Capitolo 20- Sogno o realtà

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Beatrice si richiuse il portone alle spalle e lanciò un'occhiata sull'altro ciglio della strada. Da lì poteva vedere le piante colorate e rigoglioso che aprivano la strada al piccolo negozio di fiori.

Rimase ad osservare la porta di vetro, indecisa su cosa fare. Sarebbe potuta andare a salutare Simone, e cercare di mettere in atto  da sola il punto n.9 , come aveva fatto con il punto n.3. Lanciò un'occhiata alla  vetrina di un negozio di abbigliamento  e il suo riflesso le consigliò di abbandonare quel piano. Era un disastro: i capelli erano scombinati e la matita nera si era sciolta creando un alone scuro intorno agli occhi. 

«Ehi, ciao! Che ci fai li imbambolata?» domandò qualcuno alle sue spalle. Il cuore di Beatrice perse un colpo nel riconoscere la calda  voce che l'aveva richiamata. Con velocità granitica si svoltò vedendo  Simone alla guida di un furgoncino bianco. Era bello come sempre, il braccio abbandonato sul bordo del finestrino, la guardava con il solito fare sicuro. Aveva parcheggiato il furgoncino in prossimità del marciapiede dov'era Beatrice per salutarla.

Come era solita fare, Beatrice assunse un'espressione imbecillita e arrossì «C-ciao Simone, come va?»

«Una favola direi. Tu invece mi vuoi dire che ci fai qui? Non dovresti essere all'università?» domandò, assumendo il tono di sua madre durante una delle sue ramanzine.

«Sì, ma avevo una cosa da sbrigare» rispose lei sentendo il cuore accelerare i battiti e le orecchie diventare bollenti.

«Ah sì, e che cosa?» le chiese lui, protraendosi verso di lei e sollevando un sopracciglio scuro con fare indagatore.

Beatrice, che non voleva svelargli che era andata a casa di un ragazzo per fargli da modella, prese a balbettare per quel suo fare inquisitorio.

«Ecco io...»iniziò lei.

«Lascia stare» tagliò corto, facendo un cenno della mano « Non è certo mia intenzione impicciarmi dei fatti tuoi né crearti imbarazzo» concluse dando l'impressione a Beatrice di essere un po' infastidito dalla sua reticenza.  «Ci vediamo allora e, mi raccomando, fai i compiti» la salutò, ritornando al posto del guidatore e ripartendo.

Nel vedere il furgoncino sparire in un vicolo, Beatrice realizzò che se voleva riuscire a portare a compimento il punto n.9, era costretta a chiedere l'aiuto di Laura.

Depressa per la pessima figura che aveva fatto, si diresse con passo svogliato,  le spalle chine, verso la fermata dell'autobus. Ignorava che dalla finestra aperta del suo appartamento, Dante aveva assistito a tutta la scena

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Beatrice camminava lungo un corridoio dal parquet lucido e dai pesanti tendaggi rossi legati ai lati di grandi finestre, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno. Era sola e, a parte il soffice rumore felpato dalle scarpette bianche e il fruscìo accennato del lungo e vaporoso vestito, non sentiva nulla. Né il ronzio di una mosca né lo scalpiccio di qualcuno che passava per caso di là. Era sola, in un luogo dai contorni familiari, alla ricerca di qualcuno.

Ma dov'è finito? pensò guardandosi intorno.

«Eccomi qui!» disse una voce dolce che riconobbe come quella che aveva sentito qualche tempo prima.

Lei si voltò e lo vide di fronte: alto e vestito con uno smoking nero e le mani infilate nelle tasche.

Beatrice venne colta da una piacevole sensazione di tepore e gli sorrise arrossendo «Come sono andata?» chiese, afferrando gli angoli della gonna spumosa e facendo un mezzo inchino.

«Sei stata bravissima. La miglior fata confetto che io abbia mai visto, anzi direi l'unica» le disse lui, poggiandole una mano sul capo e dandole un bacio sulla fronte.

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