Capitolo 2

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Wax

La cosa che più preferivo dell'India, precisamente di Mumbai –la città in cui mi ero insediato ormai da già due anni, era il fatto che la luce del sole fosse onnipresente durante la giornata. Odiavo di certo il caldo, l'afa, l'umidità, il sudore e gli insetti fastidiosi che si attaccavano alla pelle continuamente, ma sapere che ogni mattina avrei avuto la certezza di svegliarmi con una luce abbagliante, mi dava un conforto inspiegabile. Non mi erano mai piaciuti i temporali o i nuvoloni cupi e grigi. L'inverno e l'autunno innescavano in me un senso di tristezza, e spesso richiamavano alla memoria scene passate della mia vita che avrei voluto solo lasciare in un angolo buio della mia mente. In India il freddo e le tempeste erano molto rare soprattutto in quel periodo dell'anno, dove le temperature raggiungevano quasi i quaranta gradi nelle giornate più "ventilate" e i quarantacinque per quelle più calde. Era questa probabilmente, insieme ai deliziosi e speziati piatti tipici indiani, la ragione che mi aveva spinto a rimanere più tempo in quel Paese che molti avrebbero definito "Terzo mondo", ma che per me era diventato più di un rifugio. In tre anni, ho visitato tutti i luoghi e i monumenti più simbolici: dal Taj Mahal ai templi di Palitana, dal mare di Goa alle grotte di Ajanta e dalla modernità della capitale Delhi ai luoghi storici di Jaipur. Avevo amato ogni singolo momento di quelle escursioni: ero entrato in contatto con un nuovo modo di vivere e una cultura totalmente diversa a cui ero abituato. Quando ero arrivato per la prima volta, cercavo un luogo lontano da tutto e da tutti, lontano dal mio nome, dalla mia fama e dalla mia reputazione. Avevo bisogno di ripartire da zero e di provare, in qualche modo, a colmare quella sensazione di vuoto che ormai viveva dentro di me già da molto tempo. Da quella sera, quando ho visto crollare davanti ai miei occhi l'uomo che credevo immortale, la persona che mi aveva raccolto dalla strada e mi aveva mostrato che, nonostante tutto, fuori c'era sempre il sole.

Forse era per questo che avevo scelto proprio l'India. Qui la luce era sempre più forte dell'oscurità. Anche la notte, quando tutto diventava silenzioso e quieto, il chiarore luminoso della luna e delle stelle pareva inglobare quasi del tutto il cielo buio. A volte ci perdevo le ore a guardarla, quella luce, come se in qualche modo potesse essere un tramite tra me e quell'uomo che per me, non era mai morto. Mi piaceva immaginare vivesse in quel bagliore o in una di quelle stelle, e che rimanesse lì a guardarmi mentre combattevo con i miei mostri e la mia voglia di scappare via.

"Wax? Mi senti?" La voce roca di Aaron in videochiamata mi parve un suono lontano, mentre mi perdevo nel flusso incostante dei miei pensieri. "Capisco che sei nel cuore del Terzo Mondo, ma almeno avresti potuto scegliere un hotel con servizi internet per lo meno efficaci."

Risi di gusto difronte a quella scena: le parole del mio amico arrivavano in ritardo rispetto ai suoi movimenti dietro lo schermo e rimaneva spesso bloccato in espressioni facciali comiche che, in qualche modo, si sposavano perfettamente con la sua personalità.

"Ho scelto il miglior hotel a quattro stelle di Mumbai, vorresti dubitare della mia capacità decisionali?" Risposi sperando che avesse captato almeno mezza frase dall'altra parte.

"Le tue capacità fanno tutte schifo, mi dispiace dirtelo."

Io ed Aaron eravamo amici ormai da più di dieci anni, ci eravamo conosciuti al liceo. All'inizio non scorreva buon sangue tra noi: lo ammetto, ero un piccolo bullo a diciassette anni, e spesso mi piaceva prendermela con i nuovi arrivati della classe dall'aria un po' stramba. E Aaron, con il suo vecchio taglio punk e la sua tendenza costante a vestirsi di nero, era diventato il bersaglio perfetto. Già al tempo, però, era un grande scrittore. Spesso lo sorprendevo, durante i lunghissimi corsi pomeridiani, a scribacchiare lunghe poesie sul suo banco o su qualche foglio rotto racimolato da terra. Il mio lato da bulletto stupidamente arrogante avrebbe voluto indispettirlo, cancellare quelle scritte o bruciare i fogliettini ma ogni volta che provavo, poi mi perdevo in quei testi dalle parole sublimi. Un giorno gli chiesi perché vomitasse tutto su un puzzolente banco scolastico o su pezzi di carta trasandati, e lui mi rispose che le parole nella sua testa arrivavano così veloci che aveva bisogno di cacciarle fuori al più presto possibile, ovunque si trovasse. Credeva che, così facendo, avrebbe potuto evitare di dimenticarle o di rimuginarci su talmente tanto, da finire per non scrivere. Poi capì che questo suo modo di fare, derivava probabilmente da quella sua sfacciata volontà di non voler esser un perfezionista, ma un'artista.

THE STAR-(LOVE) SYSTEM - Waxelina AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora