IX

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Oggi era domenica, quindi avevo la giornata libera. Avrei dovuto riposare, sia il corpo che la mente, avrei dovuto passare la giornata a letto o a farmi i cavoli miei girandomi i pollici.

E invece no, perché nel mio vero lavoro non esistevano ferie. Ero a letto, questo sì, ma con il MacBook sulle ginocchia, un tè caldo sul comodino e la versione brutta di un pain au chocolate fra le mani. Era accettabile, ma niente a che vedere con quelli con cui facevo colazione a casa mia, a Parigi.

Mi mancava la mia routine, mi mancava la mia casa e i confort a cui ero abituata, anche se non pensavo che sarebbe successo. La felicità di passeggiare per le vie parigine, di vedere tanti artisti per strada ai quartieri latini e di fermarsi in qualche libreria vintage per cercare un buon libro da leggere con vista Senna.

Mi aggiustai le AirPods sulle orecchie e prestai attenzione a quello che stavo facendo. Daneen era stata una manna dal cielo, mi aveva inviato tutte le conversazioni che aveva già tradotto traducendole una seconda volta per darmi una mano, e Vince era stato bravissimo a trasferire tutti i filmati delle telecamere di sicurezza su una pendrive criptata che io stessa gli avevo dato. Io, invece, mi ero occupata di sovrapporre l'audio al filmato semplicemente leggendo il loro labiale.

Eravamo una bella squadra dopotutto.

Adesso potevo mettermi comoda, continuando a fare colazione osservando quello che avevamo messo insieme. Con il polpastrello sulla tastiera spostai il cursore fino a cliccare "play" e mi godetti lo spettacolo come se fossi al cinema.

Come primo filmato decisi di vedere quello tradotto da Daneen, era una conversazione telefonica fra Kurtis e una persona sconosciuta. Lui non sembrava affatto tranquillo come avrebbe dovuto essere chiamando un familiare, aveva la schiena rigida e parlava a voce bassa, evitando che gli altri due detenuti ai suoi lati, occupati anche loro a chiamare qualcuno, potessero sentire quello che diceva.

"Non siamo riusciti a trovare i soldi che ci hai chiesto, Kurtis. Le cose non vanno bene qui", diceva la persona all'altro capo del telefono.

"Non me ne frega un cazzo se vanno bene o meno! Ho bisogno di quei soldi, senza soldi qui le cose non vanno avanti!", rispose furioso.

"Ivanov è con noi?".

Kurtis si guardò intorno e si leccò le labbra. "No, non sono ancora riuscito a convincerlo".

"Convincerlo? È semplice, Kurtis, o Ivanov sta' con noi o muore. Non c'è alcuna scelta. È questo quello che devi dirgli". La voce all'altro capo si fece aspra e piena di risentimento. Stavano parlando di Rem, quindi mi raddrizzai e mi concentrai con il cuore in gola.

"Era quello che volevo fare inizialmente, ma Isaiah mi ha convinto a provare a convincerlo con i soldi. Tutti vogliono i soldi, questo è quello che mi ha detto", ringhiò, "niente soldi niente Ivanov!".

"Niente Ivanov niente soldi. Siamo in bancarotta, Pavlov, non so se lo hai capito. Il tuo impero sta crollando e solo lui può aiutarci a ricomporlo", la voce diventò minacciosa e bassa. "Se c'è bisogno di picchiarlo a sangue, lo farai. Se c'è bisogno di fare del male a qualcuno che ama per convincerlo, lo faremo. E se c'è bisogno di ridurlo in fin di vita per fargli capire che non ha scelta, lo farai. Hai capito?".

"Parisi lo difende, non sarà facile".

"Se serve uccideremo anche lui". Mi si mozzò il respiro.

"E con suo padre come facciamo?". Kurtis si morse la pellicina delle unghie con fare nervoso.

"Suo padre?", lo sconosciuto rise. "A Domenico Parisi non interessa nulla di suo figlio".

The Not HeardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora