XIII

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Guardavo i detenuti sfrecciare da una punta all'altra del cortile come dei puma, con le divise blu ben chiuse sul colletto e dei cappelli di lana grigi anonimi come tutto il resto, correndo dietro ad un pallone che veniva lanciato da una parte all'altra.

Ci avevo messo un po' a convincere Theodore a dare loro questa possibilità in vista delle vacanze natalizie che stavano per arrivare, ma alla fine, con un paio di sguardi dolci e delle basiche spiegazioni su quanto sarebbe stato utile per l'umore dei detenuti, che influiva moltissimo sul loro comportamento ribelle, aveva ceduto.

Questo era il mio regalo di Natale per loro, consapevole che non saremmo arrivati a passarne un secondo insieme.

Il tempo scorreva molto velocemente, forse più per me che per loro, e ben presto avrei dovuto dire addio anche a quell'incarico su cui avevo insistito tanto per averlo. In qualche modo mi sentivo come se il termine della missione fosse strettamente collegato ad una fine reale, come se dopo quello potesse arrivare una pace che bramavo da quando non ero ancora neanche una donna e a cui, ad un certo punto, avevo semplicemente messo di credere. 

Forse perché era stata la prima missione che riguardava un carcere a cui mi era stato permesso di partecipare e soprattutto da sola, senza nessuno che mi coprisse le spalle o che mi dicesse cosa fare.

Ma una volta portati in salvo, una volta fatto quello che avrei dovuto fare per Norman, sarei davvero riuscita a dirgli addio e ad abbandonare quello spettro che mi perseguitava? Non ne ero esattamente sicura.

Un movimento blu alla mia destra attirò la mia attenzione, poco prima che delle mani coperte da un paio di guanti grigi stringessero il ferro del cancello che limitava il campo da calcio improvvisato. I detenuti che non avevano voluto giocare avevano la possibilità di sgranchirsi le gambe attorno al campo, anche se sempre sotto la severa supervisione di alcune guardie.

Fra di esse mancava Vince, il che mi sorprese. Chissà dov'era.

«Ciao, króshka».

Lo guardai sottecchi. «Isaiah, non hai ancora imparato la lezione?».

«Mh no, sono recidivo, króshka». Il divertimento velato nel suo tono mi fece girare del tutto il viso nella sua direzione. «Ma se vuoi puoi picchiarmi per insegnarmela, non sarebbe la prima volta che mi succede».

Scossi la testa. «Sono sicura che dalla sottoscritta ti piacerebbe».

«Mi ecciterebbe, vorrai dire».

Alzai gli occhi al cielo e mi rifiutai di rispondere.
«Hai idea del perché il caro Theodore gli abbia concesso questa grazia?». I suoi occhi azzurri, nettamente più chiari e belli alla luce naturale, seguirono i detenuti che correvano di qua e di là.

«Sai come si dice, no? "Il diavolo ti accarezza solo se brama la tua anima", qualcosa del genere».

Seguii il suo esempio. «Perché dovrei saperlo?».

Visto che non rispose mi trovai costretta a tornare a guardarlo, scoprendo il suo sguardo scettico rivolto verso di me. «Non vuole niente perché non è stata una sua idea, sono solo riuscita a convincerlo in vista delle feste natalizie. È Natale per tutti alla fine».

«Ebat', ero certo che fosse opera tua!».

Sbuffai rumorosamente, stringendomi di più nel cappotto caldo perché lì fuori faceva un gelo insopportabile. Improvvisamente mi sentii una stronza a stare di fronte a lui come un piccione caldo quando lui indossava una divisa blu decisamente poco invernale.

«E da cosa l'hai capito?». Tirai fuori le mani dalle tasche e mi pentii di aver dimenticato i guanti in camera.

Il suo sguardo scivolò proprio sulle mie mani, come sempre pallide ma soprattutto screpolate dal freddo, e forse gli sembrò la cosa più normale del mondo scaldarmele utilizzando la frizione delle sue, protette dai morbidi - ma vecchi - guanti. Non lo era, eppure glielo lasciai fare.

The Not HeardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora