25. Un paziente?

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Gli aveva detto di essere felice, adesso, grazie a lui, eppure Elia era certo che non fosse proprio così. Non dubitava che lui fosse in grado di farlo stare bene, ma c'erano tante cose, nella vita di Luca, che non dipendevano da lui e che andavano risolte: per quanto potesse stargli vicino non avrebbe mai potuto dargli il sostegno giusto per affrontarle. L'aveva portato lì senza anticipargli nulla, perché altrimenti per tutto il tragitto Luca si sarebbe preoccupato inutilmente. O almeno così credeva. Aveva sbagliato e adesso si trovava davanti a una crisi di nervi in piena regola, che lui era in grado di gestire ancora meno degli stessi problemi per cui erano andati lì.

«Puoi salire in macchina per favore? Fa freddo e non voglio parlare in mezzo alla strada.»

«Perché mi hai portato qui?»

«Per la centesima volta, ho pensato che avessi bisogno di aiuto. Volevo solo presentarti una persona, tutto qui.»

«Perché non me lo hai detto prima? Cosa volevi fare, farmi entrare in una stanza e poi dirmi: "sorpresa! Questa è la persona che voglio che ti aggiusti il cervello e i problemi della tua vita incasinata"?»

«Ok, ho sbagliato a non parlartene, ma non ho preso appuntamento per una seduta, volevo solo che vi conosceste per capire se vi va di lavorare insieme.»

«Sono un caso così disperato?» Di certo la scena madre che stavano facendo in mezzo alla strada non deponeva a suo favore.

«No, non lo sei. Ma sinceramente hai bisogno di sostegno. Hai tantissime cose da elaborare e vai in pezzi così facilmente che a volte non so come prenderti, per paura di romperti!»

Il silenzio di Luca gli fece male. Di sicuro stava riflettendo su quanto gli aveva appena detto; voleva tanto rimangiarselo o almeno riformulare! Ora invece avrebbero litigato, Luca gli avrebbe urlato di lasciarlo perdere, se era così che lo vedeva, lui avrebbe risposto che aveva voluto fraintendere solo per avere una discussione. E poi le cose sarebbero degenerate. Andava sempre a finire così, a causa della stupida boccaccia che non aspettava un check del cervello prima di dire qualcosa. Era già pronto allo scontro, sentiva la rabbia iniziare a salire, a prescindere dalla sua volontà. Ma Luca non alzò la voce, anzi, la abbassò ulteriormente, insieme allo sguardo e a tutta la testa, che chinò in avanti, per nascondere il viso. Da qualche parte, dalla sua direzione, arrivò un flebile: «Avevi detto che il vero me ti andava bene, che potevo essere libero, con te. E invece non ti vado bene.»

Tutta la sua rabbia e la voglia di discutere evaporarono sul nascere. Fece un passo verso di lui, si guardò intorno e gli accarezzò la mano, trovandola completamente sudata.

«Ma sì che mi vai bene. Pensavo di fare una cosa carina, una cosa di cui credevo avessi bisogno ma a cui magari non avevi pensato. Non sono tutti matti o sbagliati quelli che vanno dallo psicologo, sai?»

«Lo so, ma io non voglio cambiare» protestò debolmente l'altro.

«Ma non cambierai.» cercò di rassicurarlo. Al momento la cosa più importante era fare rientrare quella piccola crisi ed evitare che degenerasse. Poi avrebbero parlato con calma del resto.

«Tu non lo puoi sapere, non puoi sapere cosa fanno alle persone, dove le portano. Perché mi hai portato qui di nascosto, come un cane che deve essere castrato? Mi fidavo di te!» Il respiro di Luca iniziò a farsi corto e irregolare. Forse la piccola crisi era già degenerata, prima che Elia potesse davvero fare qualcosa per placarla sul nascere.

«Luca, non so di cosa tu stia parlando ma devi calmarti.» Aveva mai funzionato, storicamente, dire a qualcuno di calmarsi, per farlo calmare? Infatti, lo vide accasciarsi sul marciapiede, proprio come la prima volta, incrociare le braccia e appoggiarci la testa.

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