Tipo tutto, tipo tu

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A scuola lo ha aspettato invano, nel garage non lo ha trovato e, preso dal panico, ha persino valutato l'idea di raggiungere lo sfascio e rivoltare quel posto sottosopra, ché magari Manuel si è ficcato di nuovo in qualche giro losco e quei tre fannulloni rimasti a badare agli affari dopo l'arresto di Sbarra e Zucca lo hanno trovato e lo hanno riempito di botte; ma di Manuel non c'è traccia: né allo sfascio, né a scuola, né al garage, né in nessun altro posto e Simone vorrebbe quasi urlare.

Vorrebbe urlare per la preoccupazione e per l'imbarazzo che avverte in quel preciso istante, mentre sale le scale di quella palazzina che, dall'esterno, conosce come le proprie tasche; ché per quanto il rapporto col proprio migliore amico sia ormai di un altro livello, lui - a casa di Manuel - non ci è mai entrato; e ora si ritrova a suonare quel dannato campanello come se il proprio indice non avesse altro posto su cui sostare se non il pulsante della porta di suddetta casa.

Preme quel pulsante per una quantità di tempo che sembra indefinita, è terrorizzato e non pensa al fatto che potrebbe passare per un pazzo fuori controllo. Alla fine, tuttavia, ad aprire è Anita, la quale è quasi sul punto di imprecare per la troppa insistenza quando il sorriso timido di Simone appare di fronte ai propri occhi, facendola sospirare stanca e anche un po' sollevata.

«Ciao, Anita.» dice, insicuro, portandosi una mano dietro la nuca e l'altra dentro la tasca della felpa. «C'è Manuel?» domanda, agitandosi sul posto. «Lo sto cercando da ore, al cellulare non mi risponde da ieri sera, a scuola non è venuto, al garage non c'è e - e io —»

Anita sorride piano, non si capacita di come possa un ragazzo come Simone perdere la testa per quel cretino che si ritrova come figlio. Annuisce lenta, facendolo entrare. «È in camera sua, vieni, entra.»

Simone si stringe nelle spalle e si fa spazio a fatica dentro quel luogo, ché magari Manuel nemmeno lo vuole in tale abitazione e lui continua a prendersi spazi e pretese che non gli toccano.

Anita sembra comprendere l'agitazione del ragazzo: la fa sorridere, soprattutto, il modo in cui Simone appare impacciato e terribilmente piccolo; avverte l'irrefrenabile istinto di allungare una mano e fermare quel martoriare continuo che Simone impone alle proprie dita, ché le è sempre parso un gigante e ora le sembra quasi un bambino terrorizzato, beccato dal padre a fare cose che gli erano state vietate.

Ad ogni mondo, non fa niente di tutto questo; ha capito da tempo che tra Simone e suo figlio ci sono ancora delle cose non chiarite e non sta a lei scegliere i tempi e le modalità; ed è per questo che si limita ad un leggero cenno del capo, indicando una stanza poco lontana, con la porta socchiusa. «Vai» dice «magari a te dà ascolto.»

Simone le sorride piano, barcollando leggermente sul posto. Annuisce con il capo e subito dopo si accinge a seguire le indicazioni della donna, avvicinandosi alla camera appena indicata, col cuore che picchietta prepotentemente all'interno del proprio petto.

Quando giunge davanti alla porta, l'ansia sembra aumentare a dismisura, valuta perfino l'idea di tornare indietro e scappare via, ché se Manuel lo evita da ore, non crede sia una bella idea farsi trovare in quel posto; tuttavia, tale pensiero dura poco, poiché la porta viene aperta con forza e Manuel appare dietro di essa, con una tuta stropicciata addosso e i capelli che schizzano in tutte le direzioni.

Simone quasi sobbalza per lo spavento, sebbene Manuel, al contrario, non pare stupito.

«Cia- ciao Manu.» balbetta. «Io — ehm, tu non rispondevi e io mi sono preoccupato, ma forse ho sbagliato a venire qua e magari vuoi stare da solo e -»

«Simò» il maggiore ridacchia leggermente, spostandosi di lato per farlo entrare. «'N è successo niente, vieni.»

Simone rilascia un sospiro di sollievo e, in maniera graduale, riprende a respirare regolarmente. Si addentra all'interno della camera con calma, per poi prendere posto sulla sedia adiacente alla scrivania.

In un'altra circostanza, con un altro umore, darebbe libero sfogo alla propria curiosità cercando di captare ogni singolo oggetto che, presente in quella stanza, riesca a riportarlo a Manuel. Tuttavia, adesso, il motivo per cui si trova lì è un altro. «Perché sei sparito?» va dritto al punto; tolto il dente, tolto il dolore.

Manuel sembra stanco, avvilito, ha gli occhi tristi e le spalle basse. «Non so' sparito.»

«Non ti sento e non ti vedo da ieri sera, sei sparito.» insiste il più piccolo.

Manuel sospira sommessamente e siede al bordo del letto, di fronte al minore. «Puoi restare?» dice soltanto, con un tono di voce che a stento risulta udibile.

Simone aggrotta la fronte, perplesso, prova a dire qualcosa ma Manuel lo interrompe, anticipandolo. «Puoi solo restare co' me senza fa' domande?» chiarisce, torturandosi le mani. «Prima t'ho sentito arrivare, e poi t'ho sentito mentre parlavi co' mamma. Sembravi 'n bambino spaventato.» continua, ridacchiando, facendo arrossire il minore. «Puoi venire qua quando te pare, non te fa' problemi.» finisce, guardandolo finalmente negli occhi.

Simone solleva di poco gli angoli della bocca, sente un forte impulso di alzarsi da quella sedia e stringerselo stretto al petto, ché Manuel pare tanto forte quanto fragile. «Okay.» ribatte solo, osservando il modo in cui il maggiore torni quasi del tutto con il capo chino. «Però mi dici che hai?»

Manuel guarda per terra e scuote il capo. «C'ho solo un po' de pensieri pe' la testa.»

«Tipo?»

Manuel sbuffa, portandosi una mano sul viso. «Tipo tutto, Simò. Tutto.»

Tipo la scuola, tipo i soldi che non bastano mai, tipo tu, tipo mia madre, tipo tu, tipo tuo padre, tipo tu.

Tu, tu, tu.

Simone fa un breve cenno di sì con la testa, nonostante tale affermazione non lo soddisfi del tutto. Lo scorge, ancora, mentre si tortura le dita e mantiene il capo chino, come se avesse il peso del mondo da portare sulle spalle, e Simone vorrebbe urlare per la seconda volta nel giro di pochi minuti: non gli è mai parso tanto indifeso. E forse è questo che lo spinge ad agire, senza tergiversare oltre. Si alza dalla sedia frettolosamente, per poi finire sul letto accanto al più grande, che ora finalmente lo guarda e corruccia la fronte, per quel cambio repentino di atteggiamento.

Simone si avvicina ancora di qualche centimetro, cautamente, e solo quando si accorge che Manuel non cerca di mettere alcuna distanza tra di loro, solleva entrambe le braccia e avvolge il busto di Manuel dentro di esse, abbracciandolo stretto.

Gli porta un mano sulla schiena e l'altra sulla nuca, stringendo i ricci dell'altro tra le dita. Se lo stringe al petto e quasi vorrebbe piangere quando sente Manuel sistemarsi con il viso sulla sua spalla e ricambiare l'abbraccio.

Lascia scorrere una mano dalle spalle alla schiena, in carezze lente e decise, mentre la mano che ancora giace sulla nuca di Manuel la porta tra i suoi capelli, carezzandolo piano.

È la prima volta che, dopo quella notte, entrambi si lasciano andare ad un contatto tanto intimo.

Restano in quella posizione per secondi interi, che sembrano anni.

È Manuel, ancora con il mento sulla spalla di Simone, il primo a parlare. «Simò?» lo richiama, sussurrando.

«Dimmi.» risponde, senza smettere di accarezzarlo.

«Rimani?»

Simone sorride lento, frattanto che volta di poco il capo e gli lascia un bacio leggero sulla tempia. «Rimango.»

Manuel lo stringe un po' più forte.

Ché se rimani tu, quel "tipo tu" è un "tipo" in meno.

Per ogni tocco di lancetta - Simuel Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora