Capitolo 55- Pianto antico

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In un appartamento del terzo piano un giovane Virgilio, illuminato dalla tenue luce giallognola, del lampadario  stava svolgendo diligentemente i compiti di aritmetica in camera sua. Dei tuoni portentosi fecero scattare gli allarmi di macchine dando inizio a un concerto stonato, la forte pioggia battente violentava i vetri delle finestre, percuotendole. Non fece caso a tutto quel trambusto, tanto era concentrato nella risoluzione di un'espressione complessa . La pendola antica batté le diciotto e il rumore metallico di una chiave che veniva inserita nella toppa del portone, annunciò l'arrivo del padre. Dalla sua camera lo sentì parlare con Mavi, la sua babysitter, con un tono  grave. Lui, nella sua ingenuità di bambino, non ci face caso.

Enrico dopo aver congedato la babysitter ed essersi spogliato del pesante soprabito inzuppato d'acqua, entrò con passo quatto nella camera del figlio, con un'espressione lugubre stampata in volto. Nel vederlo  piccolo e indifeso, con la testa riccioluta china sul foglio a quadri,  dentro una giacca di pile di qualche taglia più grande, tutto il suo coraggio venne meno.

Con quale coraggio poteva dare un dispiacere così grande a un bambino così piccolo? A un bambino che, fino a pochi giorni prima, saltellava entusiasta nel vedere il regalo che gli era stato fatto per il suo compleanno, o che non si addormentava se prima non riceveva il bacio della buonanotte. Avrebbe dovuto tacere o dirgli tutto? No, non poteva nascondergli la verità, prima o poi l'avrebbe saputo anche lui. Si sarebbe accorto del progressivo sfiorire della madre.

Virgilio,  nonostante avesse da poco compiuto undici anni, era sempre stato un ragazzino sveglio. Sollevò la testa dal quaderno e, appena visto il crucciato del padre, capì  che qualcosa non andava.

«Ciao Virgilio, come va?» chiese Enrico sforzando un sorriso. Gli occhi lucidi tradirono il suo tentativo di celare il turbamento.

«Tutto bene papà» rispose Virgilio «Ma dov'è la mamma?» chiese subito non notando la figura della madre che già a quell'ora doveva essere rincasata.

Enrico decise di essere sincero con il figlio. Era giusto che sapesse. Si chinò, portandosi all'altezza del figlio per poterlo guardare negli occhi. «Virgilio...» iniziò, assumendo un atteggiamento grave «c'è una cosa che devi sapere».

Virgilio trattenne il fiato nell'avvertire il timbro addolorato del padre.  Il cuore iniziò a tamburellargli forte per la sensazione di paura e stordimento che lo stava attanagliando. Enrico era sempre stato un tipo forte, anche nei momenti più difficili era sempre stato in grado di mantenere un comportamento freddo e deciso. Nel vederlo con gli occhi lucidi e una smorfia amareggiata che gli accentuavano le leggere rughe intorno agli occhi, non poteva che aspettarsi il peggio. In lontananza, il boato di un tuono che aumentò la sua potenza avvicinandosi a loro, si intromise in quel momento di silente attesa.

«Oggi siamo stati dal dottore. La mamma in questi giorni non stava tanto bene» iniziò sommessamente Enrico.

Il cuore del bambino perse un colpo e il suo cervello si attivò nel tentativo di calmarlo.

Stai calmo, si disse. Vedrai che non è nulla, qualsiasi cosa abbia guarirà sicuramente.

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la bocca gli era diventata pastosa, come se qualcuno gli avesse messo in bocca una caramella mou che gli impediva persino di muovere la lingua.

Dalle sue labbra uscì solo un debole "umm" che il padre interpretò come un "Vai avanti".

«La mamma è malata, Virgilio». 

Di nuovo Virgilio non controbatté alla rivelazione del padre, che comprese il suo senso di stordimento così uguale al suo quando aveva avuto la notizia dal dottore. Accorgendosi che il coraggio stava per venirgli meno riprese subito a parlare: «Ha una malattia ai polmoni. I dottori dicono che è molto grave e forse non guarirà».

Alla fine, saturo del dolore che era stato costretto a trattenere, Enrico scoppiò a piangere come un bambino abbracciando forte il figlio. Virgilio rimase immobile, seduto su quella sedia troppo grande per lui, con il padre che gli singhiozzava disperato sulla spalla e l'incredulità negli occhi umidi. Neanche il suo cervello questa volta ebbe parole di speranza per lui. Gli suggerì, invece, di portare la sua piccola mano sporca di inchiostro blu sulla spalla sussultante del padre e consolarlo.

*****

Nei mesi che seguirono Virgilio visse tutto come se fosse stato il lettore di un romanzo. Tutto si svolgeva davanti ai suoi occhi come se non fosse lui il protagonista della sua vita. Come se non fossero rivolte a lui le parole lacrimevoli della nonna. Come se non fossero per lui gli sguardi compassionevoli dei compagni e dei maestri. Come se il dolore che gli chiudeva lo stomaco, non fosse il suo. Lui era soltanto il lettore di una storia drammatica e l'unica cosa che sperava di fare, era di poter posare quel libro che lo deprimeva, in un angolo della sua libreria, per potersi dedicare a un'altra lettura, un fantasy magari. Quello che stava accadendo non era un libro. Era la sua vita e lui doveva affrontarla.

Da quando aveva scoperto la malattia, la madre era stata subito ricoverata nell'ospedale centrale e da allora non era più tornata a casa. Il padre non gli aveva permesso di andarla  a trovare, per non sconvolgerlo. E lui, Virgilio, non aveva mosso obiezioni. Dopotutto non ci teneva a vedere la madre malata, non lo voleva e non lo poteva accettarlo.

Ripensò a sua madre, al suono delle sue risate che adorava o  quando la sera gli rimboccava le coperte lanciandogli le lenzuola sulla testa, per poi ricoprirlo di baci. E adesso, che cosa sarebbe rimasto di lei? Solo tanti bei ricordi e una tomba fredda dove portare dei fiori.

Solo quando ormai l'ora dell'addio stava per arrivare, Enrico decise di portare il figlio all'ospedale per poter dare l'ultimo saluto alla madre. 

 Arrivati davanti a una porta azzurro cielo socchiusa, il padre la sospinse e in quel momento il cervello di Virgilio andò in standby. Il forte odore di disinfettante gli investì le narici, provocando allo stomaco un capitombolo fastidioso. Con la mano ancora stretta in quella del padre, attraversò la stanza dove, ad ogni lato, erano disposti dei lettini coperti da pesanti separé. Si avvicinarono al lettino posto accanto a una grande finestra che affacciava nel cortile interno dell'ospedale. Lì vide una figura esangue che giaceva avvolta in pesanti coperte di lana. Qualsiasi cosa si poteva dire di quella donna, ma no che fosse sua madre. Dov'erano i suoi capelli lunghi e ricci? Dov'erano le sue gote rosse e il suo sorriso leggero? Chi era quella donna che dormiva con il viso incavato e con il braccio scheletrico coperto di tubicini che usciva da un lembo del lenzuolo? Il suo cervello, ripresosi dal torpore, rispose a tutte le sue domande e la consapevolezza che lo invase come una doccia fredda, gli fece girare la testa facendolo barcollare. Il padre, accortosi del malore del figlio, afferrò una sedia di plastica verde adagiata accanto al letto e lo fece sedere, dicendogli parole di conforto. Virgilio avvertì un calore espandersi in tutto il corpo, ustionandogli le orecchie e le guance. La bocca gli diventò di nuovo pastosa e Il battito del cuore riprese battere con toni forti, pulsandogli nelle orecchie e rendendolo sordo alle parole del padre. Il respiro affannato e irregolare gli fece girare la testa, la visuale gli si stava sfocando per le lacrime e l'iperventilazione. L'ultima cosa che percepì, prima di svenire, furono una serie di pizzicori di freddo che gli scuotevano il corpo. Poi, semplicemente, scivolò a terra.    

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