XXXII

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Tentando di scappare dalle fiamme che avevano ormai avvolto l'intero edificio, rendendo la via d'uscita principale inaccessibile, rischiai di avere un attacco di panico. Nella mia mente premeva la volontà di portare al sicuro Airton nel minor tempo possibile, perché la ferita all'addome si ampliava ad ogni passo, veloce e inarrestabile, e il dolore stava per diventare insopportabile.

Una voltai fuori, uscendo da una delle porte d'emergenza, tirai un sospiro di sollievo, malgrado la situazione non fosse chissà quanto migliore all'esterno. Avevo la vista sfocata, quello che accadeva lontano da me era un accozzaglia di colori più che forme, la sudorazione era aumentata e percepivo le mani scivolose, anche se continuavo ad asciugarle sui jeans.

Difatti quando un'altra sagoma strisciò alle spalle di Airton con fare minaccioso, la prima cosa che feci fu tirare fuori la pistola, caricarla e mirare alla testa di chiunque esso fosse. Ma quando si avvicinò di qualche passo e riuscii a focalizzare il suo volto, solo dopo aver strizzato gli occhi più volte e quando ormai Airton aveva notato la presenza alle sue spalle, tirai un'ulteriore sospiro di sollievo.

«Wow», alzò le mani all'altezza del viso e mi guardò con una nota di divertimento negli occhi chiari, «La mia assenza in questi giorni deve averti reso aggressiva. Non credevo di mancarti così tanto».

Rimisi la pistola al suo posto con un sorriso appena accennato sulle labbra, scuotendo la testa e ignorando il suo sguardo occupato a studiarmi. Isaiah era incredibilmente furbo, ma soprattutto in grado di scovare le bugie con più facilità di Airton, che, malgrado tutto, manteneva ancora un cuore morbido e una bontà d'animo. Ero terrorizzata dall'idea che potesse capire che non stavo bene.

«Dove sei stato fino ad ora?».

Si strinse nelle spalle. «In giro, a cercare di sopravvivere».

«Come se i tuoi amichetti non stessero facendo piazza pulita mentre a te non frega un cazzo», sputò acido Airton al mio fianco.

Lui inarcò un sopracciglio. «Non ho nulla a che vedere con quello che stanno facendo i miei amichetti».

«Non ti credo».

«Non credermi. Non è te che devo convincere». Isaiah lo guardò con durezza e poi spostò lo sguardo su di me, addolcendosi quasi come una caramella. «Non avevo idea dei loro piani e quando è scoppiata la rivolta io ero a fare la doccia. Ho rifiutato il pranzo di oggi, non mi trovavo nemmeno in mensa, Nerea».

Annuii. «Ti credo», dissi convinta della sua sincerità.

Avevo imparato a conoscere Isaiah ed ero certa che non partecipasse alle angherie di Kurtis, ma che avesse un cervello ben più sviluppato.

«Nerea?», ripetè allo stesso momento Airton. Spostò lo sguardo da me ad Isaiah più volte, con un'espressione confusa ma al tempo stesso quasi delusa. «Lui lo sapeva?», mi chiese con durezza.  

Abbassai la testa e quella sembrò una risposta ben più chiara di quanto la mia voce potesse mai rispondere. La delusione nei suoi occhi si espanse, portandolo a fare una smorfia sofferente, quasi come se l'avessi colpito.

«Ti ho fatto una domanda», mi rimbeccò come una bambina.

Mi ritrovai a dover confermare i suoi sospetti. «Lo sapeva».

Annuì a sé stesso, mordendosi l'interno della guancia con durezza. Il suo sguardo vagò il più lontano possibile dal mio, mentre Isaiah ci fissava senza ritegno con una curiosità ben visibile sul viso.

«Ovvio, perché lui è sempre stato più importante di me. Mi sembra logico».

«Ti sbagli. Con tutto il rispetto che nutro nei suoi confronti e con tutto il bene che gli voglio», guardai Isaiah per assicurarmi che non la prendesse come una cattiveria e difatti lo vidi farmi un cenno per incitarmi a continuare, «È proprio per la sua importanza minore che lo ha scoperto per primo. Potevo perdere lui, ma non potevo per alcun motivo perdere te».

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