37. Luca.

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«Sai, penso di aver trovato la nostra canzone.»

«In che senso "la nostra canzone"?»

«Una canzone che, quando la ascolti, sembra parlare di noi.»

«Davvero vuoi una cosa simile?»

«Beh, non mi sono messo a cercarne una, mi è capitata questa per caso e ho pensato che potesse esserlo» spiegò Luca.

«Fammi indovinare, è Girls, girls, girls dei Mötley Crüe! Parla proprio di noi, non credi?» Elia scoppiò a ridere e si voltò verso di lui, con un piatto sporco in mano, facendo gocciolare un po' di acqua sul tappeto davanti al lavello, prima di infilarlo nella lavastoviglie. «A parte la cosa delle ragazze Yankee che non mordono, perché io invece lo faccio eccome! Per il resto direi che ci siamo, tu non hai voglia di ragazze con rossetto rosso e smalto rosso? Dai, "siamo troppo noi"!» aggiunse facendo il verso a quello strano modo di dire che sentiva spesso, tra le sue compagne e da Luca stesso, quando si identificava un po' troppo con un personaggio di qualche libro o serie TV.

«La smetti di fare il cretino?» Luca si avvicinò e gli baciò la testa, ridendo tra i suoi ricci, poi gli passò i bicchieri e tornò verso il tavolo per prendere le due tovagliette di stoffa su cui avevano mangiato. «Se tua madre continua a mandarci contenitori pieni di cibo finiremo all'ingrasso. Non so come facciate, da voi, a essere tutti così magri» commentò passandosi una mano sull'addome.

«Per mia madre e mio fratello penso sia colpa dei turni, mentre per me, penso sia colpa tua! Da quando vivi qui, per non pagare devo parcheggiare ogni volta a casa del Diavolo e camminare, più le scale, più tutta l'attività fisica che mi fai fare, più tutte le uscite, le mostre e le passeggiate con Thomas e i tuoi nuovi amici intelletturali

Luca rise con lui. «La smetti di usare quella parola? Non esiste!»

«Vabbè, quello che è.»

Lo raggiunse di nuovo, dopo aver pulito il tavolo e sistemato ciò che restava da mettere via.

«Hai finito? Mio fratello tornerà dal pranzo della domenica tra meno di un'ora, non vuoi bruciare un po' di calorie prima che arrivi?» Gli baciò il collo, fin dietro l'orecchio, e appena Elia appoggiò le posate che aveva in mano, gli infilò una mano sotto la maglietta.

«Fammi finire qui, prima» rispose Elia a fatica, socchiudendo gli occhi, beandosi di quel tocco. «L'ultima volta ha dato la colpa a me se il bagno era un macello.»

«Beh, effettivamente... era colpa tua.»

In quella casa la sua stanza era del tutto diversa da quella in cui era stato da Thomas per i due mesi successivi alla sua fuga. Non era grande come quella a casa dei suoi genitori, e aveva dovuto disporre molti libri in orizzontale, sulle librerie, per farceli stare, però si vedeva che era sua, non era più un ospite temporaneo. Inoltre aveva il balcone, cosa fondamentale per Martin Eden, e un letto a una piazza e mezza, cosa fondamentale per Elia.

Quando Matteo si era fatto trovare sotto casa di Thomas insieme a Rebecca, una domenica pomeriggio di fine aprile, Luca aveva temuto che volesse riportarlo a casa, forzarlo a un cambiamento o a una riappacificazione con i suoi genitori. Sua madre, a dire il vero, aveva fatto dei tentativi in quella direzione, ma si fidava ancora troppo poco, per concederle di vedersi.

«Cosa ci fai qui?» gli aveva chiesto.

«Ti porto a casa.» aveva risposto Matteo.

«Quella ha smesso di essere casa mia.»

«Non lì, in quella nuova.»

Era un trilocale in Corso Regina, a un quarto d'ora a piedi da Palazzo Nuovo, decisamente comodo per l'anno successivo, quando si sarebbe iscritto all'università, un po' più scomodo per suo fratello, che aveva mantenuto il lavoro in prima cintura di Torino (Luca lo sentiva imprecare ogni sera, quando rientrava, per il traffico e per il parcheggio). La madre lo aveva supplicato di ritirare le sue dimissioni e alla fine Matteo aveva ceduto, concedendole poi la sua presenza anche ai pranzi della domenica. Quanto a Luca, dubitava che avrebbe partecipato a quelle riunioni di famiglia tanto presto. Era tornato a casa solo una volta, di mattina, accompagnato da Elia, Federico e Rebecca, per prendere le sue cose e Martin Eden.

All'inizio la situazione era stata un po' strana tra loro, nel nuovo appartamento: non si parlavano granché, non mangiavano insieme, e quando si incontravano in qualche zona comune della casa si scambiavano a malapena poche parole. Luca si era chiesto più volte perché il fratello avesse trovato quella sistemazione, se poi doveva trattarlo con tanta freddezza. Poco alla volta, però, il loro rapporto si era sbloccato e i due avevano iniziato a conoscersi, a diventare amici, prima che fratelli. E un paio di settimane dopo aveva invitato Elia a cena per la prima volta in presenza di Matteo. Anche quello era stato strano; strano ma bello.

«Vieni, te la faccio sentire.»

«Mi hai portato qui con l'inganno, mi avevi detto che mi avresti fatto bruciare delle calorie e invece mi tocca ascoltare una canzone!»

«Qual è il problema? Tu ami la musica!»

«Sì, ma non quella che ascolti te! lo sai che hai dei gusti, come dire...»

«Discutibili? Opinabili? Strani?» provò a finire Luca la frase.

«No, proprio di merda!»

Luca si finse offeso e lo spintonò piano, per scherzo, ed Elia fece altrettanto, colpendolo però all'altezza di un pettorale.

«Ahi.»

«Scusa, mi sono dimenticato. Sta guarendo? Fa vedere.»

«È solo una scusa per non farmi mettere play. Una volta che l'avrai visto lo vorrai toccare e poi sarà troppo tardi» spiegò ridendo Luca.

«No, giuro.» Elia gli alzò la maglietta per controllare il piercing al capezzolo che Luca aveva fatto la settimana prima, dopo che lui se l'era fatto sulla lingua per assecondare una richiesta nemmeno troppo velata di Luca, come regalo extra di compleanno. Quel giorno Luca aveva ricevuto anche gli auguri da parte di Yuri, che non sentiva e non vedeva da mesi, da quando aveva deciso di non tornare a scuola, per quell'anno. Luca aveva risposto e poi, qualche giorno dopo, ricambiato per il compleanno dell'ex amico. In qualche modo le comunicazioni interrotte erano state riprese, ma da allora non c'erano stati ulteriori sviluppi.

Mentre Elia era distratto, Luca raggiunse il computer e mise play, poi si voltò a guardarlo per tutta la durata della breve canzone, che l'altro ascoltò con attenzione.

"Se piango, dammi un bacio sugli occhi
Se rido, dai, facciamolo insieme
Quando ti osservo, non ti vergognare
Quando ti imbarazzi, lasciati guardare
Se vinco, festeggiamo insieme
E, se perdo, festeggiamo insieme

Mi piace pensare di poter capire
Come si possa amare senza che sia difficile
Ma è più dolce sbagliare e impararsi a scoprire
Ho scritto queste istruzioni solo per farti sorridere

Se ti regalo un libro, leggilo solo se ti va
Anche quando non ti faccio regali, sappi che ti sto pensando
Quando non parlo, prova ad ascoltarmi
E, se sto zitto, potrebbe non esser colpa tua
Se il mio sguardo incrocia un altro, non credo possa far male
E, se è perso nel vuoto, è perché è abituato a sognare
Non essere gelosa, lasciati cercare
E, se a volte un po' mi odi, penso sia normale

Mi piace pensare di poter capire
Come si possa amare senza che sia difficile
Ma è più dolce sbagliare e impararsi a scoprire
Ho scritto queste istruzioni solo per farti sorridere"

(Venerus, Istruzioni)

«Allora?»

«Va bene, questa è bella, non sembra nemmeno una canzone delle tue.» Elia guardò in alto, come se facendo così potesse nascondere gli occhi lucidi. Luca adorava quando provava a fare il duro e falliva in quel modo!

«Quindi può essere la nostra canzone?» chiese avvicinandosi.

«Credevo fosse Girls, girls, girls! Ma direi che anche questa può andare.» 


Fine

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