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«Nicole, non comprendo dove tu voglia arrivare». Theodore si portò due dita al naso, stringendone la base, e sospirò. «Cosa vuoi che faccia? Cosa vuoi fare?».

Mi trovavo nel suo ufficio da più di mezz'ora, gli avevo mostrato le sedute che avevo svolto con i detenuti e avevamo parlato, insieme, dei miei pareri professionali su ognuno di loro. La cosa aveva avuto un risvolto positivo per la maggior parte di loro, durante queste due scarse settimane il loro comportamento era migliorato, in quel luogo cupo la tensione che avevo percepito quando ero arrivata era scemata pian piano.

Fatta eccezione per una cerchia di detenuti che sembravano non voler placare la loro rabbia in alcun modo: Parisi, Sokolov e Pavlov.

Avevo scoperto che la rissa avvenuta nel corridoio fra le celle dei detenuti era scattata a seguito di una provocazione di Pavlov, uno dei più bastardi secondo Rem, nei confronti di Parisi. L'oggetto della provocazione era sconosciuta a tutti, perfino a Rem stesso, arrivato sul luogo della rissa solo successivamente.

Fra tutti Rem era stato l'unico a tentare di fermarli, cercando di far indietreggiare Airton tirandolo per un braccio. Ma lui non gli aveva dato retta e, cercando di liberarsi, lo aveva spinto bruscamente e, senza saperlo, aveva urtato anche me. In pratica avevo attutito la sua caduta, il che l'aveva resa meno amara.

Quel ragazzo aveva già sofferto abbastanza.

«Non credo che tu sia d'accordo, ma spero perlomeno che tu possa comprendere i motivi che mi portano a farlo».

Mi fissò. «Parla, Nicole».

«Ho bisogno di avere il fascicolo sul caso di Airton Parisi».

La sua espressione tramutò tutta d'un colpo, la sua pelle divenne più pallida e i suoi occhi si spalancarono. Subito dopo prese una piega dura, le sue labbra si strinsero e poi si arricciarono.

«Non c'è niente da-».

«C'è, invece! Ho bisogno di vedere le sue mosse, di capire il suo modus operandi, per arrivare lì dove non vuole che nessuno arrivi. Mi hai chiamato perché volevi che scoprissi il motivo del suo duro silenzio, no?». Si rifiutò di rispondere, allora lo esortai. «Allora?!».

«Sì». Parlò a denti stretti.

«Allora devi darmi tutti i modi possibili per farlo, Theodore».

Ci ragionò su per un po', studiandomi a lungo come se potesse davvero vedere oltre quella maschera che portavo addosso e di cui lui non sapeva nulla. Non credevo che Theodore fosse cattivo, non come alcune delle persone che si trovavano fra quelle mura, ma che fosse piuttosto cieco.

Nella sua prigione accadevano cose che non riusciva a spiegarsi e di cui non si era mai preoccupato di spiegare. Era ora di farlo.

Aprì un cassetto della sua scrivania inserendo un codice numerico e ne tirò fuori un fascicolo abbastanza sottile, niente a che vedere con quelli degli altri detenuti che avevo già visionato. Tutto quello che c'entrava con Airton Parisi sembrava dovesse essere nascosto dagli occhi del mondo intero e la cosa non mi piaceva affatto.

Me lo porse. «Trova la verità, Nicole, ma non restarne delusa quando scoprirai che a certe persone non serve un motivo per fare quello che hanno fatto. Certa gente è quello che è e non potrebbe essere diversa».

«Hai ragione, Theodore». Mi strinsi il fascicolo al petto. «Ma anche l'1% fa parte del 100% e niente mi priverà di trovarlo».

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