XXV

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Stupido.

Stupido.

Stupido.

Stupido.

Queste erano le parole che mi vorticavano in testa mentre correvo verso l'infermeria, ignorando la sensazione di déjà vu, come se avessi il diavolo della Tasmania alle calcagna. Non riuscivo a stare tranquilla per più di mezz'ora, avevo sempre qualcuno di cui preoccuparmi o qualche situazione da aggiustare che si frapponeva fra me e la mia salute, fisica e mentale.

"Nicole, credo che tu debba andare urgentemente da Airton", mi aveva detto Vince all'altro capo del telefono. "È in condizioni gravi in infermeria, la sua anemia è peggiorata. Ha bisogno di trasfusioni e le sacche che abbiamo forse non basteranno".

Airton era 0 Rh negativo, il che voleva dire che poteva donare a qualsiasi gruppo sia positivo che negativo, ma poteva ricevere trasfusioni solo dal suo stesso identico gruppo sanguigno.

«Nicole, che piacere veder-».

«La prego di uscire», interruppi l'infermiera all'istante. «Gradirei rimanere da sola con il signorino Parisi, grazie». Ero stata fredda e distaccata, non era da me, ma la rabbia che mi scorreva fra le vene era impossibile da controllare e non volevo scagliarla su di lei.

Mi obbligai a non spostare lo sguardo su di lui perché non ero ancora pronta a vederlo nelle condizioni in cui si trovava, perciò mi concentrai sulla punta dei miei stivali. La dolce anziana mi superò senza dire una parola e si chiuse la porta alle spalle.

In quel momento alzai lo sguardo, puntandolo sul suo corpo steso sul lettino, e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Stava riposando, ma vederlo in quello stato, pallido come un cadavere, mingherlino e tremante dal freddo perché il suo stesso corpo non riusciva più a scaldarlo in maniera adeguata, trasportava il mio cervello in una realtà parallela.

Ricordai le parole di mio padre, sussurrate con dolore mentre la mia guancia umida era premuta sul legno freddo e duro della bara di mio fratello. "Non c'è alcun modo di salvare qualcuno che non vuole essere salvato, amore mio. È come tentare di asciugare l'oceano con uno strofinaccio, inutile e sfiancante".

Mi avvicinai a passo felpato, ma non riuscii a trovare la forza di sedermi al suo fianco sul lettino, le mani mi tremavano come foglie e la gola mi si era riempita di spine. Ero terrorizzata dalla scena che mi trovavo di fronte agli occhi. Il lenzuolo di un bianco così candido, l'aria gelida che sembrava trasparire delle pareti e l'odore forte del disinfettante mi riportò alla mente il ricordo vivido del medico legale che scostava il lenzuolo dal volto livido di Norman, così che potessi confermare che il detenuto dal viso tumefatto e il collo segnato che era stato trovato morto nelle prime ore del mattino fosse proprio lui.

Mio fratello. Il mio grande e invincibile fratellone che invincibile non lo era più stato.

«Nicole».

Quasi sobbalzai perché per un momento, uno solo, la mia mente si convinse che fosse lui a chiamarmi. Mi costrinsi a tornare alla realtà perché avevo di fronte una persona che era ancora viva e che dovevo salvare a qualunque costo, per lui, per me, e per tutti quelli che non erano stati salvati.

«Che è successo, Airton?».

Si leccò le labbra screpolate e mosse le palpebre lentamente, era così debole che perfino quel movimento sembrava costargli più energia di quella che aveva in corpo. Non era eccessivamente magro, la costante palestra aveva dato dei minimi frutti, ma il suo colorito era davvero spaventoso, i suoi battiti erano irregolari visti dal monitor e a volte, quando prendeva un respiro più lungo, si gelava sul posto come se percepisse dei dolori al petto destabilizzanti. Inoltre la mucosa interna dei suoi occhi era di un rosa pallido preoccupante.

The Not HeardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora