Prologo

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Angelina

Tre sono state le volte in cui ho messo piede alla Mango Records e probabilmente rimarranno gli eventi più simbolici della mia vita. La prima volta avevo cinque anni. Quel giorno mio padre aveva deciso di portarmi alle giostre ma, nel bel mezzo del mio maestoso giro sui cavalli roteanti, aveva ricevuto un'urgente chiamata di lavoro che lo aveva costretto a ritornare in ufficio. Senza nemmeno chiedermi se fossi d'accordo o no, mi aveva trascinata a forza giù dalla giostra –che, per la cronaca, era una delle mie preferite, e costretta a seguirlo in quell'enorme edificio bianco dalle vetrate scure che solitamente avevo ammirato solo dall'esterno. Appena dentro, ero rimasta affascinata da ogni singolo dettaglio: rispetto alle altre case discografiche italiane, quella di mio padre –il grande cantautore Mango, è oggi sicuramente molto più grande e maestosa rispetto a quando l'avevo visitata per la prima volta.

Ricordo che mio padre mi costrinse a rimanere seduta nel suo ufficio per un tempo a me indeterminato e che pareva non passare mai. Ad un certo punto, ferita nel profondo per il suo comportamento ingrato, decisi che gliela avrei fatta pagare per avermi sottratto via il mio momento di gloria sul cavallo-giostra e aver lasciato marcire il mio entusiasmo nella sua triste e trasandata caverna lavorativa. Finsi così che quel posto appartenesse a me: cominciai a scarabocchiare ovunque trovassi qualcosa di bianco, grigio o nero con pennarelli fosforescenti tanto che ad un certo punto, l'ufficio era diventato un'opera d'arte degna dei musei più prestigiosi e dell'ammirazione di Giotto. Inutile dire che alla fine ciò non convinse papà a riportarmi alle giostre ma solo a rinchiudermi in camera mia per quasi due giorni come punizione.

La seconda volta invece, avevo dodici anni. Quel giorno mi trovai lì un po' per caso: mio fratello maggiore, Filippo, era rimasto coinvolto in un piccolo incidente in bici e subito una coppia –riconoscendolo come figlio di Mango, lo avevano scortato fino alla Records. Io ero con mia madre a gustarmi un delizioso gelato alla nocciola quando fui scaraventata in due minuti, e ancora una volta, nell'ufficio di mio padre che stava intrattenendo in quel momento, una riunione importantissima con dei discografici americani. Mi beccai di nuovo un severo rimprovero perché avevo accidentalmente – e dico davvero, fatto cadere il mio gelato sulle scarpe lucide e probabilmente costosissime di uno di loro, un tizio dalla testa calva e la pancia grande che prima di andarsene e chiudere la porta dietro di sé, aveva badato bene a rivolgere a me e al mio cono uno sguardo criminale. Per farla breve fui io a rubare la scena a mio fratello e ad essere rimproverata al posto suo. Lui se la cavò con una fasciatura e una pacca sulla spalla da tutti.

La terza volta fu quella più traumatica per me. Avevo ventiquattro anni e quel giorno, nell'ufficio di papà, non c'era nessun colore fluo e nessun gelato alla nocciola sciolta sul pavimento. C'erano fiori, lettere, lumini e candele, tutte disposte sotto il quadro gigante con la sua foto al centro della stanza, ormai vuota e silenziosa. Solo quando rimasi sola lì, davanti all'immagine che lo ritraeva sorridente e con gli occhi pieni di gioia, realizzai dolorosamente che lui non c'era più. Che non mi avrebbe più portata alle giostre, che non mi avrebbe più rimproverata per i miei goffi atteggiamenti, che non avrebbe più ascoltato quello che componevo e che non mi avrebbe più detto di essere fiero di me. Non sapevo cosa sarebbe successo dopo. Nessuno lo sapeva. La stampa parlava. Le persone piangevano la sua scomparsa. I giornali recitavano quasi tutti le stesse identiche frasi ripetute in diversi modi: "Il grande Mango perde la vita sul palco"; "Colpito da un infarto fulminante, perde la vita il cantautore Mango"; "Mango è morto, e con lui la musica italiana"; "Quali saranno le sorti della Mango Records dopo la scomparsa del padrone di casa?".

"Vorrei proprio sapere chi è il genio che sceglie i titoli degli articoli" sbottò mio fratello seduto sulla poltrona del soggiorno "Padrone di casa? Sembra più un invito al gossip che alla memoria."

THE STAR-(LOVE) SYSTEM - Waxelina AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora