Capitolo 15 - "Oh... ciao Liam"

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Mandai giù uno shot di tequila e subito dopo sentii una breve sensazione di bruciore allo stomaco. Feci una smorfia di disgusto per poi sbattere il bicchierino sul bancone.

<Un altro per favore!>, esclamai rivolgendomi al barista giovane davanti a me.

Mi voltai a guardare Jennifer, era seduta alla mia sinistra e mi stava guardando con le sopracciglia sollevate in una tenera espressione di disappunto.

In quel momento incarnava perfettamente mia madre, che mi avrebbe sicuramente rimproverata per il mio comportamento, definendolo inconcepibilmente irresponsabile.

<Che c'è?!>, strillai sulla difensiva.

<Non ti ho mai vista bere così>. Rise nervosamente, passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

<Sono troppo stressata, ho bisogno di sciogliere i nervi>, ammisi senza tanti giri di parole.

«Allora andiamo a ballare!», mi esortò e subito dopo posò il suo bicchiere sul bancone pronta ad alzarsi.

«Non mi va adesso. Magari tra un po'».

Vidi il suo entusiasmo spegnersi in un nano secondo. Ero consapevole di essere la guastafeste in quel momento, eppure non mi andava di buttarmi in mezzo alla folla e stare a stretto contatto con tutta quella gente.

«Come vuoi», disse rassegnata.

Un mio difetto era sicuramente quello di voler tenere sotto controllo ogni cosa e questo non mi faceva di certo bene. Infatti, non c'era un singolo istante in cui non pensassi al lavoro, alla mia famiglia, ai miei amici ed ora anche a Dylan.

Prima di addormentarmi facevo un riepilogo della mia giornata e provavo ad immaginare tutte le cose che avrei potuto fare il giorno dopo.

Ero costantemente sovrappensiero, rimuginando senza sosta.

Dovevo perciò prendere le distanze dalla rigidità della mia vita e provare a divertirmi un po'; ed era proprio quello che stavo cercando di fare con Jennifer, ma usufruendo di un mio caro amico di nome cocktail.

La verità è che non avevo bevuto abbastanza da poter disconnettere il cervello, perciò feci gli occhi dolci al barman e gli chiesi un altro shottino di tequila.

Lui mi sorrise in modo provocante, poi afferrò quella che poteva sembrare una banale bottiglia d'acqua, la agitò e ne versò il contenuto in bicchierino in vetro.

«Ecco a te dolcezza», ammiccò facendomi l'occhiolino.

Jennifer sbuffò, roteando gli occhi al cielo. <Quindi questa sera toccherà a me restare sobria.>

<Esatto. A meno che tu non voglia prendere un taxi>.

Afferrai il bicchierino che il barista mi aveva messo sotto il naso pochi secondi prima e lo portai alla labbra. Mandai giù tutto in un sorso e subito il sapore amaro della tequila mi fece storcere il naso.

<No, grazie. Lo sai che i mezzi pubblici mi fanno venire la pelle d'oca>, disse in una smorfia di disgusto.

«Farò finta di non averti sentita», le dissi.

Jennifer proveniva da una famiglia benestante e non era di certo abituata a prendere taxi, autobus, tram o addirittura treni. L'unico mezzo che le faceva comodo era l'aereo, solo se avesse viaggiato in prima classe, non di certo in economica.

Roteai di centottanta gradi sulla sedia girevole e mi fermai ad osservare la gente che si scatenava a ritmo di musica. C'erano un sacco di ragazze vestite come se fossero sul punto di sfilare su una passerella di moda, mentre io indossavo una semplice gonna in jeans e una camicetta bianca.

Un bacio tra le nuvole • |COMPLETA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora