Awake my soul

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PREMESSA

ciao , allora :) io vi avviso fin da subito :) questa è la mia prima storia, vi prego non siate crudeli... i primi tre capitoli sono un pò noiosi, lo so, ma vi giuro che dopo migliorano... abbiate un minimo di fede e potreste rimanere sorpresi :) grazie in anticipo per la lettura, divertitevi :)

UNO

Vorrei poter camminare sulle stelle. Sarebbe quasi magico, non credete? Camminare lentamente, senza fretta, lasciandomi guidare dal cuore, lasciando che la mente si liberi, che niente scalfisca la mia serenità. Passo dopo passo, sollevando piccole nuvole di polvere, attraversare la via lattea e tutte le galassie, per vedere cosa c’è al di là. Guarderei la terra da lontano, magari scoprirei se da lassù si vede veramente la Grande Muraglia, o se è solo un mito. Rincorrerei le comete, andando veloce, fino a perdere il fiato, ma senza perdere mai la speranza di poterle raggiungere prima o poi. Perché, in fondo, la speranza è tutto quello che serve nella vita.

Sto sdraiata sul letto e fisso queste pareti bianche che, a parte i due pannelli di sughero sopra la scrivania, sono vuote. Ho staccato tutto, poster, foto, frasi, sogni.
Sopra questi quattro muri ne ho appesi tanti ma non ne ho mai staccato nessuno. Forse è perché non ho mai avuto il coraggio di viverli fino in fondo, di vivermi fino in fondo. Ho sempre avuto il terrore che qualcosa andasse storto, così ho scelto la strada più semplice. Ho deciso di smettere di sognare per poter vivere tranquillamente, per non dovere più niente a nessuno, neanche a me stessa. Non ho il coraggio di alzarmi da questo letto e scrivere neanche un sms senza averci prima riflettuto. Peso tutte le parole che dico, evito di essere me stessa, cerco di non dare fastidio a persone di cui so poco o niente, in modo da essere un ricordo piacevole, in modo da non essere un ricordo affatto.

Ho sempre pensato che, se un giorno scomparissi, non se ne accorgerebbe nessuno, non importerebbe a nessuno. O forse a qualcuno importerebbe, ma alla fine sarei come una cometa durante la notte di San Lorenzo: apparirei e scomparirei insieme a milioni di altre “stelle”.
Da piccola pensavo che quei minuscoli puntini che vedevo appesi al cielo la sera dei lumini fossero i desideri delle persone, e che ogni volta che un puntino cadeva significava che qualcuno aveva realizzato il proprio sogno. Poi ho scoperto che quei puntini sono corpi celesti che brillano di luce propria e che i sogni sono inutili perdite di tempo, perché quando si realizzano portano solamente altri sogni da realizzare, mentre se non si realizzano ti fanno solo male.
Allora ho staccato tutto dai muri della mia stanza: prima di tutti quei sogni maledetti, mai realizzati, che ho imparato a odiare, che ho imparato a evitare. Poi è toccato ai ricordi. Ho eliminato la mia vita da queste pareti, forse per costruirne una nuova, forse solo per dimenticarmi chi sono e perdermi, per imparare a essere chi la gente vorrebbe che io fossi.
Ho tolto i peluche dagli scaffali, basta sciocchezze.
Ho messo tutte le lettere in una scatola e messo quella scatola in un’altra scatola, che è andata a finire sopra l’armadio. In giro ci sono soltanto i libri, quelli di scuola e quelli che ho comprato negli anni. Li leggo ancora, anche se ho imparato a non mostrare al mondo quello che ho dentro, diventando una marionetta fra tante.

Ascolto quelle cinquanta canzoni dei “Mumford and sons” che ho sul telefono e chiudo gli occhi. Inizio a escludere tutto quello che ho attorno finché non sento il mio corpo sospeso, quasi galleggiasse nel vuoto invece di essere sul mio letto. Ho la tentazione di controllare se sono ancora il camera, ma non apro gli occhi, non voglio infrangere questa magia. Faccio svuotare la mente e visualizzo la musica. Sento le dita sulla chitarra e una voce ruvida mi sussurra all’orecchio attraverso le cuffiette. Immagini si susseguono dietro le mie palpebre e mi ritrovo a camminare in un campo in cui delle dorate spighe di grano mi arrivano ai fianchi, dove il sole è alto e non esiste niente a parte la pace.
Le mie orecchie si riempiono di silenzio, anche se nelle cuffie la musica sta ancora andando, e un vento leggero mi scompiglia i capelli. Le mie mani accarezzano l’oro che mi sta attorno, le spighe mi solleticano le mani, e i miei occhi si cibano della tranquillità di quella terra creata dalla mia mente. E mentre cammino, assaporo la pace che si è creata all’interno del mio cuore, i cui battiti regolari scandiscono in mio passo. Il mio respiro si confonde con quello della terra sotto i miei piedi, e quella piana in cui ho trovato la pace mi fa sentire a casa. Non ci sono mai stata prima, ma mi sento a casa.
Non vedo altro a parte basse colline e un mare giallo, da cui poi, con una linea di demarcazione precisa e netta, si stacca da un cielo di un azzurro limpido, quasi bianco, in cui un grande sole bruciante splende magnifico, re incontrastato di quella pace. Le spighe si allungano per toccarlo, e nulla si muove per ammirarlo, il più a lungo possibile, lasciandosi illuminare da quell’immensità luminosa che solo un Dio può emettere.

. . .

Mi risveglio da quella visione per ritrovarmi sul mio letto con sopra quella parete bianca che accompagna la mia vita.
Dalla cucina arriva la voce di mia madre che mi chiama per apparecchiare.
Ceno svogliatamente con la mia famiglia mentre le scene sul televisore cambiano dai disastri che ogni giorno sono mostrati nei telegiornali a qualche telefilm americano in replica su un qualunque canale. Non riesco neanche a sentire le parole che gli attori si scambiano: mia madre urla, mio padre urla, mio fratello urla. Urlano tutti talmente forte da farti venire il mal di testa. A fine giornata bisogna sfogarsi, e quale momento migliore per mostrare le proprie ansie e preoccupazioni che la cena?
Cerco di concentrarmi sulle scene che mandano in onda, ma ho perso l’inizio della puntata e non riesco a capire che cosa stia succedendo.
<< Com’è andata a scuola oggi?>> chiede mia madre.
<< Il solito.>> rispondo io, cercando di chiudere una conversazione svogliata e scomoda.
<< Cosa avete fatto?>>. Vorrei chiederle che cosa gliene frega, ma non mi sembra il caso di ricominciare a litigare.
<< Hanno spiegato, più che altro. Siamo a inizio quadrimestre, non hanno niente su cui interrogare.>>
<< Come ti trovi in classe?>>
<< Come l’anno scorso, sto bene.>> abbasso gli occhi, per non lasciare che mia madre capisca che mento.
Non è che io in quella classe mi ci trovi male, è solo che non mi sento a casa. Sono entrata in un universo già ben definito, dove le galassie sono già al completo e i buchi neri si fanno lentamente strada annullando le comunicazioni interspaziali o rendendole false. I sorrisi nascondono giudizi fondati sull’apparenza, e a nessuno importa veramente quello che provi. Alle persone ha smesso di fregare degli altri, le amicizie sono solo sporchi mezzi per non essere soli, futile utilità.
<< Hai preso qualche voto?>>
<< No.>>
E andiamo avanti così, con domande senza un senso logico, e risposte monosillabiche, o poco vere.
Quando la cena finisce, metto a posto i piatti mentre ascolto qualche canzone energica e allegra, poi spazzo il pavimento, lavo per terra e infine vado a chattare con i miei amici. Ho un account Messenger, un account Facebook, un account Twitter, ma non ho un account Vita. Le mie interazioni sociali ormai si limitano alle sei ore giornaliere di scuola, qualche sms, mezzoretta di chat e, se sono fortunata, una telefonata di qualche minuto con qualche amica che mi racconta un po’ di tutto e un po’ di niente. E ogni mattina si ricomincia.
Sempre uguale, ogni singolo giorno, dal Lunedì al Venerdì. Sì, perché il Sabato e la Domenica non c’è scuola, e se riesco, esco.
In fondo non mi dispiace più di tanto questa monotonia, mi sta bene. Non devo raccontare troppo di me, e le persone non sono obbligate ad aprirsi.
A volte mi sento sola, ma la musica riempie ogni vuoto, e dove non arriva lei, arrivano i libri, o i film. Niente meglio di un bel film a fine giornata: che sia una storia d’amore, una favola sull’amicizia, un film demenziale o un semplice racconto, tutto diventa dolce e bello. E le labbra s’incurvano mentre gli occhi si chiudono e dentro la testa risuonano ancora le parole delle colonne sonore e del copione.
I film sono i migliori compagni che una persona possa desiderare per passare una buona serata senza poter uscire.
Ho volato insieme ai Top Gun, ho seguito le lezioni di Hogwarts, ho creduto nelle fate, ho percorso quei cento passi, ho camminato al fianco di Jane Eyre, sono morta con Thelma e Louise.
Tutto questo l’ho fatto stando sdraiata sotto il piumone, mentre la casa dormiva, e il silenzio s’infilava magicamente in tutti i suoi angoli.
Guardo film e messaggio, nel silenzio più assoluto, togliendo anche la vibrazione per non interrompere la magia.

Qualche sera, però, spengo il computer e metto il telefono in modalità “Aereo”. Poi mi sdraio sopra le coperte, spengo la luce, mi infilo le cuffiette e lascio che la musica mi entri dentro, soffocando tutti i sentimenti, soffocando tutti i pensieri. Metto il volume basso, in modo che le vibrazioni dei bassi siano in sintonia con quelle della mia anima, e chiudo gli occhi, lascio che i ricordi mi investano. A volte piango, altre rido, altre ancora la tristezza mi conquista. Comunque sia ascolto tutte le canzoni fino a che non sento il sonno arrivare e bussare gentilmente alle porte del mio cervello. Allora stacco le cuffie e mi metto il pigiama. Spengo la luce e mi godo quelle cinque o sei ore di sonno che la notte mi regala.
Ci sono notti in cui gli occhi non si chiudono, altre in cui si chiudono troppo presto.
Parlo con il mio diario, gli racconto la mia giornata, imprimo sulla carta con l’inchiostro quello che il cuore imprime su di me con la forza.

Rileggo i messaggi di una giornata uguale a mille altre e imparo a memoria piccole frasi, magari rimasugli di polvere di stella, che mi rimangono nel cuore. Forse non so amare le persone, forse ho fatto scelte sbagliate. Forse sono sbagliata. Fatto sta che quelle poche righe che le persone mi scrivono sono per me un piccolo momento di gioia. Anche se tutto questo fosse un sogno, anche se tutto questo fosse dettato dalla falsità. Non mi importa, per adesso.

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