27. Un cliente Ikea?

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Era emotivamente a pezzi. Dopo quella scenata (l'ennesima, ma quanto poteva essere patetico? Forse aveva davvero bisogno di uno specialista che gli aggiustasse il cervello) davanti allo studio della psicologa da cui l'aveva portato Elia e dopo tutto quello che aveva dovuto confessargli, si sentiva esausto, scarico. Non abbastanza, però, da ignorare la possibilità che in casa non ci fosse nessuno e che loro avrebbero potuto chiudersi in camera prima di portare Elia al campetto. In realtà, inizialmente aveva pensato di recuperare la palla nella cassapanca all'ingresso senza nemmeno entrare in casa, ma i rapidi contatti di poco prima, in macchina, seguiti dalla battuta di Elia, avevano mandato all'aria la prudenza.

Faceva cose e l'hanno beccato.

Così avevano scoperto Gabriele. Che senso aveva essere prudenti a scuola e in giro per paura che la voce arrivasse ai suoi, se poi si metteva a correre dei rischi proprio in casa? Ma l'unica variabile in dubbio era sua madre, suo padre e Matteo non erano mai a casa prima delle sette. E se sua madre era uscita lasciando scritto a che ora sarebbe tornata, Luca poteva essere più che sicuro che fino all'orario indicato nessuno li avrebbe disturbati, la precisione della donna era nota a tutti. Se invece fosse stata in casa lui l'avrebbe capito dalla macchina parcheggiata, avrebbe chiesto a Elia di aspettarlo lì, il tempo di prendere la palla e andarsene insieme, semplice. Arrivati al cancello Luca aprì con il telecomando attaccato alle chiavi, poi spiegò a Elia di proseguire lungo il vialetto, fino alla casa. Non c'erano altre macchine parcheggiate, così gli fece cenno di scendere, sentendosi già nervoso all'idea.

«Ci vivete solo in quattro qui?» Elia guardava il giardino, il portico e il tavolino sotto gli alberi, ora in disuso, data la stagione, ma luogo adorato da Luca per leggere, in primavera.

«Adesso sì, per un po' nella dépendance ci ha vissuto il nonno, ma adesso che hanno finito i lavori da lui, è tornato a casa sua.»

«La dépendance, certo.» Elia gli fece eco, ma Luca sembrò non cogliere l'ironia.

«È quella casetta laggiù.»

«Ok, casetta, certo.» Elia tratteneva un sorrisetto a stento.

«Prendi in giro?» Adesso l'aveva colta.

«No, è che sei davvero un principesso sul pisello.»

«Sì, beh, comunque non mi sono messo troppo comodo.»

«Che vuoi dire?»

«Che mi sono goduto le comodità di questa casa e degli altri miei privilegi senza approfittarne troppo, sapendo che sono temporanei, perché quando farò coming out la mia vita avrà un altro tenore.»

Elia annuì pensieroso senza aggiungere altro e lui gliene fu grato. Sarebbe stato difficile spiegare a qualcun altro che sì, era grato per la condizione di agio in cui gli era capitato di vivere sin dalla nascita, ma che avrebbe voltato le spalle a tutto quello senza pensarci due volte. Lo condusse all'interno e si sfilò le scarpe subito dopo la porta d'ingresso.

«Devo togliermi le scarpe?» Sembrava impacciato.

A Luca scappò un sorrisetto divertito. «Per iniziare...!»

E finalmente anche Elia si rilassò un po' e sorrise a sua volta. «Guarda guarda chi è diventato il predatore e chi la preda!» scherzò.

«Hai preso i preservativi, vero?» Luca glielo sussurrò all'orecchio, anche se non era necessario.

«Sì. Ma sei sicuro che non ci sia nessuno?»

«Assolutamente, ma vado comunque un attimo a controllare una cosa.» Camminò oltre la sala da pranzo, fino alla cucina e visionò il biglietto di sua madre. Precisa come sempre, aveva lasciato scritto che sarebbe tornata alle 18.30. «Abbiamo almeno un paio d'ore» spiegò parlando di spalle, per poi voltarsi e notare che Elia non c'era, non l'aveva seguito. «Elia?» Rifece la strada al contrario e lo trovò fermo all'ingresso, dove l'aveva lasciato. «Ti serve un invito scritto?»

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