Lasciatemi la mia pazzia

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Mi ricordo il giorno in cui arrivai in questa classe. Era tutto così strano: essere estranei in un luogo comune, come alle elementari, chiedendo a tutti qualcosa di se stessi. È stata l’opportunità di ricominciare da capo, reinventare me stessa, accantonare tutti i miei ieri e iniziare con un nuovo oggi, per creare un domani migliore. Avevo paura di fallire, di non riuscire a essere migliore. Credo di avercela fatta, in fondo. Ho fatto tanti sbagli e tanti ne faccio ancora, ma adesso ho qualcuno che me lo fa notare, così che io possa migliorare.

Essendo in primo banco, non mi preoccupa perdere la concentrazione, perché gli occhi dei prof sono tutti per le quelli dietro. Non si sa bene come ma dalla cattedra vedono tutto. Ho ipotizzato la vista a infrarossi, ma mi sembra poco probabile. Potrei diventare una professoressa da grande, e fare delle lezioni così belle e coinvolgenti da spiazzare quegli alunni svogliati che ogni giorno varcano le porte di quest’istituto. Come in “l’attimo fuggente”: “Capitano, o mio Capitano”. Sarebbe assolutamente magnifico.

Ho sempre odiato la domanda “che cosa vuoi fare da grande?”. La mia piccola mente malefica, parliamo di quando avevo tre o quattro anni, aveva elaborato questa strategia: ogni volta che mi avessero posto questa domanda, avrei risposto un mestiere inventato, impossibile da pronunciare, in modo che gli adulti si sentissero stupidi perché non sapevano di che cosa stessi parlando, e smettessero di chiedermelo. Era estremamente divertente vedere le facce di quelle persone quando dicevo di voler diventare un “Asclepiadeo Professionista”. Ma alla fine, che cosa significa crescere? Che senso ha diventare grandi se non si rimane bambini dentro?
Gli adulti devono dimostrare di essere cresciuti, mostrando la loro grandezza con gesti sciocchi. Ma chi meglio di un bambino può vedere quello che non c’è?
Prima ho detto di non avere un migliore amico. Ebbene sbagliavo. Io non ho un migliore amico convenzionale. Il mio migliore amico è un drago. Il suo nome è Jerry, e lo trovò per me la mia migliore amica in una fredda sera di inverno. E’ stato uno dei migliori regali che io abbia mai ricevuto.
E poi, che senso avrebbe la vita senza un po’ di sana fantasia? Chi può dire di non aver mai sognato terre lontane, avventure fantastiche e creature magiche?
E chi se ne importa se le persone ti credono pazzo, tu per lo meno riesci a credere in qualcosa.

Dovrebbero mettere una materia a scuola in cui s’insegni alle persone a credere a ciò che non vedono.
Potrebbe servirmi, magari ricomincerei a credere nei sogni. Forse ci credo già, in fondo tutti hanno bisogno di qualcosa che li porti avanti. Da casa mia non si vedono bene le stelle, troppa luce artificiale.

Dicono che il destino delle persone sia scritto nelle stelle. Ma come possono delle palle luminose a miliardi di chilometri di distanza svelare quello che verrà?
E poi il destino non esiste. Tutto dipende dalle scelte che le persone compiono ogni singolo giorno. Ne sono fermamente convinta.
Se esistesse, cosa cambierebbe? Non so neanche quello che mangerò oggi a pranzo. Tutto dipende da cosa ha scelto mio padre.

Sicuramente non esiste un destino per quanto riguarda le interrogazioni. Ogni tanto vorrei controllare se il numero scritto sui bigliettini che estraggono è veramente quello che poi chiamano. Il mio numero mi piace da impazzire: è l’otto. L’infinito. Mi piacciono le cose infinite, mi danno sicurezza. Ho imparato a usare questa parola crescendo. Le persone a cui ho promesso il mio affetto “per sempre” sono esattamente cinque.
Può sembrare una cosa da bambini, ma vi non è così. Sono in grado di fare poche cose, e una di queste è voler bene alle persone incondizionatamente. Non importa per quante volte mi diranno di no, io sarò sempre agli angoli bui della loro vita con in mano una candela, una torcia, un faro, per riportarle a casa. Però solo se vorranno. Non voglio imporre la mia presenza dove non è gradita. Ma sarò là, anche se non si ricorderanno di me.

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