XXIV

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Isaiah

Non mi aveva nemmeno sentito entrare, forse perché ero abituato a muovermi a passo felpato, e non riusciva proprio a notarmi tanto era concentrata sul suo riflesso allo specchio. Rimasi appoggiato allo stipite della porta, alla sua sinistra, e la osservai mentre si osservava a sua volta.

Si sfiorava i capelli con le dita e aveva sul viso un'espressione assorta, quasi triste, come se non stesse guardando e sfiorando sé stessa ma un ricordo lontano, qualcosa che le assomigliava ma che non c'era più. Io non avevo mai visto suo fratello, neanche quando lavoravo a stretto contatto con suo padre perché proteggeva e nascondeva i suoi figli come se ne valesse della sua vita, tuttavia ero certo che lei fosse la sua versione maschile e che questo la facesse soffrire.

Era come se suo fratello avesse trovato riparo dentro di lei dopo la morte, o forse era lei che se lo stringeva al petto e si rifiutava di lasciarlo andare, ma in entrambi i casi questo sarebbe stato molto presto un grave problema da risolvere. Tutti sapevano che il mondo dei vivi e il mondo dei morti non avrebbero mai dovuto toccarsi, perché in questa vita c'era chi era destinato a rimanere e chi era destinato ad andare.

In nessun modo avremmo potuto trattenere chi doveva andare, sarebbe stato contro natura e controproducente.

Chi doveva rimanere non poteva vivere al posto di chi doveva andare, ogni vita era unica e a sé stante ed era per questo che ce ne veniva concessa solo una. Nessun pentimento o rimorso, un solo errore ed era finita per sempre.

Quando si voltò per uscire, in direzione della porta su cui ero appoggiato, sussultò e si portò una mano al cuore. «Isaiah! Che ne dici di imparare a bussare prima di entrare?».

«L'ho fatto», specificai altezzoso, «ma eri incastrata nella tua testa e non mi hai né sentito né visto».

La sentii sospirare mentre mi superava. «Perdonami, per ora non è esattamente un bel periodo. Mi sento molto... sotto pressione».

«Sei riuscita a dimostrare al tuo capo che Airton è innocente?». Le andai dietro, rimanendo in piedi mentre la osservavo frugare nella sua borsa per tirare fuori un burro cacao, stendendolo delicatamente sulle labbra rosee e screpolate.

La vidi abbassare lo sguardo come se si vergognasse. «Lui ci crede, ma non è abbastanza per portarlo al giudice. Se il padre di Airton ha davvero corrotto qualcuno nei piani alti per compromettere i test e le indagini lo farà di nuovo, troverà qualcuno che distrugga una ad una  la veridicità di tutte le prove che porteremo in tribunale. Ci vuole di più, molto di più, soprattutto perché si è dichiarato colpevole a quel tempo».

«"Qualcosa di più" cosa, ad esempio?».

Cercai il suo sguardo e lei lo evitò come la peste, spostandolo in giro per la stanza mentre si torturava le labbra con i denti. Mi venne un improvviso impulso di avvicinarmi, usando il pollice per impedirle di accanirsi in quel modo su quelle povere e morbide labbra. Tuttavia ero certo che non avrebbe apprezzato, perciò lo evitai. 

«Ho bisogno della sua confessione».

Inarcai un sopracciglio, scettico sul fatto che quel ragazzo avrebbe mai avuto il coraggio di parlare e non per paura, ma perché sembrava non fregargliene più niente di sé e, di conseguenza, di una qualche possibile salvezza. «Hai un atteggiamento veramente positivo se pensi di riuscire a convincerlo a confessare di fronte ad un giudice. Tanto di cappello, Nerea, sul serio».

The Not HeardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora