6 - HIS FIRST NIGHT OF 𝑄𝑈𝐼𝐸𝑇

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02.39

A chilometri dall'Accademia, Remus Zachary Le Morphis era sveglio. Come ogni Wizja, dormiva poco. E non sognava. Mai. I suoi sogni erano lampi di vita futuri: le sue visioni. Ma non si lamentava: dopo anni, non gli dispiaceva sonnecchiare giusto un'ora o due per notte.

In vero, l'amava. Stellata, buia e silente. Un velo d'oscurità puntinato di brillante candore. Gli infondeva una profonda pace. La sua preferita era quella dei primi giorni d'autunno; era l'apice dell'armonia: quieta, bellissima, calda, smossa solo dalla burlesca brezza che agognava anticipare l'inverno. E, poi, profumava. Avrebbe desiderato ammantarsene sino al mattino.

Ma non poteva, giacché sapeva quanto sarebbe accaduto da lì a breve. Alle 02.45 precise. Seduto sul bordo del morbido letto, era teso. Anche Loci, il suo fumoso Perpetuo, svolazzava inquieto per la grande stanza ottenebrata dalla volta scura.

Così, vestito di tutto punto con la divisa della Convergenza, attendeva: anticipare i tempi, lo aveva imparato da sé, raramente conduceva a finali felici. Solo quando mancò un minuto e vide l'ombra del suo Asservito – EZ3241, un ragazzotto cortese dal viso affascinate e dallo stomaco rotondo giunto da pochi anni – attraverso la flebile luce della soglia, si diresse alla porta pesante e la spalancò d'un colpo.

EZ3241 sobbalzò rumoroso nel momento in cui lo vide emergere dal buio. Remus non si indispettì: succedeva di continuo. I suoi occhi, gialli e privi di palpebre, provocavano quell'effetto in molti.

«Sono stati avvisati tutti?» l'anticipò.

«No, manca-»

Lo interruppe nuovamente. Inclinò il capo e gli fece risparmiare fiato: «Lo so. Va. Comunica agli altri il nostro arrivo.»
E, mentre l'Asservito, immobile, annuiva con decisione, Remus si incamminò a passo svelto.

Trasudante antichità e prestigio, Residenza Balthasar era studiata perché ogni stanza godesse della massima intimità. Benché fossero sullo stesso spiano, nessuna disturbava l'altra. Non un rumore, non un suono, non una luce intensa.

Quindi, quando Remus giunse dinnanzi alla porta della camera, fu certo che non uno l'avesse udito.

Ciò che lo impensieriva era il suo spirito in tumulto. Non avrebbe dovuto essere lì, avrebbe dovuto incaricare il suo Asservito. Ma era stato più forte di lui.

Sollevò il pugno, in apnea. Bussò. Non ci fu risposta. Bussò ancora. Nulla.

Dunque, inserì una mano in tasca ed estrasse una chiave. Era piccola, arrugginita e percorsa dai graffi dell'usura; era solo per le emergenze. Titubò. Ripensò. Forse avrebbe dovuto bussare ancora e ancora, finché non si fosse aperta la porta. Sarebbe stata la cosa più giusta. Ma non aveva tempo: quella era un'emergenza. Infilò la chiave nella toppa e girò. La serratura si aprì in un clack secco che sapeva di profanazione.

Entrò.

La stanza, scarna e austera, era illuminata da una luce flebile. Ma non ci badò. Si curò solo d'avvicinarsi silente e di sedersi sul bordo del letto vaporoso con delicatezza.

Fu felice, perché era al fianco di ciò che riteneva sacro.

Fu estasiato. Perché era a qualche centimetro da colei che avrebbe seguito in capo al mondo.

Se avesse dovuto raccontare a vivavoce ciò che gli imperversava nel petto, non gli sarebbero bastate le parole.

O meglio. Avrebbe potuto usarne una.

Remus vedeva la sua notte: quieta, bellissima, profumata, un insieme armonico che gli faceva vibrare le corde del cuore e che gli trasmetteva una pace inspiegabile.

L'Accademia dei Privilegiati di HemeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora