14 - THE SONG OF 𝐺𝐴𝐿𝐼𝐴-𝐷𝐸𝐴𝑇𝐻

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Sue approdò nel buio.

Ha funzionato? Come saperlo? Intorno a lei c'era il nulla. Solo buio. No, non è vero, c'è...

Una luce aranciata le ferì gli occhi. Provò lo stesso di quando Michela la obbligava ad alzarsi aprendo d'un colpo le tende della finestra la mattina. Lì, si rese conto: Galia stava dormendo.

No, svegliati.

Ma non riusciva. Le palpebre di Galia sembravano cucite e Sue si sentiva paralizzata. Aveva addosso un formicolio pungente che le impediva qualsiasi movimento. Dovette accettarlo per un lasso di tempo indefinito. Poi, Galia dischiuse gli occhi, lenta; Sue ebbe l'impressione di essere riemersa da un sonno profondo. La prima cosa che scorse con la vista impastata fu la mano della Lady, esile e dalle unghie limate in una mandorla perfetta, adagiata su un lenzuolo. Osservò oltre: si trovava su un letto di una camera, a occhio e croce spaziosa, e la luce proveniva davvero da una finestra lasciata socchiusa davanti a lei.

Era l'alba.

Alzati. Devo capire dove sono e quando!

Tuttavia, benché fosse sveglia, Galia era immobile. Fu allora che le sorse il dubbio: E se Areth avesse ragione? Se quel muro fosse crollato? Se fossi io a...

Lo sguardo le cadde sulla mano. Volle muoverla. Provò, ma il formicolio aumentò e si fermò. Le parve di farsi del male da sola, come se al più piccolo degli spostamenti si staccasse la pelle dai muscoli. Ma non desisté. L'Immersione era stata una sua idea: per sua sorella e Areth l'aveva assecondata anche dopo il modo orribile in cui l'aveva trattato. Arrendersi non era un'opzione. Ritentò. Il formicolio l'aggredì una seconda volta, ma continuò. E, come indolenzite, le dita di Galia raggiunsero il palmo.

Decido io. Sorrise. Aprì e chiuse il pugno, eccitata. Che figata!

La sensibilità giunse poco dopo: avvertì il calore della stanza smosso dal venticello del mattino, un lieve sudore sulle braccia, le ciocche di capelli biondi premuti tra la guancia e il cuscino profumato, la camicia da notte che le avvolgeva il corpo e il fresco del lenzuolo di lino che le lambiva la coscia altrimenti nuda.

Ignorò il formicolio, più flebile, e volle alzarsi. La sua ricerca non poteva aspettare e doveva capire il prima possibile in che punto della vita di Galia si trovasse.

Ma un'improvvisa stretta all'addome la fece trasalire. Fu tirata all'indietro e premuta contro... qualcuno: il respiro che le riscaldò l'orecchio e il collo non lasciarono dubbi. Il cuore pompò a mille. Un groppo le piombò in gola. Abbassò lo sguardo: un braccio dai muscoli saldi d'un uomo le cingeva la vita, arricciandole la camicia da notte.

Sue fece la prima cosa che il panico le suggerì: scansarlo e balzare fuori dal letto. Nel silenzio le molle del letto cigolarono e il legno del pavimento scricchiolò.

Inevitabilmente, l'uomo si svegliò. Sue lo vide stiracchiarsi pigro quanto un gatto, gonfiando il petto largo e spoglio in un lungo sospiro mugugnante, e tendere una mano sulla metà vuota del letto. Poi, con la voce profonda intorpidita dal sonno, disse: «È già mattina?»

Sue non rispose. Indietreggiò, a ridosso dello stipite della finestra, col cuore in gola. Cosa doveva fare? Chi era?

Uno sconosciuto, ovvio! Ma...

L'Accademia dei Privilegiati di HemeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora