Capitolo 18 - Una piccola barbie

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Il cervello era andato in tilt.

Non capivo più niente.

Rimasi immobile, mentre volevo solo alzarmi e sparire. Non mi ero mai sentita in imbarazzo come in quel momento e tutto era dovuto alla presenza di Dylan e dei miei genitori nella stessa stanza.

Pensieri assurdi cominciarono a frullarmi nella testa.

Il trucco sul viso era ancora integro?

Ero vestita bene?

Avevo i capelli in ordine?

Nervosamente mi misi i capelli dietro le orecchie e mi assicurai di averli sistemati adeguatamente. Mia madre, che era seduta esattamente davanti a me, aveva lasciato il suo posto a Dylan e solo allora i nostri sguardi si incrociarono. Ci guardammo per una manciata di secondi e notai che il suo viso era rilassato. Le labbra erano dolcemente schiuse in un sorriso quasi impercettibile. Io invece ero in totale subbuglio e disagio nell'averlo di fronte a me.

Quel suo sorrisetto aveva cominciato ad innervosirmi, sembrava traesse soddisfazione nel vedermi in difficoltà. Provai a tirare le somme, cercando di capire cosa avesse architettato Peter per convincere Dylan a venire a casa dei miei. Avevano sicuramente tramato qualcosa a mia insaputa ed ero così arrabbiata con mio fratello. Mi promisi che quando saremmo tornati a casa lo avrei massacrato con una sfilza di rimproveri. Voltai la testa e lo fulminai con gli occhi, lui in risposta si mise una mano davanti alla bocca per trattenere una risata.

«Caro hai già pranzato? Vuoi che ti porti qualcosa? Ho preparato delle buonissime patate al forno e credo ne siano rimaste un bel po' nella teglia».

«Non si preoccupi, ho già mangiato.»

«Oh cielo, dammi del tu! Non sono così vecchia»

«Vuoi un bicchiere di vino?», mio padre inclinò la bottiglia di quarantacinque gradi.

«Sono costretto ad accettare, sono un amante del rosato».

Brindarono ed io rimasi imbambolata ad osservare il ragazzo davanti a me. Dylan fece oscillare il calice per qualche secondo per poi portarselo alla bocca. Bagnò leggermente le labbra e poi mandò giù un lungo sorso.

«Veramente sublime Signor. Montgomery», si lasciò sfuggire rimettendo il bicchiere sul tavolo.

«E' un vino italiano. Me l'ha portato mia cognata quando è andata a Firenze qualche anno fa.»

«Mi piacerebbe molto visitare l'Italia, non ci sono mai stato», ammise Dylan.

«Nemmeno per lavoro?», gli chiese Peter.

«No, non ho la possibilità di fare voli intercontinentali».

«Scusami, ma non ho capito bene che mestiere fai», intervenne mamma, molto interessata ad ascoltare Dylan.

«Sono un pilota di aerei».

«Con che compagnia?»

«Lavoro per l'American Airlines.»

«Sei molto giovane per essere un pilota», si lasciò sfuggire mia mamma, «E anche molto attraente», disse ridacchiando sottovoce. Approfittai della nostra vicinanza e le pizzicai un fianco. «Mamma, smettila», le sussurrai all'orecchio.

«Smettila tu, sembri una mummia. Datti una svegliata!», mi rimproverò sottovoce.

Peccato non sapesse che io e Dylan avevamo già dei precedenti e che quello non era il nostro primo incontro.

Mio padre e Dylan cominciarono a parlare di modelli di aerei e della storia dell'aviazione. Sembravano in sintonia e questo dettaglio mi rese inspiegabilmente felice. Era strano vederli chiacchierare animatamente, sembrava si conoscessero da una vita. Non c'era un filo di imbarazzo tra di loro.

Un bacio tra le nuvole • |COMPLETA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora