𝐄𝐏𝐈𝐋𝐎𝐆𝐎

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11 ANNI E QUALCHE MESE DOPO

«Nerea, dove cazzo sei finita?», la voce infastidita di Lysander rischiò di farmi esplodere un timpano. Mi sistemai meglio l'auricolare, ben incastrato sull'orecchio per evitare che si sfilasse mentre camminavo, e alzai gli occhi al cielo.

Mi fermai al primo bar che individuai all'interno dell'aeroporto e scelsi il tavolo più esterno possibile, prendendo posto in una delle due sedie e poggiando i miei effetti personali nell'altra. «Gesù, ti ho detto che sto camminando verso il jet privato».

«Buongiorno, cosa posso portarle?», la cameriera mi si avvicinò con fare gentile e mi sorrise.

Misi una mano a coppa sull'auricolare per disturbare la frequenza ed impedire a Lysander di sentire. «Un cappuccino nella tazza più grande che hai, un cucchiaio e un bicchiere d'acqua, grazie mille».

Il suo sguardo si fece incerto, ma annotò l'ordinazione e sparì verso il bancone. Per fortuna il barista di turno era sempre lo stesso, un uomo con cui avevo fatto amicizia e che in questi anni aveva accolto la mia particolare ordinazione abituale senza farsi troppi problemi.

Un giorno di qualche anno prima avevo finalmente deciso di dirgli, a grandi linee, il motivo per cui mi ostinavo a fare colazione con latte e cereali da più di dieci anni. E da quel momento, ogni volta in cui mi vedeva arrivare da lontano, un sorriso splendente gli illuminava il volto segnato dall'età.

«Furbo da parte tua mettere la mano sull'auricolare, Casper, ma ho sentito comunque». Il suo tono divertito mi fece sorridere. «Stai sul serio perdendo tempo a fare colazione quando avresti dovuto essere a Bali già da due ore?!».

Tirai fuori la miniatura di un pacco di cereali, i reese's puffs, e ne versai una copiosa quantità nel cappuccino quando il barista, il mio dolce vecchio amico, me lo servì con un sorriso.

«Buongiorno Nerea. Qual è la destinazione di oggi?», si asciugò le mani rugose su un panno che aveva legato sui fianchi.

Gli sorrisi a mia volta. «Bali! Buongiorno anche a te, Conrad».

«Il dovere mi chiama», lo sentii sbuffare quando qualcuno lo chiamò a gran voce dal bancone. «Buon lavoro, dolcezza!».

«Buon lavoro anche a te!».

Spazzolai in fretta la mia solita colazione, gustandomela come se non la mangiassi ogni singolo giorno da anni, e poi mi limitai a finire il latte in un unico sorso. Tirai fuori lo specchietto dalla borsa e ripassai un sottile strato di rossetto nude sulle labbra, sistemandomi anche i capelli di riflesso. Avevo deciso di abbandonare quel biondo freddo che non mi apparteneva ed ero tornata del mio colore naturale, un biondo fragola ben accentuato, da un bel po' di anni.

Li avevo anche tagliati, e continuavo a tagliarli per mantenerne la lunghezza non oltre le spalle, perché si diceva che i capelli lunghi trattenessero i ricordi e io, dopo quella missione, avevo deciso di non voler trattenere più niente. Sapevo di dover imparare l'arte del lasciare andare, del mollare la presa e lasciare che l'acqua scorresse lì dove desiderava finire.

«Ti sei persa nei tuoi pensieri, Casper?», la voce divertita di Lys mi trascinò fuori dal posto buio che era diventato la mia mente.

Ripresi le mie cose, la valigia e la borsa, e camminai stringendo fra le dita i documenti necessari a partire. La banconota da cento dollari che lasciavo solitamente come mancia giaceva ancora lì, sul tavolo, quando con la coda dell'occhio notai il sorriso luminoso che esplose sul viso della cameriera. Mi salutò con la mano e io ricambiai, felice di poter migliorare la giornata di altre persone con gesti che per me erano veramente insignificanti da più di dieci anni.

The Not HeardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora