23 - 𝐻𝐸 DONE 𝐻𝐸𝑅 WRONG

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Dopo la partenza di Sue e Josh, la serata di tra Iris e Areth, nell'alloggio 159, fu silenziosa. Lei, irrequieta, si nascose dietro l'ultimo numero di Hemera Today, per ore, sfogliando a malapena cinque pagine. Lanciò occhiate fugaci al ragazzo in continuazione, ma non parlò. Sapeva cosa avrebbero dovuto dirsi, ma non voleva. Non era certa di essere pronta per quel genere di conversazione. Quando Areth tentò, con un pensante sospiro, l'anticipò.

«Ti fa ancora male?» gli chiese.

«Cosa?»

Lo guardò a stento. «Il collo.» I segni lasciati dal bordo dello specchio erano d'un rosso vivo.

«No», rispose Areth.

Poi, finché il ragazzo non uscì, furono muti.

Iris preferì evitarlo per tutta la mattina seguente, piuttosto che rischiare di discutere del bacio di Josh. La turbava, si sentiva colpevole. Avrebbe voluto dire ad Areth che non le importava, ma la verità era che non riusciva a non pensarci. Trascorse la mattinata di lezioni con la voce di Mrs. Dowell nelle orecchie e quel breve momento al planetario nella testa. Il giorno prima ne aveva parlato con Josh giusto il tempo per chiarire che quell'argomento non andava riaperto. Eppure, viveva e riviveva il respiro e i battiti accelerati, i brividi lungo il corpo e, soprattutto, le sue dita sulla pelle...

Era stato intenso, vero, concreto.

Forse, si disse, era perché Josh le aveva trasmesso in poco ciò che Areth non era stato in grado per anni.

Lasciò l'aula di Formulazione per pranzo. Non tornò al suo alloggio. Prima dell'arrivo di Sue in Accademia, mangiava o con Areth o con Josh, ma ora non aveva il coraggio di affrontare il primo e il secondo non c'era.

In più, l'angoscia le serrava lo stomaco. Era preoccupata per Josh e suo zio, per Hannaline e, nonostante il rancore le urlasse di non farlo, per Sue. Cosa sarebbe successo se Andrew e Han fossero morti? La Convergenza avrebbe trattenuto Josh e Sue?

Si rifugiò nel suo cortile accanto al Vivaio e si sedette su uno dei muretti del porticato. Le sembrò diverso, tanto da stringerle il cuore. Era senza odori, senza vento. Era silenzioso, troppo. Di solito, quando era lì lei, non lo era. Forse perché non era mai sola.

Fece scivolare la mano nella borsa, prese il telefono e compose il numero. La risposta arrivò, a tono basso: «Non m'importa se Mead ha partorito un'idea che non è subito morta di solitudine, Abrahams.»

«Bastava un ciao.»

«Convenzionale» mormorò Josh. «E non m'interessa sapere se sta bene

«Immaginavo» disse. Provò un misto di quotidianità e tensione. E se la la prima le strappò un sorriso, non seppe come interpretare la seconda. «Ma a me interessa sapere come stai tu.» Lui restò in silenzio. «E Sue, ovvio.»

«Sta dormendo

«Dove siete?» chiese.

«Frazione Domen.» La voce era piatta.

Esitò. «Sai già se tuo zio...»

«No

«Hannaline?»

«Nemmeno

«Quindi, come stai?» domandò ancora. Per la seconda volta lui tacque, a lungo. Troppo. Le aveva sempre detto come si sentiva, nel bene e nel male. «Josh...»

«Non ho molta voglia di parlare, Iris» tagliò corto. «C'è altro

Forse. Ma non lo disse. «Fatti vivo.»

L'Accademia dei Privilegiati di HemeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora