Non per me

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Tw: angst?
Boh, non lo so,
so solo che Simone, porello,
è costretto a incarnare tutti i miei disturbi.








Sono giorni che Simone è intrattabile, anzi, non solo intrattabile; è irrequieto, nervoso, agitato, schizofrenico e, più di ogni cosa, triste. Sono giorni che la sua mente non trova pace, che vola da un buco nero all'altro senza lasciarlo respirare mai, sprofonda dentro quel vortice di pensieri che da sempre gli annebbiano la vista e che, in giorni come quelli, arrivano a renderlo cieco del tutto.

Resterai per sempre da solo.

Sei una nullità.

Sei un peso per te e per gli altri.

Non vali niente.

Sei un fallimento.

Sono solo una parte di quelle catene che, da quasi una settimana - o forse da sempre, lo incatenano al letto e lo portano ad essere, anche contro la sua volontà, la parte peggiore di se stesso.

Sta allontanando tutti, uno ad uno.

Dante e Virginia, ormai sconfortati da tutte le volte che anche il solo passare da quella camera portava Simone a urlargli contro, evitano ogni contatto diretto.

Si limitano ad attenzioni silenziose: un piatto di pasta lasciato fuori la porta, una tachipirina posata sul comodino o, come in quel caso, un piccolo biglietto depositato sulla scrivania che recita una frase semplice, ma adatta a quel periodo: aspettando i tuoi giorni migliori.

Virginia deve averglielo lasciato quando lui era in bagno; ha accompagnato il tutto con una tazza fumante di caffellatte e dei biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.

Simone riconosce la scrittura lunga e un po' sbilenca di Virginia, ricca di ghirigori e arricciamenti prolungati; gli ricorda le prime volte in cui, da bambino, la nonna gli insegnava a scrivere quelle poche parole che poi in classe avrebbe mostrato ai compagni e alle maestre, vantandosi di essere più avanti rispetto a tutti gli altri bambini.

Gli manca quel periodo, gli manca la testa libera da ogni pensiero e dall'ansia del futuro, gli manca, soprattutto, la possibilità di avere una strada ancora da percorrere, ché ha solo diciassette anni e gli sembra di essersi già giocato tutte le sue carte per raggiungere un futuro degno di essere chiamato tale.

Si sente anche un po' una merda a comportarsi in tal modo con coloro che, da sempre, gli dimostrano amore e cura, ma forse è proprio questo a farlo incazzare maggiormente, ché lui non vale niente e tutte quelle attenzioni non le merita, sono solo facciata, sono niente e tali devono rimanere.

«Finalmente te sei alzato da quel letto.»

La voce che gli giunge alle orecchie è acuta e troppo squillante per i suoi gusti, appartiene a qualcuno che, a differenza di tutti gli altri, di farsi da parte non ne ha alcuna voglia.

Simone non risponde, ripiega su se stesso il biglietto della nonna e se lo infila in tasca; volge solo per un attimo lo sguardo al portatore di quella voce per poi ritornare dritto davanti a sé e avvicinarsi al letto, su cui si stende subito dopo.

Manuel sospira. «Me dovevo sta' zitto.»

Da quando Manuel ha memoria, la stanza di Simone gli è sempre parsa come una delle cose più ordinate e statiche che abbia mai visto, gli trasmette pace e serenità, insieme ad una dose minima di invidia, ché lui quella maniacale voglia di avere tutto in ordine, catalogato e sistemato non l'ha mai avuta, e povera Anita.

Tuttavia, adesso, in quella stanza, di tutto ciò che appartiene a Simone, non vi è rimasto niente.

Ci sono vestiti abbandonati sulla sedia, piatti e bicchieri da lavare lasciati sulla scrivania, libri e quaderni sparsi per tutto il diametro del pavimento e, come se non bastasse, un leggero fetore di chiuso e di sporco.

Per ogni tocco di lancetta - Simuel Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora