattendo la porta.

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